Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27355 del 30/11/2020

Cassazione civile sez. lav., 30/11/2020, (ud. 07/10/2020, dep. 30/11/2020), n.27355

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14710-2018 proposto da:

B.M. nella qualità di erede di C.A., domiciliato

in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTESUPREMA DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato GAETANO IROLLO;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati

CLEMENTINA PULLI, NICOLA VALENTE, EMANUELA CAPANNOLO, MANUELA MASSA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6632/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 20/11/2017 R.G.N. 4158/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/10/2020 dal Consigliere Dott. CALAFIORE DANIELA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ STEFANO che ha concluso per accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato GAETANO IROLLO; udito l’Avvocato MANUELA MASSA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Napoli, con sentenza n. 6632 del 20 novembre 2017, in riforma parziale della sentenza di primo grado e rigettando l’impugnazione proposta da B.M. nella qualità di erede C.A., ha dichiarato improponibile la domanda proposta da quest’ultima al fine di ottenere il ripristino dell’assegno di invalidità civile, già riconosciutole dal 2003, che era stato revocato nel 2010 a seguito di visita di verifica effettuata dalla competente commissione medica.

2. Il primo giudice aveva rigettato la domanda ritenendola infondata alla luce della consulenza tecnica espletata e la Corte territoriale, dato atto che l’Inps aveva insistito per la declaratoria di improponibilità della domanda per carenza di domanda amministrativa, oltre che per la sua infondatezza, ha affermato di aderire al costante insegnamento di legittimità secondo il quale la domanda di ripristino della prestazione, al pari di quella concernente ad ottenere per la prima volta prestazioni negate in sede amministrativa, non dà luogo ad una impugnativa del provvedimento amministrativo di revoca, ma riguarda il diritto del cittadino ad ottenere la tutela che la legge gli accorda; conseguentemente, il giudice è chiamato ad accertare se sussista, o meno, il diritto alla prestazione – che non rimane sospesa in difetto di espressa previsione, ma si estingue – verificandone le condizioni di esistenza alla stregua dei requisiti richiesti ex lege, con riguardo alla legislazione vigente al momento della nuova domanda che è presupposto dell’azione, trattandosi del riconoscimento di un nuovo diritto del tutto diverso, ancorchè identico nel contenuto, da quello estinto per revoca.

3. Nel caso di specie, ha accertato la Corte territoriale, la parte non aveva dato prova di aver inoltrato domanda amministrativa, anzi aveva espressamente affermato di agire per il ripristino dell’assegno di invalidità civile revocato e non aveva contestato la circostanza pur a seguito dell’eccezione sollevata dall’Inps.

4. Avverso tale sentenza, ricorre B.M., erede di C.A., con due motivi, illustrati successivamente da memoria. Resiste con controricorso l’INPS.

6. La Sesta Sezione di questa Corte ha pronunciato ordinanza interlocutoria con la quale ha sollecitato l’intervento nomofilattico della Sezione ordinaria sulla questione della definitività o meno, ai fini della ricorribilità in giudizio, del provvedimento di revoca della prestazione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

7. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e o falsa applicazione degli artt. 343,345 e 346 c.p.c., in quanto la sentenza impugnata ha esaminato una eccezione proposta dalla parte e rigettata implicitamente in primo grado senza che sia stato proposto appello incidentale.

8. Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente denuncia violazione e o falsa applicazione del D.L. n. 323 del 1996, art. 4, comma 3-quater, convertito in L. n. 425 del 1996, come modif. dalla L. n. 449 del 1997, art. 52, nonchè del D.L. n. 269 del 2003, art. 42, comma 3, come convertito nella L. n. 326 del 2003, art. 24 Cost., D.L. n. 112 del 2008, art. 80, convertito in L. n. 133 del 2008, nonchè del D.M. n. 29 gennaio 2009, avente ad oggetto l’attuazione del piano di verifica delle invalidità civili, nonchè della L. n. 102 del 2009, art. 20, comma 2.

