Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27342 del 24/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 24/10/2019, (ud. 09/07/2019, dep. 24/10/2019), n.27342

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12941-2014 proposto da:

I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati

ELISABETTA LANZETTA, SEBASTIANO CARUSO, CHERUBINA CIRIELLO;

– ricorrente –

contro

T.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE REGINA

MARGHERITA N. 42, presso lo studio degli avvocati PAOLO ERMINI,

ANTONIO DE PAOLIS, che la rappresentano e difendono;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1232/2013 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 15/10/2013 R.G.N. 341/2007.

Fatto

RITENUTO

1. Che la Corte d’Appello di Bologna, con la sentenza n. 1232/13 del 15 ottobre 2013, pronunciando sull’appello proposto da T.L. nei confronti dell’INPS, avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Parma, in parziale accoglimento dello stesso condannava l’Istituto datore di lavoro al pagamento della somma di Euro 3.892,80, oltre interessi legali dal dovuto al saldo, quale differenza retributiva per lo svolgimento di mansioni superiori; confermava il rigetto della domanda di superiore inquadramento.

2. La lavoratrice, come ricordato nella sentenza di appello, aveva adito il Tribunale esponendo di essere dipendente dell’INPS, sede di Parma, e di essere stata inquadrata, da ultimo, nel livello B1 della scala classificatoria del personale degli enti pubblici non economici, di essere stata preposta al reparto legale – settore contenzioso – e di avere svolto, almeno dal 1 luglio 1989 (recte: 1998) e fino al 23 settembre 1999 (data del nuovo inquadramento nell’Area Cl, mansioni superiori riconducibili all’Area C, profilo C-1, quale operatore di processo.

Chiedeva, quindi, che venisse accertato sia il diritto ad essere inquadrata nell’ambito dell’Area Cl, posizione economica VII, ovvero in quella comunque superiore a quella riconosciutale, a far tempo dal 1 luglio 1998 al 23 settembre 1999, sia il diritto a percepire il corrispondete trattamento economico e normativo, con condanna dell’INPS a corrispondere per tale titolo la somma di Euro 3.892,80, o la diversa somma accertata in causa.

Il Tribunale rigettava la domanda.

3. La Corte d’Appello, dopo aver proceduto all’esame delle declaratorie contrattuali del CCNL, Comparto enti pubblici non economici del 19 febbraio 1999 e del CCNI del 24 giugno 1999, Area B ed Area C, affermava che il criterio fondamentale di distinzione fra il personale inquadrato nella AREA B ed il personale inquadrato nell’AREA C era rappresentato dalla capacità del secondo di svolgere tutte le fasi del processo al medesimo affidato, a tal punto da essere in grado di ottimizzarlo e facilitarlo, limitandosi invece il primo a svolgere solo fasi o fasce del processo produttivo nell’ambito delle ricevute direttive di massima e di procedure predeterminate.

In buona sostanza, quindi, il dipendente inquadrato nell’Area C è responsabile del processo ad esso affidato, con gestione dal suo inizio fino al risultato finale, mentre il dipendente inquadrato in Area B è sostanzialmente un mero interprete di istruzioni operative relative ad una fase del processo produttivo in cui è strutturalmente inserito.

3.1. Tanto premesso, la Corte d’Appello ha statuito che la lavoratrice aveva certamente svolto di fatto mansioni rientranti nella Area C, essendo sostanzialmente emersa in causa sulla base dei fatti come dalla lavoratrice specificamente allegati, ed ex adverso non specificamente contestati, la sostanziale autonomia della stessa nella gestione di tutti i processi a lei affidati e svolti in tutte le diverse fasi.

Ciò trovava conferma nell’attribuzione alla lavoratrice, dal 24 settembre 1999, dell’inquadramento nell’Area C1, pur continuando la stessa a svolgere i medesimi compiti già svolti – di fatto – nel periodo precedente.

4. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre l’INPS prospettando un motivo di ricorso.

5. Resiste con controricorso la lavoratrice, che in prossimità dell’adunanza camerale ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

1. Che con l’unico motivo di ricorso è prospettata la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, dell’art. 416 c.p.c. e del D.P.R. n. 285 del 1988.

