Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27358 del 24/10/2019

Cassazione civile sez. II, 24/10/2019, (ud. 10/04/2019, dep. 24/10/2019), n.27358

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15058/2015 proposto da:

M.G.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

ITALO PANATTONI 177, presso lo studio dell’avvocato ARISTIDE

(DUCCIO) MILIONI GUERRIERO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

P.A., P.M. DETTA A., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA MICHELE MERCATI 51, presso lo studio

dell’avvocato EDOARDO D’ELIA, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

e contro

P.M., MO.AD., P.L.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2054/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 31/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/04/2019 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. M.G.A. citava in giudizio gli eredi di P.G. per sentirsi dichiarare proprietario di un terreno di circa 2560 metri quadri con annessa sovrastante abitazione sito in (OMISSIS), ex art. 2932 c.c., o per intervenuta usucapione, con ordine al conservatore del registro immobiliare di trascrizione della sentenza.

Esponeva l’attore che P.G. gli aveva trasferito la proprietà del suddetto immobile, immettendolo in possesso del bene pur non avendo stipulato il rogito notarile per la definizione del trasferimento della proprietà.

2. Il Tribunale di Roma respingeva la domanda di trasferimento della proprietà ex art. 2932 c.c., essendo stata disconosciuta la scrittura prodotta dall’attore e non essendo stata chiesta da questi la verificazione, e accoglieva, invece, la domanda usucapione.

3. Avverso la suddetta sentenza proponevano appello gli eredi di P.G..

4. La Corte d’Appello accoglieva il gravame e, in riforma della sentenza appellata, rigettava la domanda di usucapione proposta da G.M.A..

In particolare, il giudice del gravame, per quel che ancora rileva, evidenziava che non si era raggiunta la prova del possesso utile ad usucapire in capo all’attore. Non risultava provata, in primo luogo, l’interversione del possesso nei riguardi dell’intestatario del bene e neanche il successivo possesso, pacifico, continuo ed esclusivo per oltre un ventennio. L’atto con il quale sarebbe stato ceduto l’immobile all’attore non poteva essere utilizzato, essendo stata disconosciuto senza che l’attore chiedesse la verificazione. La prova del possesso non era stata raggiunta. I quattro testi escussi in primo grado avevano fatto dichiarazioni diametralmente opposte ed erano figli delle parti in causa e, quindi, scarsamente attendibili. In mancanza di testi estranei alle parti, l’onere dell’attore di dimostrare il fondamento della sua domanda non era stato soddisfatto.

5. M.G.A. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di cinque motivi.

6. P.M. detta A., in proprio e nella qualità di procuratrice generale di P.A., ha proposto controricorso e ricorso incidentale sulla base di un motivo.

7. Entrambe le parti in prossimità dell’udienza hanno presentato memorie con la quale hanno insistito nelle proprie richieste.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è inammissibile.

Preliminarmente, va rilevata l’inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il medesimo manca di una esposizione dei fatti della causa che consenta alla Corte di comprendere l’oggetto della pretesa e il tenore della sentenza impugnata in coordinamento con i motivi di censura (Cass., Sez. Un., n. 16628 del 17/07/2009; cfr. anche, Sez. Un., n. 5698 del 11/04/2012; Sez. 6-3, n. 22860 del 28/10/2014).

Nel ricorso per cassazione è essenziale il requisito, prescritto dall’art. 366 c.p.c., n. 3, dell’esposizione sommaria dei fatti sostanziali e processuali della vicenda, da effettuarsi necessariamente in modo sintetico, con la conseguenza che la relativa mancanza determina l’inammissibilità del ricorso, essendo la suddetta esposizione funzionale alla comprensione dei motivi nonchè alla verifica dell’ammissibilità, pertinenza e fondatezza delle censure proposte (Sez. 2, Sent. n. 10072 del 2018).

Com’è noto, l’art. 366 c.p.c., nel dettare le condizioni formali del ricorso, ossia i requisiti di “forma-contenuto” dell’atto introduttivo del giudizio di legittimità, configura un vero e proprio “modello legale” del ricorso per cassazione, la cui mancata osservanza è sanzionata con l’inammissibilità del ricorso stesso.