8.1. In particolare, la ricorrente sostiene che il testo del D.L. n. 323 del 1996, art. 3-quater, convertito con modificazioni in L. n. 425 del 1996 e poi modificato dalla L. n. 449 del 1997, art. 52, là dove prevede all’interno delle disposizioni relative alla verifica della invalidità civile che “avverso il provvedimento di revoca è ammesso ricorso al giudice ordinario”, non abbia subito mai alcuna abrogazione o modifica ad opera delle successive misure di verifica della permanenza dello stato di invalidità (introdotte dai testi legislativi sopra citati) e che, dunque, nell’ipotesi di accertamento dell’insussistenza dello stato invalidante con consequenziale revoca della prestazione, la tutela giudiziale sarebbe direttamente correlata al provvedimento di revoca, senza bisogno di esperire un nuovo procedimento amministrativo. La sentenza impugnata, inoltre, avrebbe richiamato un orientamento giurisprudenziale di legittimità relativo alla diversa ipotesi della verifica dell’insussistenza del requisito reddituale e, dunque, inconferente.

9. L’ordinanza interlocutoria n. 23607 del 2019, prendendo le mosse dalla prospettazione della ricorrente, chiede un approfondimento nomofilattico della questione relativa alla definitività o meno del provvedimento di revoca ai fini della sua idoneità a determinare l’estinzione del diritto alla prestazione assistenziale e, quindi, della necessità di presentare una nuova domanda amministrativa per ottenere nuovamente la medesima prestazione.

RAGIONI DELLA DECISIONE;

10. Il ricorso è infondato.

11. Quanto al primo motivo, va ricordato che, da quanto emerge dalla sentenza impugnata e dagli atti di causa riportati dal ricorrente, la sentenza di primo grado, affrontando il merito della questione relativa all’effettivo miglioramento delle condizioni sanitarie in cui versava la parte ricorrente, aveva sotto questo unico profilo rigettato la domanda. Non era stata eccepita dall’INPS, in sede di costituzione in primo grado, l’improponibilità della domanda per carenza della domanda amministrativa, poi sollevata in appello e sulla quale la sentenza impugnata ha basato la propria decisione.

In sostanza, la sentenza impugnata ha accertato l’improponibilità della domanda giudiziale per carenza di quella amministrativa accogliendo la richiesta formulata dall’Inps, totalmente vittorioso in primo grado, per la prima volta in appello.

12. La pronuncia è pienamente legittima, in quanto il rigetto della domanda per ragioni di merito, non implica alcuna statuizione implicita sull’ammissibilità di tale domanda, destinata a passare in giudicato se non specificamente impugnata. Ne consegue che, in tale ipotesi, il giudice di secondo grado, investito dell’appello principale della parte rimasta soccombente sul merito, conserva – pur in assenza di appello incidentale, sul punto, della parte rimasta vittoriosa sul merito – il potere, e quindi il dovere, di rilevare d’ufficio l’inammissibilità di detta domanda (si veda sul punto Cass. n. 7941 del 2020).

13. Inoltre, la preventiva presentazione della domanda amministrativa costituisce un presupposto dell’azione, mancando il quale la domanda giudiziaria non è improcedibile, con conseguente applicazione della L. 11 agosto 1973, n. 533, art. 8 e art. 148 disp. att. c.p.c., ma improponibile, determinandosi in tal caso una temporanea carenza di giurisdizione, rilevabile in qualsiasi stato e grado del giudizio (Cassazione n. 5149 del 12/03/2004) prescindendo dal comportamento processuale tenuto dall’ente previdenziale convenuto, atteso che la suddetta presentazione è configurabile come condizione di proponibilità della domanda giudiziaria e non quale elemento costitutivo della pretesa azionata in giudizio (Cassazione n. 11756 del 2004; Cass. n. 26146 del 2010).

Peraltro, come affermato da Cass. SS.UU. n. 26019 del 2008, il potere di controllo delle nullità (non sanabili o non sanate), esercitabile in ogni grado del giudizio, mediante proposizione della questione per la prima volta in sede di impugnazione ovvero mediante il rilievo officioso da parte del giudice, va ritenuto compatibile con il sistema delineato dall’art. 111 Cost., allorchè si tratti, tra altre ipotesi, di quelle riconducibili a carenza assoluta di “potestas iudicandi” – come il difetto di legitimatio ad causam o dei presupposti dell’azione, la decadenza sostanziale dall’azione per il decorso di termini previsti dalla legge, la carenza di domanda amministrativa di prestazione previdenziale, od il divieto di frazionamento delle domande, in materia di previdenza ed assistenza sociale (per il quale la legge prevede la declaratoria di improcedibilità in ogni stato e grado del procedimento) -; in tutte queste ipotesi, infatti, si prescinde da un vizio di individuazione del giudice, poichè si tratta non già di provvedimenti emanati da un giudice privo di competenza giurisdizionale, bensì di atti che nessun giudice avrebbe potuto pronunciare, difettando i presupposti o le condizioni per il giudizio.

