Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27352 del 29/12/2016


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Cassazione civile, sez. II, 29/12/2016, (ud. 19/07/2016, dep.29/12/2016),  n. 27352

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – rel. Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 4648-2012 proposto da:

G.A., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma, Via

XX Settembre 118, presso lo studio dell’avvocato MAURO FIORE,

rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO LUIGI BRASCHI, come

da procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

GU.MA., CONDOMINIO VIA (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 7685/2011 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il

13/04/2011;

udita la relazione della causa svolta nella 19/07/2016 dal

Consigliere Ippolisto Parziale;

udito l’Avvocato Luigi Francesco Braschi, che conclusioni assunte;

udito il sostituto procuratore generale, dott. russo Rosario, che si

oppone alla produzione tardiva dell’avviso di ricevimento e che

conclude per l’accoglimento del ricorso con esclusione dell’ultimo

motivo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

A. Il ricorrente così riassume la vicenda processuale.

1. L’avv. Gu.Ma., quale usufruttuario dell’appartamento sito in (OMISSIS), citava in giudizio, nel febbraio 2003 innanzi al Giudice di Pace di Roma, G.A., quale proprietario di altro appartamento nello stesso stabile, nonchè il Condominio di (OMISSIS), lamentando immissioni sonore provenienti dal locale “cabina idrica” condominiale, riferibili all’installazione, da parte del G., di un “impianto idrico elettrico al fine di potenziare la fornitura idrica al suo i appartamento…”. Chiedeva di “ritenere e dichiarare il dott. G.A. e il Condominio di (OMISSIS) responsabili delle immissioni di rumore superiore ai limiti di decibel di tolleranza” con condanna di entrambi “a cessare da ogni comportamento da cui possa derivare immissione di rumori oltre la normale tollerabilità”.

2. “Con sentenza n. 26458/06 il Giudice di Pace di Roma accoglieva la domanda attorea e, per l’effetto: inibiva sine die l’uso del locale ex cassoni del 5 piano quale sede per l’installazione dell’impianto idrico di cui è causa ovvero di qualsivoglia altro impianto idrico dotato di pompa; ordinava la messa in atto di tutti i suggerimenti formulati dall’Ing. B. (C.T.U.) ed in particolare la rimozione dell’autoclave dall’attuale sede e la sua ricollocazione sopra al 6^ piano dove trovavasi o addirittura al piano terra come da altri suggerito; dichiarava tanto il condomino G. quanto l’Amministratore del Condominio di (OMISSIS) responsabili, per comportamenti commissivi o omissivi, dei danni subiti dall’attore nei 5 anni decorsi, da accertarsi e valutarsi in separato giudizio; condannava l’odierno ricorrente al pagamento delle spese di lite”.

3. Precisa ancora il ricorrente di aver proposto appello avverso tale decisione, lamentando: “la violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. nella parte in cui la sentenza del G. d. P, in difetto di domanda di parte, aveva inibito sine die l’utilizzo dell’ex locale cassoni per il ricovero di ogni impianto idrico dotato di pompa, e ciò indipendentemente dalle specifiche caratteristiche dello stesso; la violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. nella parte in cui il G. d. P. aveva sostanzialmente accolto la domanda risarcitoria tardivamente proposta dall’attore con le sole “note conclusionali” del 31.01.2005; la violazione del principio delle decadenze e preclusioni di cui all’art. 320 c.p.c. nella parte in cui il G. d. P. aveva sostanzialmente accolto la domanda risarcitoria proposta dall’attore solo in sede di precisazione delle conclusioni; che, in ogni caso, la domanda risarcitoria non era stata provata; l’inidoneità della C. T.U. espletata a rendere prova della natura intollerabile del lamentato fenomeno immissivo”.

4. La Corte di appello di Roma, nella contumacia dell’appellato Condominio, con la sentenza oggi impugnata respingeva il gravame con condanna alle spese.

4.1 – La Corte locale osservava che nelle conclusioni dell’atto di citazione, l’avv.to Gu. aveva chiesto “ritenere e dichiarare il dott. G.A. e il Condominio di (OMISSIS) responsabili delle immissioni di rumore superiore ai limiti di decibel di tolleranza presso l’abitazione dell’attore, conseguentemente condannare il medesimo dott. G.A., domiciliato in (OMISSIS) e il condominio di (OMISSIS) nella persona del suo Amministratore pro-tempore Arch. M.S., con studio in (OMISSIS), a cessare da ogni comportamento da cui possa derivare immissione di rumori oltre la normale tollerabilità nell’appartamento di (OMISSIS) di cui l’avv. Gu.Ma. è usufruttuario e rimuovere l’impianto o, in caso di comprovata necessità, adottare soluzioni non moleste per la quiete dei condomini e in particolare quella dell’attore. Con riserva di agire in separato giudizio per ottenere il risarcimento dei danni derivanti all’attore dall’immissione dei rumori lamentati”.

