Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27358 del 29/12/2016


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Cassazione civile, sez. II, 29/12/2016, (ud. 27/09/2016, dep.29/12/2016),  n. 27358

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27736-2012 proposto da:

C.O., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CELIMONTANA 38, presso lo studio dell’avvocato PAOLO PANARITI,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIORGIO ROSANELLI;

– ricorrente –

contro

C.M., C.F. (OMISSIS), D.B. C.F. (OMISSIS),

C.D. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE

GIULIO CESARE 14 A-4, presso lo studio dell’avvocato GABRIELE

PAFUNDI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ALFREDO FERRARI;

– controricorrenti –

e contro

F.R.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 94/2012 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 09/03/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/09/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO;

udito l’Avvocato Panariti Benito con delega depositata in udienza

dell’Avv. Giorgio Rosanelli difensore del ricorrente che si riporta

agli atti ed insiste nell’accoglimento del ricorso;

udito l’Avv. Pafundi Gabriele difensore dei controricorrenti che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

D.B. e C.M. e D. convenivano in giudizio innanzi al Tribunale di Trento C.O. e F.R..

Gli attori esponevano di essere proprietari pro-indiviso, per successione di C.G. deceduto nel (OMISSIS), di un capannone per uso agricolo, in atti individuato, ubicato in (OMISSIS) ed utilizzato anche dal fratello del defunto, C.O., il quale da alcuni mesi aveva prospettato infondatamente di essere proprietario per intervenuta usucapione del detto immobile.

Tanto esposto gli attori chiedevano che venisse accertato il loro diritto di proprietà sul capannone per cui è causa ed inibito l’utilizzo dello stesso da parte dei convenuti.

Quest’ultimi, costituitisi in giudizio, resistevano all’avversa domanda attorea.

In particolare il C.O. deduceva di aver costruito il capannone nel 1985 e di averlo da allora posseduto.

L’adito Tribunale, con sentenza n. 675/2010, dichiarava il difetto di legittimazione passiva del F., accoglieva la domanda attorea di rivendica ed inibiva a C.O. l’accesso e l’utilizzo dell’immobile, con condanna alla restituzione ed allo sgombero, nonchè refusione delle spese del giudizio in favore degli attori, ai quali erano invece poste a carico le spese di lite sostenute dal F..

Avverso la suddetta sentenza del Tribunale di prima istanza interponevano appello, chiedendo la riforma dell’impugnata decisione, sia il C.O. che gli originari attori. Quest’ultimi, in particolare, chiedevano la riforma dell’appellata sentenza in relazione alla loro condanna alle spese in favore del F., il quale ultimo si costituiva e resisteva all’interposto gravame.

Riunite le relative causa, l’adita Corte di Appello di Trento, con sentenza n. 94/2012, respingeva entrambi gli appelli condannando C.O. al pagamento delle spese del grado di giudizio in favore degli originari attori, condannati – a loro volta – alla refusione delle spese in favore del F..

Per la cassazione della succitata decisione della Corte distrettuale ricorre il C.O. con atto affidato a cinque motivi e resistito con apposito controricorso dalla D. e dai C.M. e D..

Non ha svolto attività difensiva l’intimato F..

Nell’approssimarsi dell’udienza hanno depositato memorie, ai sensi dell’art. 378 c.p.c., sia il ricorrente che le parti controricorrenti.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1.- Con il primo motivo del ricorso si censura il vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 1140, 1141, 1142, 1144, 1158, 1164, 1165, 2697, 2943 e 2944 c.c. con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (con) connessa violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. e art. 2697 c.c. con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 3 e comunque omessa e/o insufficiente, illogica, contraddittoria motivazione circa fatti controversi e certamente decisivi per il giudizio – pure obliterati – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

2.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce il vizio di “violazione e falsa applicazione dell’art. 1140 c.c., dell’art. 1141 e 1158 c.c. in relazione alla configurabilità del possesso ad usucapionem secondo i criteri enucleati dalla Giurisprudenza di legittimità, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (e) omessa e/o insufficiente, contraddittoria, illogica motivazione circa fatti controversi e certamente decisivi per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.

3.- Con il terzo motivo parte ricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e/o comunque degli artt. 2727 e 2729 c.c., nonchè dell’art. 9, comma 3bis della legge e D.P.R. n. 139 del 1998, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4) e 3) (e) omessa e/o insufficiente, contraddittoria, illogica motivazione su fatti controversi e certamente decisivi per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.

