Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27345 del 29/12/2016


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Cassazione civile, sez. VI, 29/12/2016, (ud. 11/10/2016, dep.29/12/2016),  n. 27345

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21722-2015 proposto da:

C.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO

CESARE 71, presso lo studio dell’avvocato BRUNO MATTIA, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ADALBERTO ANDRIANI

giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

G.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA

BALDUINA 7, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA CALONZI,

rappresentata e difesa dall’avvocato CRISTIANO ROBERTO EUFORBIO

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2625/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA

dell’8/04/2015 depositata il 28/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’11/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. LINA RUBINO.

Fatto

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione: “a quanto è dato comprendere dalla lettura del laconico ricorso, C.C. conveniva in giudizio G.M. per sentirla condannare al risarcimento del danno derivatole dalla morte del figlio M.D. a seguito di un incidente stradale.

La domanda risarcitoria veniva rigettata sia dal Tribunale di Rieti che dalla Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 2625/2015, depositata il 28.4.2015, notificata alla ricorrente il 22.6.2015 e da questa regolarmente depositata in copia notificata.

Avverso la decisione della Corte d’Appello di Roma ha proposto tempestivo ricorso per cassazione articolato in due motivi la C..

la G. resiste con controricorso.

Il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 c.p.c., in quanto appare destinato ad essere dichiarato inammissibile.

La ricorrente, infatti, omette totalmente l’esposizione sommaria dei fatti di causa, prescritta a pena di inammissibilità del ricorso dall’art. 366 c.p.c., n. 3. Essa non è presente nè con esposizione autonoma, premessa alla esposizione dei motivi di ricorso, e neppure è riportata in maniera comprensibile all’interno della estremamente sintetica trattazione dei motivi, cosicchè, senza la lettura della sentenza impugnata, non è dato assolutamente comprendere nè come e perchè è deceduto il figlio della ricorrente, nè quale sarebbe stato il ruolo svolto dalla G. nella vicenda e quale sarebbe stato l’apporto causale che la ricorrente ipotizza ella abbia avuto nella morte del figlio e non è neppure esplicitato quale domanda sia stata proposta nei confronti della controricorrente.

Solo dalla lettura della sentenza impugnata si evince che il ragazzo uscì di strada alla guida di un motoveicolo, che fu avvistato dalla G. che sopraggiungeva alla guida della sua vettura, che questa si fermò, chiamò la polizia ma non attese l’arrivo dell’ambulanza, che fu condannata in sede penale insieme a tale Pennino Giuseppe per omissione di soccorso e che è stata esclusa, in sede civile, la prova di un nesso causale tra la mancata attesa sul posto della G. dopo il verificarsi dell’incidente e la morte del giovane verificatasi poco dopo.

A questa, di per sè dirimente, causa di inammissibilità, si aggiunge che i due motivi di ricorso sono anch’essi privi della struttura minima necessaria per l’ammissibilità di un ricorso per cassazione. Con il primo, si denuncia laconicamente l’esistenza di una violazione di legge, senza precisare quali norme siano state violate, con il secondo si lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio laddove il “fatto” consisterebbe nella mancata ammissione di non meglio specificate prove, articolate dalla ricorrente.

E’ ben vero che, come già affermato da questa Corte (tra le altre, Cass. 26091/05) l’indicazione delle norme che si assumono violate non si pone come requisito autonomo ed imprescindibile ai fini dell’ammissibilità della censura; si tratta comunque di un elemento richiesto al fine di identificare i limiti dell’impugnazione, ragion per cui la mancata indicazione delle disposizioni di legge può comportare l’inammissibilità della singola doglianza qualora gli argomenti addotti, così come avviene nel caso di specie, non consentano di individuare quali siano, ad avviso della ricorrente, le norme che sarebbero state violate e quindi le questioni di diritto sottoposte all’esame della Corte (v. Cass. n. 25044 del 2013, Cass. n. 4233 del 2012).

Si propone pertanto la declaratoria di inammissibilità del ricorso”. Le parti non hanno depositato memoria.

A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella Camera di consiglio, il Collegio ha condiviso i motivi in fatto ed in diritto esposti nella relazione stessa.

Il ricorso proposto va pertanto dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo.

Infine, il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 18, pertanto deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla citata L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Pone a carico della ricorrente le spese di lite sostenute dalla controricorrente e le liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre accessori e contributo spese generali.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2016

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