4.2 – Rilevava poi che la sentenza impugnata “quanto al profilo risarcitorio, al punto c) del dispositivo, testualmente riporta: “dichiara tanto il condomino G. quanto l’amm.ne del condominio di (OMISSIS) responsabili, per comportamenti commissivi o omissivi, dei danni subiti dall’attore nei 5 anni decorsi, da accertarsi e valutarsi in separato giudizio”.

4.3 – Sulla base di tali conclusioni, la Corte locale affermava che “E’ evidente, dal mero raffronto tra le rassegnate originarie conclusioni e il trascritto dictum decisionale che, contrariamente a quanto denunciato dall’appellante, il pronunciamento in esame non ha comminato condanna risarcitoria alcuna ma si è limitato – in adesione a conforme richiesta attorea – ad affermare la responsabilità dei convenuti quanto alla produzione di un fatto immissivo le cui conseguente lesive, in relazione sia all’an che al pertinente quantum, ciò anche su conforme istanza di parte, rinviava ad accertare in ulteriore instaurando giudizio”.

4.4 – Affermava poi la Corte locale che “avendo l’attore nel primo grado, come può evincersi dalle già trascritte conclusioni dell’atto di citazione, chiesto, in via alternativa, la condanna dell’appellante e/o del condominio appellato “a cessare da ogni comportamento da cui possa derivare immissione di rumori oltre la normale tollerabilità”, indi a “rimuovere l’impianto o, in caso di comprovata necessità, adottare soluzioni non moleste per la quiete dei condomini e in particolare quella dell’attore”, laddove, l’impugnata sentenza, come si legge nel suo dispositivo, inibiva “con effetto immediato l’uso del locale ex cassoni del 5 piano quale sede dell’attuale o di altri impianti idrici dotati di pompa, attesa la contiguità con una stanza non secondaria dell’appartamento int. (OMISSIS)” e ordinava “la messa in atto di tutti i suggerimenti formulati dall’ing. B. ed in particolare la rimozione dell’autoclave dall’attuale sede e la sua ricollocazione sopra al 6^ piano dove trovavasi o addirittura al piano terra come da altri suggerito, tenendo comunque conto di quanto comunicato dal somministratore acea con sua lettera 20.06.2005″ – punti A) e B) del dispositivo – si poneva in diretta e immediata contiguità di contenuto con la domanda postulata dall’attore, e ciò in fora dei risultati istruttori conseguiti – di cui ne dà atto nella relativa parte motiva – che avevano evidenziato come l’utilizzo di tale vano condominiale per l’alloggiamento di pompa idraulica travalicasse i limiti dettati dall’art. 1102 c.c. per il legittimo esercizio del diritto di condominio, sì da escludere la sussistenza della ultrapetizione lamentata dall’appellante”.

4.5 – Affermava ancora la Corte locale che “quanto, infine, al residuo motivo di gravame incentrato sulle erroneità ed inidoneità delle risultane della c.t.u. espletata in primo grado a dare processuale dimostgrazione della sussistenza del fenomeno immissivo, anch’esso non si presta a positivo apprezzamento e condivisione, atteso che l’ausiliare giudiziale – come congruamente e motivatamente riportato nell’appellata sentenza – all’esito di relative rilevazioni fonometriche curate nell’intero arco della giornata, rilevava che l’unità abitativa in disponibilità dell’appellato Gu. soffriva della derivazione di rumori promananti dal funzionamento della pompa allocata nel contiguo locale condominiale (dato, questo, che è razionalmente evincibile dal dato oggettivo dell’intensificazione del livello sonoro in corrispondenza dell’avvio del detto apparato e della sua elisione una volta bloccatane l’attivazione, pag. 7 relazione c.t.u.) e che risultava di sei dB superiore al rumore di fondo”.

Riteneva, quindi, superata la soglia della normale tollerabilità e sottolineava l’adeguatezza dell’impianto istruttorio, in ragione dell’ampio “arco temporale durante il quale le rilevazioni sono state eseguite, che ha abbracciato sia il giorno che la notte”.

5. Impugna tale decisione il ricorrente che formula cinque motivi. Nessuna attività in questa sede hanno svolto le parti intimate. Parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I motivi del ricorso.

1.1 – Col primo motivo si deduce: “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; violazione e/o falsa applicazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”.

