Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27353 del 29/12/2016


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Cassazione civile, sez. II, 29/12/2016, (ud. 19/07/2016, dep.29/12/2016),  n. 27353

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – rel. Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5983-2012 proposto da:

R.S., (OMISSIS), per sè e quale procuratore di R.P. –

(OMISSIS), RU.PA. (OMISSIS), R.M. (OMISSIS),

G.P. (OMISSIS), G.M. (OMISSIS), GR.MA.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in Roma, Viale Liegi 10, presso

lo studio dell’avvocato DAVID ANDREA CARLEVALE, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato SERGIO RUSSO, come da procure

speciali in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

CONSORZIO COMUNIONE CONSORZIO RIO CLARO I, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via

Lucrezio Caro 67, presso lo studio dell’avvocato ALFREDO BARBIERI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ENRICO CELLINI, come da procura

speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

F.F.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3686/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 14/09/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/07/2016 dal Consigliere Ippolisto Parziale;

udito l’Avvocato Francesca Orlandi per delega Sergio Russo e l’avv.to

Francesco Innocenti per delega Enrico Cellini, che si riportano agli

atti e alle conclusioni assunte;

udito il sostituto procuratore generale, dott. RUSSO Rosario, che

conclude per l’inammissibilità del ricorso e condanna aggravata

alle spese.

Fatto

FATTI DI CAUSA

A. Così la sentenza impugnata riassume la vicenda processuale.

1. ” R.P., R.S., Ru.Pa., R.M., R.V., G.P., G.M. e G.R. citavano a giudizio davanti al Tribunale di Latina, sezione distaccata di Terracina, F.F., nella sua asserita qualità di amministratore della Comunione Consorzio Rio Claro chiedendo che fosse dichiarata inesistente, nulla o annullabile la deliberazione assembleare del 3 – 5/2003 della c. d. Comunione Consorzio Rio Claro 1. Rappresentavano gli attori di essere proprietari di immobili siti in Salto di Fondi inclusi nella lottizzazione Rio Claro e che con rogito notar S. del 1965 era stato costituito il Consorzio Rio Claro 1 allo scopo di provvedere alla organizzazione e al funzionamento dei servizi ritenuti necessari ed opportuni, approvandone il relativo regolamento; che nel 1980, ritenuta la opportunità di trasformare il Consorzio in amministrazione di tipo condominiale e ritenuto di trovarsi nella comunione prevista dall’art. 1100 c.c., l’assemblea straordinaria dei consorzisti aveva deliberato, con 3.235 voti su 4.829, la costituzione della Comunione Consorzio Rio Claro 1, approvando il relativo regolamento. Da quella data il Consorzio, anche se non espressamente sciolto, aveva cessato di operare. Assumevano gli attori che la Comunione Consorzio Rio Claro 1 non poteva ritenersi una mera tra formazione della denominazione dell’originario Consorzio, ma un organismo nuovo e totalmente diverso e che la Comunione era da ritenersi giuridicamente inesistente ab initio per mancanza di beni appartenenti in comune ai proprietari delle unità immobiliari site nel comprensorio e che, comunque, la Comunione era cessata di diritto il 24 agosto 1990 ex art. 1111 c.c. per effetto del decorso dei dieci anni dalla sua costituzione. Gli attori, evocate le statuizioni del Giudice di Pace di Terracina del 14/7/2000 con le quali era dichiarata la carenza di legittimazione attiva dell’Amministratore a richiedere il pagamento di somme per quote condominiali, deducevano la illegittimità della Delib. 3 maggio 2003 adottata a seguito di convocazione da parte dell’Amministratore dell’assemblea della Comunione Consorzio Rio Claro 1: 1) perchè la delibera disponeva la trasformazione del regolamento della Comunione, sulla assunta mancata decadenza del precedente Consorzio, senza previa indicazione del punto all’ordine del giorno; 2) perchè gli asseriti crediti della Comunione nei confronti degli attori (indicati nel bilancio consuntivo approvato con la delibera impugnata) non erano dovuti in quanto gli attori non avevano mai fatto parte del predetto ente dì gestione, peraltro mai costituito, e che, in ogni caso, la Comunione era giuridicamente inesistente e carente di legittimazione attiva, come statuito dal Giudice di Pace; 3) la pretesa creditoria non poteva essere attribuita al “Consorzio Rio Claro” per non essere stati i diritti ad esso inerenti non più esercitati dal 1980. Si costituiva in persona l’Amministratore p. t. F.F. che, atteso il disconoscimento della Comunione Consorzio Rio Claro 1 e del Consorzio Rio Claro e la dedotta carenza di legittimazione attiva chiedeva integrarsi il contraddittorio avverso tutti i partecipanti al Consorzio. Nel merito contestava la avversa domanda di cui chiedeva il rigetto, deducendo il diritto del Consorzio di gestire i beni del medesimo e dei consorziati. Successivamente si costituiva il Consorzio Comunione Consorzio Rio Claro I che insisteva nella integrazione del contraddittorio. Nel merito precisava che la Delib. 24 agosto 1980 mutava solamente il tipo di amministrazione del Consorzio che perdurava nella sua giuridica valenza. Aggiungeva che la delibera predetta, sebbene non totalitaria, era al più annullabile e poichè non impugnata era valida ed efficace. Alla udienza del 7/6/2004 la causa veniva trattenuta in decisione”.

