Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2735 del 08/02/2010

Cassazione civile sez. lav., 08/02/2010, (ud. 10/12/2009, dep. 08/02/2010), n.2735

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. MONACI Stefano – Consigliere –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TRIPOLI

13, presso la signora PIERSANTI MATTEIS GIOVANNA, rappresentato e

difeso dall’avvocato CUOMO NICOLA, giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

C.M.C. CANTIERI MERIDIONALI CASTELLAMMARE S.P.A., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA ROBERTO ALESSANDRI 24, presso il signor CUCCIANTI LUIGI,

rappresentato e difeso dagli avvocati ATTANASIO VITTORIO, ESPOSITO

ANTONIO, giusta delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1182/2006 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 08/09/2006 R.G.N. 575/05;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

10/12/2009 dal Consigliere Dott. MELIADO’ Giuseppe;

udito l’Avvocato CUOMO NICOLA;

uditi gli Avvocati ATTANASIO VITTORIO ed ESPOSITO ANTONIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 30.5.2002 la Corte di appello di Napoli confermava la sentenza resa dal Tribunale di Torre Annunziata il 29.3.2000 che rigettava, per intervenuta decadenza L. n. 604 del 1966, art. 6 la domanda proposta da B.C. per far accertare l’illegittimita’ del licenziamento intimatogli dalla CMC Cantieri Meridionali Castellammare spa, alle cui dipendenze lavorava.

Proposto ricorso per Cassazione, la Corte Suprema, con sentenza n. 22517/2004, cassava la sentenza impugnata e rinviava per il prosieguo alla Corte di appello di Salerno.

Con sentenza in data 5.7 – 8.9.2006 la Corte di appello di Salerno, in applicazione del principio di diritto posto dal S.C. dichiarava tempestivamente impugnato il licenziamento, ma rigettava, nel merito, la domanda atteso che il licenziamento impugnato doveva qualificarsi come collettivo, e non individuale, ed il lavoratore, per far valere l’inefficacia e l’annullamento dello stesso, in virtu’ del disposto della L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 3 e art. 24, comma 1 avrebbe dovuto, a fronte dei numerosi adempimenti imposti dalla disciplina legale, indicare le specifiche omissioni addebitate e su cui si fonda il petitum.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso B.C. con due motivi, illustrati con memoria.

Resiste con controricorso la CMC spa..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, artt. 5, comma 1 e 3 e 4 della L. n. 300 del 1970, art. 18 nonche’ vizio di motivazione ed, al riguardo, osserva che il lavoratore, diversamente da quanto erroneamente ritenuto dalla corte territoriale, aveva censurato la legittimita’ del licenziamento per violazione dei criteri di scelta concordati con le organizzazioni sindacali a seguito di accordo intervenuto il 25.7.1994, che obbligava a collocare in mobilita’ solo i lavoratori beneficiari della mobilita’ lunga, quale non poteva ritenersi il ricorrente.

Con il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., comma 5, della L. n. 223 del 1991, art. 3, della L. n. 300 del 1970, art. 18 rilevando che spetta al giudice l’esatta qualificazione della domanda proposta dalla parte e che erroneamente si era escluso che la violazione delle norme in materia di licenziamento collettivo non comportasse la sanzione reintegratoria. Il primo motivo e’ fondato.

Nonostante la correttezza del principio richiamato dalla corte territoriale, secondo il quale il lavoratore che voglia ottenere la dichiarazione di inefficacia del licenziamento intimatogli in base alla L. n. 223 del 1991, sull’assunto del mancato rispetto dell’iter procedurale previsto dalla stessa legge per la messa in mobilita’ o per la riduzione del personale, deve, tenuto conto dei numerosi adempimenti imposti dalla legge, indicare nell’atto introduttivo del giudizio le specifiche omissioni o irregolarita’ addebitate al datore di lavoro su cui fonda il petitum (cfr. Cass. n. 13727/2000), la sentenza impugnata ha omesso di valutare, sulla base del concreto contenuto del ricorso proposto in primo grado dal B., se tale lacuna fosse nello stesso, in realta’, evidenziabile.

Ha, infatti, documentato il ricorrente, provvedendo alla trascrizione delle parti rilevanti del ricorso, che lo stesso aveva impugnato il licenziamento in quanto posto in essere in violazione della L. n. 223 del 1991, art. 7 e del verbale di accordo del 25/7/1994, concluso tra la CMC, le OO.SS e le RSA, ed, in particolare, in quanto privo dei requisiti per la c.d. mobilita’ lunga, contemplati nella L. n. 223 del 1991, art. 7 espressamente richiamati nell’accordo sindacale ai fini dell’individuazione dei lavoratori da collocare in mobilita’.

Osserva la corte territoriale che il B. si era limitato a prospettare, nel ricorso introduttivo, unicamente la configurabilita’ di un licenziamento individuale per violazione dell’art. 7 cit.

(disposizione la cui violazione non risulterebbe sanzionata “nei termini richiamati dall’istante nell’atto introduttivo”), ma senza dar conto delle ragioni che impedivano di considerare, in contrasto con la formulazione letterale stessa della domanda, il riferimento alla norma come strumentale all’individuazione dei criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilita’ richiamati nell’accordo collettivo, e, quindi, all’accertamento dell’annullabilita’ del licenziamento per violazione dei criteri medesimi: sulla base di un ordine tematico che necessariamente risulta riferibile alla problematica dei licenziamenti collettivi.

Deve, quindi, conclusivamente ritenersi che, rammentato che l’interpretazione della domanda giudiziale costituisce attivita’ riservata al giudice di merito, il cui giudizio, risolvendosi in un accertamento di fatto, non e’ censurabile in sede di legittimita’ solo allorche’ risulti motivato in maniera congrua ed adeguata rispetto all’intero contesto dell’atto e al suo senso letterale, tenendo conto, in tale operazione, della formulazione testuale della domanda, ed in pari modo del contenuto sostanziale della pretesa in relazione alle finalita’ che la parte intende perseguire, senza che risultino condizionanti le formule, al riguardo, adottate (v. ad es.

da ultimo Cass. n. 22893/2008), deve, nella fattispecie, ritenersi che la corte di merito non ha adeguatamente interpretato le istanze delle parti, valutandone contenuto e portata alla luce delle richieste formulate e delle giustificazioni giuridiche offerte. La sentenza impugnata, assorbito il restante motivo, va, pertanto, cassata e la causa rimessa per il prosieguo a contiguo giudice territoriale, che si designa nella Corte di appello di Napoli, la quale decidera’ la controversia attenendosi ai criteri indicati e provvedera’, altresi’, al regolamento delle spese.

P.Q.M.

LA CORTE Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte di appello di Napoli.

Cosi’ deciso in Roma, il 10 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2010

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