12. Quanto al secondo motivo, va preliminarmente osservata la assoluta novità della prospettazione della fattispecie concreta, sostenuta dalla difesa del ricorrente durante la discussione, quale ipotesi di azione proposta avverso un provvedimento di sospensione della prestazione assistenziale in fruizione, anzichè di revoca della medesima.

La sentenza impugnata e gli stessi atti di parte riferiscono che la domanda giudiziaria fu proposta a seguito della revoca dell’assegno di invalidità civile in precedenza fruita per cui a tale situazione fattuale va riferita la decisione. L’odierna denuncia di illegittimità di un provvedimento di mera sospensione della prestazione in luogo di quello di revoca, comporta inevitabilmente l’introduzione di una nuova “causa petendi”, realizzata attraverso la prospettazione di nuove circostanze con mutamento dei fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio, introducendo nel processo un nuovo tema di indagine e di decisione che finirebbe per alterare l’oggetto sostanziale dell’azione ed i termini della controversia. Ciò non è consentito all’interno del giudizio di cassazione, posto che lo stesso si caratterizza per la cristallizzazione delle situazioni fattuali emerse nei gradi di merito ove, peraltro, opera il divieto della introduzione del novum in grado d’appello, ai sensi dell’art. 345 c.p.c..

13. Quanto al contenuto del secondo motivo, in continuità con Cassazione n. 28445 del 2019, deve dirsi consolidato l’orientamento di questa Corte di legittimità (Cass. n. 3404 del 2006, n. 4254 del 2009, n. 11075 del 2010, n. 6590 del 2014, 4788 del 2019), secondo il quale:

– la domanda di ripristino della prestazione (sia essa determinata dalla negativa verifica della permanenza del requisito sanitario che di quello socioeconomico), al pari di quelle concernenti il diritto ad ottenere per la prima volta prestazioni negate in sede amministrativa, non dà luogo ad un’impugnativa del provvedimento amministrativo di revoca, ma riguarda il diritto del cittadino ad ottenere la tutela che la legge gli accorda;

– conseguentemente, il giudice è chiamato ad accertare se sussista, o meno, il diritto alla prestazione, verificandone le condizioni di esistenza alla stregua dei requisiti richiesti ex lege, con riguardo alla legislazione vigente al momento della nuova domanda, trattandosi del riconoscimento di un nuovo diritto del tutto diverso, ancorchè identico nel contenuto, da quello estinto per revoca;

– pertanto, l’interessato, intendendo ottenere il ripristino della prestazione, è tenuto a presentare una nuova domanda amministrativa, condizione di proponibilità della domanda giudiziale, dovendosi altresì escludere che il venir meno di un requisito costitutivo del diritto comporti la mera sospensione del beneficio in godimento, in quanto il temporaneo venire meno di uno dei requisiti costitutivi comporta, secondo la regola generale, l’estinzione del diritto al godimento;

– infatti, a meno che non sia prevista dalla legge la possibilità di una “sospensione” della prestazione, l’effetto non può che essere la “perdita” della prestazione medesima con decorrenza dalla medesima data, essendo l’istituto della sospensione previsto solo in casi tassativamente indicati, come sancito per la pensione di invalidità (ante L. n. 222 del 1984), giacchè il R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636, art. 10, convertito nella L. 6 luglio 1939, n. 1272, nel testo modificato dalla L. 11 novembre 1983, n. 638 (di conversione del D.L. 12 settembre 1983, n. 463) disponeva che “La pensione di invalidità non è attribuita, e se attribuita, ne resta sospesa la corresponsione, nel caso in cui l’assicurato ed il pensionato… siano percettori…”;

– ove invece la sospensione non venga prevista, devesi ritenere che, una volta venuto meno uno dei requisiti costitutivi, da quel momento in avanti si estingue definitivamente il diritto alla prestazione;

– è indubbio poi che tale diritto possa sorgere nuovamente in momento successivo, ma in tal caso, secondo i principi generali, occorre avere riguardo ai requisiti vigenti al momento della nuova domanda, non potendosi ipotizzare;

– per il solo fatto che una volta quel diritto sussisteva – la perpetuazione di quelli precedenti, non più validi ratione temporis (così Cass. n. 8943 del 2004, in motivazione);