2. “Con sentenza n. 462 emessa in data 3/11/2004 il Tribunale di Latina, sezione distaccata di Terracina, dichiarava la nullità ed annullava la delibera assembleare del 3/5/2003 e condannava la parte convenuta a rifondere agli attori le spese del giudizio”.

3. “… il Consorzio Comunione Consorzio Rio Claro I e F.F. proponevano appello sulla base di un solo motivo. R.P., R.S., Ru.Pa., R.M., R.V., G.P., G.M. e G.R. chiedevano il rigetto dell’appello perchè infondato. Alla udienza del 13/11/2008 il giudizio veniva dichiarato interrotto per la morte di G.R.. Il giudizio veniva riassunto su istanza di parte appellante. Nel giudizio riassunto si costituivano R.P., R.S., Ru.Pa., R.M., R.V., G.P., G.M. e Gr.Ma., questi ultimi tre anche come eredi di G.R.”.

4. La Corte di appello di Roma accoglieva il gravame e rigettava l’impugnazione della Delib. assembleare 3 maggio 2003. Condannava gli appellati, compresa Gr.Ma., alle spese del doppio grado.

4.1 – Riteneva la Corte locale che era incontestato che gli immobili degli odierni ricorrenti in primo grado ricadevano nel comprensorio del Consorzio costituito nel 1965, dal cui atto costitutivo risultava l’obbligo di provvedere alla manutenzione delle strade e degli impianti di “interesse comune”. Rilevava sempre la Corte locale che la partecipazione al Consorzio determinava l’obbligo di versare la quota stabilita e che nei “poteri del Consorzio” vi era quello di adottare la disciplina più confacente alla regolamentazione degli interessi comuni. Di qui la Delib. del 1980, che senza sciogliere il Consorzio, aveva approvato una nuova regolamentazione, ritenuta l’applicabilità della normativa sulla comunione. Rilevava ancora la corte d’appello che la delibera impugnata del 2003 era stata assunta sul presupposto della “continuità” giuridica del consorzio Rio Claro I, che non era venuto meno, assumendo invece una nuova denominazione. Non vi era stata alcuna estinzione del Consorzio e le somme erano quindi dovute.

5. Impugnano tale decisione i ricorrenti che articolano due motivi. Resiste l’intimato che deposita controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I motivi del ricorso.