E’ censurata la statuizione che ha ritenuto fondata la domanda della lavoratrice, nella parte accolta, in primo luogo sulla base della mancata contestazione da parte dell’INPS delle mansioni indicate nel ricorso introduttivo.

1.1. Occorre precisare che la Corte d’Appello ha affermato che parte ricorrente aveva dedotto di essere stata preposta nel periodo in questione, al reparto legale – settore contenzioso presso la sede legale di Parma, espletando di fatto mansioni meglio descritte nel ricorso di primo grado e da aversi integralmente trascritte nella sentenza di appello e che tale allegazione in punto di fatto aveva trovato sostanziale riscontro in giudizio.

Quindi, ha rilevato che, nella pur articolata difesa dell’INPS, non risultava sostanzialmente contestato l’espletamento da parte della lavoratrice delle predette mansioni, non contenendo la memoria di costituzione dell’Istituto una specifica contestazione al riguardo; di tale mancata contestazione aveva dato conto anche la sentenza di primo grado.

1.2. Assume l’INPS che sia nella memoria di costituzione di primo grado, sia nella memoria di costituzione in appello aveva chiaramente contestato lo svolgimento delle mansioni così come indicate da controparte, mentre aveva affermato lo svolgimento da parte della stessa delle mansioni proprie della qualifica di appartenenza.

Il ricorrente riporta alcuni passi del ricorso introduttivo del giudizio e della memoria difensiva di primo grado, il cui contenuto assume aver ribadito nella memoria di costituzione in appello.

Pertanto, l’Istituto aveva contestato gli assunti avversari. Le circostanze e modalità di esecuzione della prestazione, come da esso datore di lavoro prospettate, avevano trovato conferma nell’interrogatorio libero della lavoratrice.

Erroneamente la Corte d’Appello aveva ritenuto che le mansioni svolte dalla lavoratrice potevano rientrare nella qualifica superiore, omettendo di esperire attività istruttoria.

Infine l’INPS richiama il D.P.R. n. 285 del 1988, applicabile ratione temporis e il mansionario relativo alla VI e VII qualifica.

2. Il motivo di ricorso è inammissibile.

2.1. Come affermato dalle Sezioni Unite, con la sentenza n. 8077 del 2012, anche nel caso in cui sia prospettata la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la proposizione del motivo di censura resta soggetta alle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, nel senso che la parte ha l’onere di rispettare il principio di specificità del ricorso e le condizioni di procedibilità di esso.

2.2. Tanto premesso, occorre precisare che la Corte d’Appello ha affermato (pag. 4 della sentenza di appello) che nel ricorso la lavoratrice aveva descritto le mansioni svolte e tale allegazione aveva trovato riscontro in giudizio. Le predette mansioni non venivano specificamente contestate nella memoria di costituzione dell’INPS, come affermato anche dal giudice di primo grado. E ulteriore riscontro andava desunto dalla prodotta documentazione, con specifico riferimento agli ordini di servizio prodotti in atti.

Lo svolgimento delle mansioni superiori era emersa confermata in causa sulla base dei fatti specificamente allegati dalla lavoratrice e non specificamente contestati ex adverso.

2.3. L’INPS, nel dedurre l’intervenuta contestazione delle circostanze di fatto, si limita a riportare contrapponendole alcune affermazioni contenute nel ricorso introduttivo del giudizio e un passo della propria difesa in primo grado, rimettendo a questa Corte di desumere dal confronto tra gli stessi l’intervenuta contestazione. Non riporta le proprie difese svolte in appello, e dunque le contestazioni che avrebbe ribadito in detta sede, e il contenuto del libero interrogatorio i cui esiti prospetta favorevoli alla propria tesi, così violando la previsione dell’art. 366 c.p.c., n. 4.

Come già affermato dalla giurisprudenza di legittimità, i requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza (Cass., n. 29093 del 2018).

2.4. Inoltre, l’INPS assorbe nella statuizione di non contestazione, e dunque non censura specificamente, l’autonoma affermazione della Corte d’Appello che ha ritenuto intervenuta la prova documentale (ordini di servizio prodotti in giudizio) dello svolgimento delle mansioni superiori.

3. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

4. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

5. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 5.500,00, per compensi professionali, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 9 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2019

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