Con particolare riferimento al requisito della “esposizione sommaria dei fatti della causa” (art. 366 c.p.c., n. 3), che deve avere ad oggetto sia i fatti sostanziali che i fatti processuali necessari alla comprensione dei motivi, va osservato che tale requisito è posto, nell’ambito del modello legale del ricorso, non tanto nell’interesse della controparte, quanto in funzione del sindacato che la Corte di cassazione è chiamata ad esercitare e, quindi, della verifica della fondatezza delle censure proposte. Esiste, pertanto, un rapporto di complementarità tra il requisito della “esposizione sommaria dei fatti della causa” di cui dell’art. 366 c.p.c., n. 3 e quello – che lo segue nel modello legale del ricorso – della “esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione” (dell’art. 366 c.p.c., n. 4), essendo l’esposizione sommaria dei fatti funzionale a rendere intellegibili, da parte della Corte, i motivi di ricorso di seguito formulati. In altri termini, secondo il “modello legale” apprestato dall’art. 366 c.p.c., la Corte di Cassazione, prima di esaminare i motivi, dev’essere posta in grado, attraverso una riassuntiva esposizione dei fatti, di avere contezza sia del rapporto giuridico sostanziale originario da cui è scaturita la controversia, sia dello sviluppo della vicenda processuale nei vari gradi di giudizio di merito, in modo da poter procedere poi allo scrutinio dei motivi di ricorso munita delle conoscenze necessarie per valutare se essi siano deducibili e pertinenti; valutazione – questa – che è possibile solo se chi esamina i motivi sia stato previamente posto a conoscenza della vicenda sostanziale e processuale in modo complessivo e sommario, mediante una “sintesi” dei fatti che si fondi sulla selezione dei dati rilevanti e sullo scarto di quelli inutili. Perciò, il difensore chiamato a redigere il ricorso per cassazione – che, per legge, dev’essere un professionista munito di quella particolare specializzazione attestata dalla sua iscrizione nell’albo 4 speciale dei patrocinanti in Cassazione – deve procedere ad elaborare autonomamente “una sintesi della vicenda fattuale e processuale”, selezionando i dati di fatto sostanziali e processuali rilevanti (domande, eccezioni, statuizioni delle sentenze di merito, motivi di gravame, questioni riproposte in appello, etc.) in funzione dei motivi di ricorso che intende formulare, in modo da consentire alla Corte di procedere poi allo scrutinio di tali motivi disponendo di un quadro chiaro e sintetico della vicenda processuale, che le consenta di cogliere agevolmente il significato delle censure, la loro ammissibilità e la loro pertinenza rispetto alle rationes decidendi della sentenza impugnata. L’esposizione sommaria dei fatti della causa, per essere funzionale alla comprensione dei motivi, dev’essere “sintetica”, come si evince dal richiamo al suo carattere “sommario”, già preteso dal codificatore del 1940. La “sintesi” degli atti processuali costituisce oggi un vero e proprio “valore”, che va assumendo importanza crescente nell’ordinamento italiano. Basti pensare a quanto previsto dall’art. 3, n. 2 del codice del processo amministrativo (D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104), con riferimento all’obbligo di redigere gli atti “in maniera chiara e sintetica”; basti pensare al ruolo sempre maggiore assegnato – con riguardo ai provvedimenti del giudice – all’ordinanza decisoria, motivata in modo “succinto” e “conciso” (art. 134 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c.), rispetto alla sentenza.

Per quanto rileva ai fini dello scrutinio del presente ricorso, va osservato che l’esposizione dei fatti della causa deve precedere i motivi di ricorso ed essere autonoma rispetto ad essi (cfr. Cass., Sez. 2, n. 18887 del 2017, non massimata); ciò si ricava dal significato della diversa e susseguente numerazione che, nell’ambito dell’art. 366 c.p.c. e del “modello legale” di ricorso da esso configurato, è attribuita a “l’esposizione sommaria dei fatti della causa” ed a “i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme su cui si fondano”, rispettivamente indicati ai numeri 3) e 4) della disposizione codicistica; e si ricava prima ancora dalla anzidetta funzione complementare e strumentale della esposizione sommaria dei fatti rispetto alla comprensione dei motivi. Deriva da ciò che la mancanza o la carenza dell’esposizione dei fatti di causa e del contenuto del provvedimento impugnato determina ex se l’inammissibilità del ricorso e non può essere superata attraverso l’esame delle censure in cui si articola il ricorso, nè attraverso l’esame di altri atti processuali (in tali termini, Cass., Sez. Un., n. 11308 del 22/05/2014).

Orbene, nel caso di specie, il ricorrente non ha svolto alcuna esposizione sommaria dei fatti non ha riportato le domande e le eccezioni delle parti, ha omesso del tutto di esporre quale sia stata la decisione del giudice di primo grado, di precisare quale parte abbia proposto appello e per quali ragioni e, perfino, di rappresentare in modo dettagliato quale sia stata la decisione della Corte di Appello oggi impugnata col ricorso. In tali condizioni, alla stregua delle ragioni e dei principi di diritto dianzi evidenziati, il Collegio ritiene che il ricorrente non abbia assolto l’onere di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3; dal che l’inammissibilità del ricorso.

2. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

3. Il ricorso incidentale è del pari inammissibile.

Il ricorrente incidentale si limita a chiedere nelle conclusioni la cassazione della decisione in ordine alle spese, in quanto assunta in violazione del principio della soccombenza.

Anche in questo caso il ricorso incidentale è privo dei requisiti minimi di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3, mancando del tutto l’esposizione dei fatti sostanziali e processuali, delle pronunce di primo e secondo grado e perfino della motivazione della parte della sentenza impugnata relativa alle spese.

Il ricorrente non ha indicato i fatti oggetto del ricorso.

6. Le spese del giudizio devono essere compensate vista la reciproca soccombenza.

7. Il ricorrente principale e il ricorrente incidentale sono tenuti a versare – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (applicabile ratione temporis, essendo stato il ricorso proposto dopo il 30 gennaio 2013) – un ulteriore importo a titolo contributo unificato pari a quello dovuto per la proposizione dell’impugnazione.

P.Q.M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso principale e quello incidentale e compensa le spese del giudizio di cassazione;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale e di quello incidentale di un ulteriore importo pari a quello dovuto per la proposizione dell’impugnazione a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 10 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2019

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