– in tema di prestazioni previdenziali e assistenziali, la preventiva presentazione della domanda amministrativa costituisce un presupposto dell’azione, mancando il quale la domanda giudiziaria non è improcedibile, con conseguente applicazione della L. 11 agosto 1973, n. 533, art. 8 e art. 148 disp. att. c.p.c., ma improponibile, determinandosi in tal caso una temporanea carenza di giurisdizione, rilevabile in qualsiasi stato e grado del giudizio;

– tale opzione ermeneutica risulta maggiormente rispettosa della ratio sottesa alle prestazioni assistenziali che, alla stregua dell’art. 38 Cost., induce a preferire soluzioni volte a riconoscere le prestazioni assistenziali solo in presenza di effettivi bisogni e a rifuggire da soluzioni suscettibili di creare ingiustificate disparità di trattamento nell’area di quanti dette prestazioni rivendicano, disparità che finirebbe per crearsi, con riferimento ai requisiti per usufruire delle stesse, tra coloro che chiedono per la prima volta dette prestazioni e quanti, invece, avendo di queste già goduto, ne pretendono un perdurante godimento pur in presenza di mutate, e più favorevoli, condizioni reddituali.

14. A fronte di tale costante orientamento, la parte ricorrente offre una ricostruzione sistematica del tutto difforme da quella seguita da questa Corte di legittimità e, affermando erroneamente che l’orientamento stesso si riferisca esclusivamente alle ipotesi di revoca per sopraggiunte variazioni reddituali, prende le mosse dal contenuto del D.L. n. 323 del 1996, art. 4, comma 3-quater, convertito con modificazioni in L. n. 425 del 1996 e poi modificato dalla L. n. 449 del 1997, art. 52, laddove prevede, all’interno delle disposizioni relative alla verifica dello stato di invalidità civile, che “avverso il provvedimento di revoca è ammesso ricorso al giudice ordinario”, per ricavarne la regola della tutela giudiziale impugnatoria nei confronti del provvedimento di revoca della prestazione, senza necessità di presentare nuova domanda amministrativa.

15. La tesi non può trovare accoglimento per varie ragioni.

16. In primo luogo, perchè essa attribuisce valore sistemico ad una disposizione che non può assumere tale rilevanza perchè si colloca all’interno di una peculiare procedura straordinaria di verifica e controllo della effettiva sussistenza e permanenza dei requisiti per l’erogazione delle prestazioni assistenziali di invalidità civile giacchè l’art. 4 cit., ha previsto, entro il 30 novembre 1996, per i minorati civili che alla data predetta risultavano titolari di pensioni, assegni e indennità, che i medesimi fossero obbligati a presentare al Ministero del tesoro un’autocertificazione che ne attestasse le condizioni di salute, con particolare riferimento alle infermità che avevano dato luogo al riconoscimento del beneficio economico di invalidità civile. Ciò unitamente all’effettuazione, da parte dell’allora Ministero del Tesoro, a mezzo delle indicate commissioni mediche, di almeno 150.000 verifiche sanitarie.

16.1. Peraltro, tale attività di verifica si innestava all’interno dell’assetto procedimentale amministrativo vigente all’epoca, ove era prevista (della L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 11, commi 1, 2, 3 e 4 e dal D.P.R. n. 698 del 1994), anche per le prime concessioni delle prestazioni, la netta separazione del procedimento di accertamento sanitario da quello finalizzato all’erogazione della prestazione, con incidenza sul rispettivo soggetto legittimato in sede giudiziale.

16.2. La scelta del legislatore di concentrare l’attività di verifica in capo al Ministero del Tesoro, poi Economia e Finanze, è stata confermata anche dalla L. n. 448 del 1997 ed in questo senso l’art. 37, di tale legge è stato interpretato da questa Corte di cassazione (cfr. Cass. 5 giugno 2004 n. 10715; 3 marzo 2003 n. 3140; 14 gennaio 2003, n. 446; 22 luglio 2005 n. 15511) con la consequenziale attribuzione della legitimatio ad causam ad un soggetto diverso dall’INPS, titolare del rapporto obbligatorio ex lege (ai sensi del D.Lgs. n. 112 del 1998 cit., art. 130, comma 1); si è affermato che tale attribuzione costituisce il riflesso processuale di una misura di organizzazione amministrativa, con la conseguenza che il Ministero sta in giudizio quale sostituto processuale del debitore e quest’ultimo, in quanto parte sostanziale che subisce gli effetti del giudicato, può intervenire nel giudizio, ma non subentrare al sostituto, poichè la legge regolamenta in modo diverso tale situazione nell’ambito del processo (cfr. Cass. n. 446 del 2003 cit; Cass. 20 febbraio 2006 n. 3595).