4.- Con il quarto motivo del ricorso si prospetta il vizio di “violazione e falsa applicazione dell’art. 936 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) (e) omessa o comunque insufficiente, contraddittoria, illogica motivazione circa un fatto certamente decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.

5.- Con il quinto ed ultimo motivo si deduce il vizio di “violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) (e) omessa e comunque insufficiente, contraddittoria, illogica motivazione su fatti certamente decisivi per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.

6.- Esposti, come innanzi ed in sintesi, i motivi del ricorso la Corte, in ordine al primo motivo, osserva quanto segue.

Le plurime censure svolte dal ricorrente, oltre che generiche e mirate – nella sostanza – a ripercorrere la vicenda processuale in solo punto di fatto attingendo alla valutazione di merito della stessa, sono infondate.

L’impugnata sentenza, facendo corretta applicazione delle norme di diritto e dei principi ermeneutici applicabili nella fattispecie, ha deciso la controversia fondando la propria decisione su argomentazioni immuni da vizi logici.

In particolare non vi è stata alcuna errata valutazione della Corte giacchè la stessa, con la sentenza gravata, non si è limitata ad accertare l’altruità della cosa, ma ha escluso l’animus possidendi sul dirimete rilevo che la costruzione del capannone fu realizzata su autorizzazione e per concessione del proprietario (f. 17/18 della sentenza).

Non sussiste, quindi, nell’ipotesi alcuna violazione dell’art. 11 c.p.c., comma 2, pure prospettata col motivo qui in esame, stante il tipo di accertamento svolto dalla Corte territoriale e posto che, con l’atto introduttivo del giudizio, era stato chiesto il rilascio del bene occupato e, con la domanda riconvenzionale svolta, era stato domandato l’accertamento dell’intervenuta usucapione del bene immobile.

Il Giudice del merito ha, quindi, svolto – come doveva, per il tenore delle dette svolte domande – la verifica della natura della relazione di fatto con il bene.

Tanto comporta l’assenza di ogni e qualunque contraddittorietà, anch’essa paventata col motivo, della motivazione della gravata decisione. La condanna al rilascio – secondo quanto correttamente statuito nel giudizio di merito – si fonda, infatti, sull’assenza di un titolo che ne giustificasse la detenzione e l’usucapione p stata esclusa per effetto della verifica della relazione di fatto con il bene (concretamente sorta, in ipotesi, a seguito di autorizzazione a suo tempo data dal proprietario de cuius).

In conclusione l’articolato motivo è, nel suo complesso, infondato e va rigettato.

7.- I suesposti rimanenti motivi possono esser trattati congiuntamente.

Con gli stessi vengono svolte, in modo promiscuo, multiple censure relative tutte, in via diretta o mediata, a doglianze generiche o relative ad una rivalutazione dell’accertamento in fatto e della valutazione delle prove correttamente svolte con la gravata decisione, che appare sorretta da congrua ed adeguata motivazione immune da vizi logici.

In proposito devono richiamarsi i condivisi e ribaditi principi che questa Corte ha già avuto modo di affermare.

In particolare va rammentato che “in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 non essendo consentita la prospettazione di questione sotto profili incompatibili quali quelli della violazione o falsa applicazione di norma di legge e del vizio di motivazione” (Cass. civ., Sez. Prima, Sent. 23 settembre 2011, n. 19443).

Inoltre va ricordato che “la motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione…altrimenti risolvendosi il relativo motivo di ricorso in una inammissibile istanza di revisione delle valutazione e del convincimento del Giudice del merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione ” (Cass. civ., S.U. 25 ottobre 2013, n. 24148).

Nè, d’altra parte, “il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 può equivalere e risolversi nella revisione del “ragionamento decisorio” (Cass. civ., Sez. L., Sent. 14 no novembre 2013, n. 25608).

I motivi congiuntamente esaminati devono, quindi, ritenersi inammissibili.

7.- Alla stregua di quanto innanzi esposto, affermato e ritenuto il ricorso va rigettato.

8.- Le spese seguono la soccombenza e, per l’effetto, si determinano come in dispositivo.

PQM

LA CORTE

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore delle parti contro ricorrenti delle spese del giudizio, determinate in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2016

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