1.1 – Col primo motivo si deduce: “ex art. 360 c.p.c., n. 3, violazione o falsa applicazione di norme di diritto”. La Corte locale ha deciso in “contrasto sostanziale… con l’art. 1105 c.c., comma 3 e art. 1109 c.c., n. 2”, con conseguente violazione dell’art. 112 c.p.c.. Osservano i ricorrenti che non era stata posta “alla valutazione del giudice la qualificazione giuridica dell’ente convenuto, che deve essere oggetto di altro e diverso giudizio”. Osservano, nella parte espositiva del ricorso, che “tanto il Tribunale che la Corte di Appello erano incorsi nel c. d. error in iudicando, con conseguente violazione dell’art. 112 c.p.c., e come tale censurabile in Cassazione”, in quanto erano andati “in entrambi i gradi di giudizio… oltre il domandato, arrivando ad ampliare il petitum fino a decidere su domande che non erano state proposte”. Aggiungono di aver proposto tale motivo anche in appello, senza che la Corte locale avesse “argomentato sul punto”. Rilevano che “l’accertamento della nullità di una delibera (condominiale) per ragioni differenti rispetto a quelle dedotte rappresenta un caso di extrapetizione, come stabilito dalla S.C. nella sent. 13732105. Ulteriormente nel merito va considerato che sia il Tribunale che la Corte di Appello avrebbero dovuto valutare la validità o meno della delibera alla luce dell’art. 1105 c.c., comma 3 e art. 1109 c.c., n. 2 posto che le doglianze di parte attrice attenevano proprio a un vizio di completezza dell’ordine del giorno. In relazione a tali fatti non ha alcun rilievo la natura giuridica dell’ente dal momento che tale questione avrebbe dovuto essere oggetto di uno specifico giudizio di accertamento”. Osservano che “la convocazione dell’assemblea e la conoscenza dell’ordine del giorno sono presupposti di validità della delibera; di conseguenza è necessario che l’avviso di convocazione elenchi gli argomenti da trattare sì da far comprendere i termini essenziali di essi e consentire agli aventi diritto le conseguenti determinazioni anche in ordine alla eventuale partecipazione alla assemblea”. Da ciò deriva l’annullabilità della delibera, che era stata impugnata (perchè nell’ordine del giorno non era indicata la variazione del periodo di gestione, presupposto logico e giuridico perchè potesse essere discusso e approvato sia un consuntivo parziale che un preventivo riferito a un periodo diverso”. Concludono affermando che “vi sia stata, sia in primo che in secondo grado, erronea e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 1105 c.c., comma 3 e art. 1109 c.c., n. 2 con conseguente omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione delle sentenze su punti fondamentali della controversia”.

1.2 – Col secondo motivo si deduce: “art. 360 c.p.c., n. 5, omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, perchè la Corte di appello “non ha preso in esame le motivazioni addotte dalla evocata in giudizio Gr.Ma., e con le quali la stessa chiedeva di essere estromessa dal giudiuzio medesimo in quanto, avendo rinunciato all’eredità del figlio, come parimenti ne aveva fatto il marito e padre avv. G.V., anch’egli nel frattempo deceduto, non è erede di G.R.”.

2. Il ricorso è infondato e va rigettato.

2.1 – Il primo motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

La prima censura riguarda la violazione dell’art. 112 c.p.c. per aver la Corte locale, senza specifica domanda, provveduto alla qualificazione giuridica del consorzio. Tale censura è infondata perchè la Corte territoriale ha provveduto nell’ambito delle questioni poste al suo esame, rispetto alle quali la corretta qualificazione della natura giuridica del consorzio era appunto una delle questioni controverse.

E’ invece inammissibile l’altra censura del primo motivo, relativa alla mancata indicazione nell’ordine del giorno della variazione del periodo di gestione ai fini dell’approvazione delle relative spese, perchè nei termini indicati la questione, non trattata dalla Corte di appello, non risulta oggetto di specifica censura in tale sede, con conseguente carenza di autosufficienza sul punto.

2.2 – Il secondo motivo è inammissibile. Si lamenta la mancata pronuncia sulla richiesta di estromissione dal giudizio avanzata da Gr.Ma., articolandosi la censura con riguardo all’art. 360 c.p.c., n. 5. Resta al riguardo applicabile il condivo arresto di questa Corte a sezioni unite (n. 17931 del 24/07/2013, Rv. 627268) secondo cui “il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnnione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentena, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 con riguardo all’art. 112 c.p.c., purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge”.

3. Le spese seguono la soccombenza. Non può essere accolta la domanda di condanna aggravata alle spese, richiesta dal Procuratore Generale d’udienza, non costando che il ricorrente abbia abusato dei suoi poteri processuali e che abbia agito in manifesta mala fede.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente alle spese di giudizio, liquidate in 2.500,00 (duemilacinquecento) Euro per compensi e 200,00 (duecento) Euro per spese, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 19 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2016

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