17. L’espressa indicazione della possibilità di esperire tutela giudiziale nell’ipotesi di provvedimento di revoca, seguita al procedimento analiticamente scandito dall’art. 4 comma 3-quater cit., va letta esclusivamente in questo contesto di separazione di procedimenti di accertamento (ed in questo caso di verifica di permanenza) dei requisiti sanitari rispetto al procedimento di erogazione della prestazione assistenziale, quale chiara indicazione della titolarità della funzione di verifica svolta dal Ministero del Tesoro, che si traduce in provvedimento idoneo a determinare la definitiva estinzione del diritto alla prestazione.

18. Ciò è dimostrato, chiaramente, anche dalla circostanza che non viene riprodotta analoga affermazione per l’ipotesi della verifica del requisito reddituale, di cui al medesimo art. 4 cit., comma 3-septies, nei confronti dei beneficiari di pensione o assegno di invalidità civile e che prevede, in caso di accertamento di redditi superiori ai limiti prescritti, che la Direzione generale ne dia comunicazione alla competente prefettura, all’epoca titolare del separato procedimento di erogazione della prestazione economica, per l’adozione del provvedimento di revoca.

19. Qualora, come sarebbe stato corretto, la parte ricorrente avesse inquadrato la fattispecie concreta in esame all’interno del sistema normativo vigente al momento in cui fu adottata la revoca cui ha inteso reagire, ugualmente si sarebbe pervenuti alla conclusione dell’applicazione dei principi sin qui affermati da questa Corte di cassazione.

20. In particolare, la L. n. 102 del 2009, art. 20, comma 2, di conversione, con modificazioni, del D.L. n. 78 del 2009, ha previsto: “l’INPS accerta la permanenza dei requisiti sanitari nei confronti dei titolari di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità ed in caso di comprovata insussistenza dei prescritti requisiti sanitari, si applica l’art. 5, comma 5 del Regolamento di cui al D.P.R. 21 settembre 1994, n. 698. Per il triennio 20102012 l’INPS effettua, con le risorse umane e finanziarie previste a legislazione vigente, in via aggiuntiva all’ordinaria attività di accertamento della permanenza dei requisiti sanitari e reddituali, un programma di 100.000 verifiche per l’anno 2010 e di 250.000 verifiche annue per ciascuno degli anni 2011 e 2012 nei confronti dei titolari di benefici economici di invalidità civile”.

21. Il D.P.R. n. 698 del 1994, art. 5, comma 5, poi, prevede: “Nel caso di accertata insussistenza dei requisiti prescritti per il godimento dei benefici si dà luogo alla immediata sospensione cautelativa del pagamento degli stessi, da notificarsi entro trenta giorni dalla data del provvedimento di sospensione.

Il successivo formale provvedimento di revoca produce effetti dalla data dell’accertata insussistenza dei requisiti prescritti. In caso di revoca per insussistenza dei requisiti, in cui vengono rilevati elementi di responsabilità per danno erariale, i prefetti sono tenuti ad inviare copia del provvedimento alla Corte dei conti per eventuali azioni di responsabilità”.

22. Queste disposizioni, a loro volta, si inseriscono all’interno della regolamentazione del procedimento amministrativo relativo all’accertamento delle invalidità civili introdotto dal D.L. n. 269 del 2003, art. 42, comma 3, convertito in L. n. 326 del 2003, secondo il quale: “A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto non trovano applicazione le disposizioni in materia di ricorso amministrativo avverso i provvedimenti emanati in esito alle procedure in materia di riconoscimento dei benefici di cui al presente articolo. La domanda giudiziale è proposta, a pena di decadenza, avanti alla competente autorità giudiziaria entro e non oltre sei mesi dalla data di comunicazione all’interessato del provvedimento emanato in sede amministrativa”; dette disposizioni si sovrappongono, stante l’accentramento di competenze in materia nei riguardi dell’INPS iniziato con il D.Lgs. n. 112 del 1998, art. 130, al disposto del comma 4, che regolava la verifica della sussistenza dei requisiti medico-legali effettuata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze – Direzione Centrale degli Uffici Locali e dei Servizi del Tesoro – nei confronti dei titolari delle provvidenze economiche di invalidità civile, cecità e sordomutismo, prevedendo, nel caso in cui il giudizio sullo stato di invalidità non comporti la conferma del beneficio in godimento, la sospensione dei pagamenti e l’operatività del conseguente provvedimento di revoca con decorrenza dalla data della verifica.