Osserva il ricorrente che il Tribunale, a fronte della sua deduzione di violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., aveva affermato “”… avendo poi l’attore nel primo grado, come può evincersi dalle già trascritte conclusioni dell’atto di citazione, chiesto, in via alternativa, la condanna dell’appellante e/o del condominio appellato “a cessare da ogni comportamento da cui possa derivare immissione di rumori oltre la normale tollerabilità”, indi “a rimuovere l’impianto o, in caso di comprovata necessità, adottare soluzioni non moleste per la quiete dei condomini e in particolare quella dell’attore”, laddove, l’impugnata sentenza, come si legge nel suo dispositivo, inibiva “con effetto immediato l’uso del locale ex cassoni del 5^ piano quale sede dell’attuale o di altri impianti idrici dotati di pompa, attesa la contiguità con una stanza non secondaria dell’appartamento int. (OMISSIS)” e ordinava “la messa in atto di tutti i suggerimenti formulati dall’ing. B. ed in particolare la rimozione dell’autoclave dall’attuale sede e la sua ricollocazione sopra al 6^ piano dove trovavasi o addirittura al piano terra come da altri suggerito, tenendo comunque conto di quanto comunicato dal somministratore acea con sua lettera 20.06.2005” – punti A) e B) del dispositivo si poneva in diretta e immediata contiguità di contenuto con la domanda postulata dall’attore, e ciò in forza dei risultati istruttori conseguiti – di cui ne dà atto nella relativa parte motiva che avevano evidenziato come l’utilizzo di tale vano condominiale per l’alloggiamento di pompa idraulica travalicasse i limiti dettati dall’art. 1102 c.c. per illegittimo esercizio del diritto di condominio, sì da escludere la sussistenza della ultrapetizione lamentata dall’appellante… “.

Secondo il ricorrente il giudice dell’impugnazione ha errato perchè “ha attribuito all’Avv. Gu. un bene della vita che quest’ultimo non aveva mai domandato. Con l’atto di citazione introduttivo del presente giudizio – come innanzi chiarito – infatti, l’attore aveva richiesto unicamente la condanna del dott. G. nonchè del Condominio “… a cessare da ogni comportamento da cui possa derivare immissione di rumori oltre la normale tollerabilità nell’appartamento di (OMISSIS) di cui l’Avv. Gu.Ma. è usufruttuario…”” nonchè a “…rimuovere l’impianto o, in caso di comprovata necessità, adottare soluzioni non moleste per la quiete dei condomini e in particolare dell’attore…””. Rileva che “la condanna recante sine die all’uso del locale ex cassoni per l’installazione di una qualsivoglia pompa idraulica indipendentemente dalle caratteristiche tecniche della stessa presupponeva la formulazione da parte dell’attore di una specifica domanda in tal senso”. Aggiunge ancora il ricorrente che eliminazione delle immissioni sonore richiesta dall’Avv. Gu. non poteva essere confusa con la condanna all’inibizione perpetua all’uso di un locale condominiale quale sede di “…altri impianti idrici dotati di pompa…””. Rileva che “la statuizione recante l’inibizione sine die all’uso di un determinato locale condominiale per l’installazione di qualsivoglia tipologia di pompa idraulica (indipendentemente dalla capacità della stessa di generare rumori idonei a superare il limite della normale tollarabilità) non può essere ricompresa all’interno dei limiti della domanda formulata dall’Avv. Gu.”. Nè, conclude il ricorrente, può ritenersi che “tale domanda sia stata tacitamente proposta Gu.”.

1.2 – Col secondo motivo si deduce: “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; violazione e/o falsa applicazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”.

Lamenta il ricorrente che il Tribunale, a fronte dell’eccezione sollevata di tardività della domanda di risarcimento danni, ha affermato “”…che, contrariamente a quanto denunciato dall’appellante, il pronunciamento in esame non ha comminato condanna risarcitoria alcuna ma si è limitato – in adesione a conforme richiesta attorea – ad affermare la responsabilità dei convenuti quanto alla produzione di un fatto immissivo le cui conseguente lesive, in relazione sia all’an che al pertinente quantum, ciò anche su conforme istanza di parte, rinviava ad accertare in ulteriore instaurando giudizio…””. Rileva che la domanda era stata inammissibilmente proposta in sede di precisazione delle conclusioni e nelle note conclusionali, e che la sentenza di primo grado aveva “inteso accertare la responsabilità del dott. G. nella causazione di tali danni rinviando a separato giudizio per la quantificazione dei danni”.

1.3 – Col terzo motivo si deduce: “violazione e falsa applicazione dell’art. 320 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”. Osserva il ricorrente che “il capo di sentenza con la quale il G.d.P. ha sostanzialmente accolto la domanda risarcitoria Gu. è illegittimo” anche perchè tale domanda era stata avanzata in “violazione del principio delle decadenze e preclusioni previsto dall’art. 320 c.p.c.”, posto che nel giudizio avanti il giudice di pace, “dopo la prima udienza, non è più possibile proporre nuove domande o eccezioni o allegare a fondamento di esse nuovi fatti costitutivi, modificativi o estintivi (cfr. Cass. civ., sez 3, 04 gennaio 2010, n. 18)”.