23. Come è evidente, la disciplina delle verifiche di permanenza dei presupposti sanitari e reddituali per l’erogazione delle prestazioni di invalidità civile già riconosciute, pur variando nel tempo quanto ai profili di titolarità della competenza amministrativa, costituisce un dato strutturale del diritto ai trattamenti stessi (come si evince testualmente dalla L. n. 118 del 1971, art. 13, che si riferisce al “tempo in cui tale condizione sussiste”) e ciò è del tutto comprensibile alla luce della funzione sociale che la prestazione pubblica assolve, in applicazione degli obblighi imposti dall’art. 38 Cost., mediante l’impiego di risorse pubbliche.

24. Dunque, è la legge che obbliga l’amministrazione ad operare le verifiche sanitarie e reddituali e che regola senza margine alcuno di discrezionalità le conseguenze dell’accertamento negativo, con ciò imponendo alla stessa amministrazione un obbligo di conformazione a tali regole e, in ultima analisi, anche a provocare l’effetto estintivo del rapporto obbligatorio esistente.

25. In definitiva, la disamina della normativa sin qui ricordata consente di affermare che, ove la verifica amministrativa, prevista obbligatoriamente dalla legge di settore come ordinariamente finalizzata ad accertare la permanenza dei requisiti sanitari e reddituali, si concluda con la revoca della prestazione, tale atto determini inevitabilmente l’estinzione del diritto, senza possibilità di considerare come un unicum il precedente rapporto obbligatorio sorto dal riconoscimento del diritto ormai estinto, con la conseguenza della necessità di proporre una nuova domanda se l’interessato ritiene di trovarsi in situazione idonea.

26. Neanche incrinano la ricostruzione sistematica sin qui fatta propria da questa Corte di legittimità le considerazioni svolte in sede di memoria e che fanno leva su argomenti ulteriori, sostanzialmente riconducibili a paventati profili di violazione del diritto dell’invalido al mantenimento ininterrotto e senza soluzione di continuità della fruizione della prestazione nell’ipotesi in cui si accerti che la prestazione gli sia stata ingiustamente revocata.

27. In primo luogo, il ricorrente non interpreta correttamente il quadro normativo di riferimento là dove afferma che il provvedimento di revoca diventerebbe definitivo solo dopo il decorso del termine di sei mesi previsto dal D.L. n. 269 del 2003, art. 42, comma 3, convertito in L. n. 326 del 2003, essendo evidente che il termine in questione non è destinato a rendere definitiva l’estinzione del diritto, tale per volontà di legge, ma ad inibire all’interessato l’azione giudiziale per ovvie ragioni di certezza sulle previsioni di spesa.

28. Inoltre, poichè il D.L. n. 78 del 2009, art. 20, comma 2, ha richiamato il disposto del D.P.R. n. 698 del 1994, art. 5, comma 5, la revoca è preceduta dalla sospensione cautelativa della prestazione, che viene comunicata entro trenta giorni all’interessato.

29. Dunque, nulla vieta all’interessato, che ritenga infondata l’azione amministrativa di verifica dei presupposti per il mantenimento dell’erogazione del trattamento, di tutelare già in sede di sospensione il diritto alla prestazione (l’erogazione è appunto solo sospesa e il diritto non è ancora estinto), mediante tempestiva azione giudiziaria che si giustifica quanto ad interesse ad agire per l’indubbia attualità della lesione patrimoniale che deriverebbe dalla illegittimità della misura cautelativa e che non richiede alcuna nuova domanda amministrativa, essendo la sospensione prevista espressamente dalla legge (vd. Cass. n. 6590 del 2014 cit. ed i richiami ivi effettuati).

30. Viceversa, ove la revoca sia stata effettivamente adottata, con il consequenziale definitivo effetto estintivo, l’interessato deve presentare una nuova domanda e ciò può avvenire anche il giorno successivo a quello in cui la revoca viene formalizzata e comunicata. In questo caso, purchè il procedimento amministrativo o il successivo accertamento giudiziale dimostrino l’effettiva sussistenza dei requisiti necessari per ottenere le provvidenze sin dalla data della domanda, si porrebbe solo un problema di decorrenza della prestazione che, però, nel caso di specie non ricorre.

31. In definitiva, il ricorso va rigettato.

32. Non si deve provvedere sulle spese avendo il ricorrente reso la dichiarazione di esonero prevista dall’art. 152 disp. att. c.p.c..

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 7 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2020

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