1.4 – Col quarto motivo si deduce: “omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in ordine all’assenza di prove a supporto dell’accertamento della responsabilità del dott. G. per comportamenti commissivi ovvero omissivi dei danni subiti dall’attore, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”. Rileva il ricorrente che “nè il Giudice di prime cure nè tanto meno il Giudice d’appello, infatti, hanno dato conto degli elementi di prova sulla base dei quali hanno ritenuto di poter affermare la responsabilità del ricorrente in ordine alla produzione del fatto lesivo”.

1.5 – Col quinto motivo si deduce: “omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in ordine all’assenza di prove a supporto dell’accertamento della responsabilità del dott. G. per comportamenti commissivi ovvero omissivi dei danni subiti dall’attore, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”. Osserva il ricorrente che “il Giudice di Prime cure, con motivazione del tutto illogica e comunque insufficiente ed erronea, ha accolto la domanda proposta dall’attore in primo grado fondando il proprio convincimento sulle conclusioni rassegnate dalla Consulenza Tecnica senza tuttavia avvedersi delle numerose e decisive insufficienze sul piano scientifico e logico nonchè delle notevoli inesattezze e contraddizioni contenute all’interno della medesima consulenza”.

Il ricorrente quindi riporta la motivazione del giudice dell’appello al riguardo, contesta le conclusioni della CTU, indicandone le incongruenze, osservando che le stesse avrebbero necessitato una più puntuale disamina da parte del Tribunale che, al contrario, si è limitato a ribadire quanto già affermato dal Giudice di Pace e non ha dunque fornito alcuna reale motivazione grazie alla quale comprendere il percorso logico-giuridico effettuato”. Nè il giudice dell’appello si era fatto carico della questione relativa alle modalità di rilevazione dei livelli sonori con conseguente inattendibilità delle stesse.

2. La Corte rileva la nullità della notifica del ricorso al Condominio e ne dispone la rinnovazione.

Il Condominio in appello era contumace e, quindi, sono nulle le notifiche effettuate presso i difensori in primo grado (per una delle quali l’avviso di ricevimento è stato depositato in udienza).

La notifica al Condominio è stata fatta a mezzo posta, con consegna al portiere ed invio della raccomandata di avviso. Tale notifica deve ritenersi nulla, condividendo il Collegio i principi affermati al riguardo da questa Corte, secondo cui, la notifica ai condominii degli edifici, in quanto semplici “enti di gestione” non dotati nè di soggettività giuridica, ancorchè imperfettamente di autonomia patrimoniale, sia pure limitata, va effettuata all’amministratore, costituente l’elemento che unifica, all’esterno, la compagine dei proprietari delle singole porzioni immobiliari (vedi Cass. 2001 n. 6906, Rv. 546837). Tale notifica va effettuata all’amministratore secondo le regole stabilite per le persone fisiche. Pertanto, oltre che ovunque “in mani proprie”, l’atto può essere consegnato ai soggetti abilitati a riceverlo invece del destinatario, soltanto nei luoghi in cui ciò è consentito dagli artt. 139 c.p.c. e s.s.: luoghi tra i quali può bensì essere compreso, in quanto “ufficio” dell’amministratore, anche lo stabile condominiale, ma soltanto nell’ipotesi in cui esistano locali, come può essere la portineria, specificamente destinati e concretamente utilizzati per l’organizzazione e lo svolgimento della gestione delle cose e dei servizi comuni (v. Cass. n. 976/2000; n. 12208/1993). Nel caso in questione tale ultima circostanza non risulta specificamente dall’avviso di ricevimento, dove si fa solo menzione di consegna al “portiere”, mentre il nome dell’amministratore e il suo domicilio erano ben noti al ricorrente, tanto che più volte nello stesso ricorso nè fa menzione, risultando anche che la decisione di primo grado reca, per l’indicazione dell’amministratore del Condominio, la seguente dizione “Condominio di (OMISSIS) nella persona del suo amministratore pro-tempore Arch. M.S., con studio in (OMISSIS)”. In ogni caso, risultando il ricorrente anche condomino dello stabile condominiale, tale verifica poteva essere fatta agevolmente.

Si deve quindi concludere nel senso che la notificazione di cui si tratta è avvenuta invalidamente, anche se non può essere considerata giuridicamente inesistente, essendo stata comunque compiuta in un luogo non privo di ogni collegamento con l’ente cui era diretta, per cui è necessario provvedere al rinnovo della stessa.

PQM

La Corte dispone rinnovarsi la notifica al Condominio di (OMISSIS) nella persona del suo amministratore pro-tempore nel suo domicilio. Termine per l’adempimento 90 giorni dalla comunicazione della presente ordinanza.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 19 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2016

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