Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2734 del 28/01/2022

Cassazione civile sez. trib., 28/01/2022, (ud. 26/01/2022, dep. 28/01/2022), n.2734

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 5375/2014 di R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato.

– ricorrente –

contro

M.P., domiciliato in Roma Piazza Cavour, presso la

Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione, rappresentato e

difeso dall’avvocato Fabio Pace.

– controricorrente e ricorrente incidentale –

Avverso la sentenza della COMM. TRIB. REG. LOMBARDIA n. 105/44/13,

depositata il 19/09/2013.

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Basile Tommaso che ha concluso chiedendo il rigetto del

ricorso principale, con assorbimento del ricorso incidentale;

udito l’avvocato dello Stato Giovanni Palatiello, per la ricorrente;

udito l’avvocato Marco Albanese, per delega dell’avvocato Fabio Pace;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 26 gennaio 2022

dal Consigliere Riccardo Guida.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. M.P. propose tre distinti ricorsi contro gli avvisi di accertamento, fondati su metodo sintetico, con conseguente cartella di pagamento, che riprendevano a tassazione, ai fini delle imposte dirette, per gli anni 2005 e 2006 (in relazione ai quali la dichiarazione del contribuente indicava un imponibile pari a zero), redditi non dichiarati, desunti dal possesso di beni indice (autovetture ed immobili) e da varie spese (spese per l’abitazione principale, spese assicurative, contratto di lavoro domestico per 20 ore settimanali, spese per il mantenimento dell’azienda, la cui redditività era negativa, etc.).

2. La Commissione tributaria provinciale di Lodi, dopo averli riuniti, accolse i ricorsi, con sentenza (n. 87/02/2012) poggiante sulla circostanza che gli atti impugnati non erano sufficientemente motivati.

3. La Commissione tributaria regionale (“C.T.R.”) della Lombardia ha rigettato l’appello dell’ufficio ed ha confermato la sentenza di primo grado sulla base delle seguenti considerazioni: come sostenuto dall’Amministrazione finanziaria e diversamente da quanto dedotto dalla parte privata, la disciplina dell’accertamento sintetico applicabile temporalmente, in relazione agli anni d’imposta 2005 e 2006, non prevedeva la necessità del contraddittorio preventivo; quanto al merito della controversia, dall’esame dei conti bancari risultavano, nel 2005, un saldo negativo iniziale di Euro 1.013.148,64 e un saldo negativo finale di Euro 123.738,69, il che attestava un miglioramento, nel corso dell’anno, delle condizioni di liquidità del contribuente, ed era un elemento contrario alle allegazioni dell’ufficio; emergeva altresì che, nel biennio 2005-2006, l’appellato aveva effettuato dei disinvestimenti che (testualmente a pag. 5 della sentenza) “hanno consentito le operazioni ed il mantenimento del tenore di vita precedente. L’indebitamento del contribuente nell’anno successivo è poi leggermente aumentato, ma di soli circa 70.000 Euro”.

4. L’Agenzia delle entrate propone ricorso con un motivo per la cassazione della pronuncia d’appello ed il contribuente resiste con controricorso, nel quale articola ricorso incidentale condizionato con un motivo. Il controricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso principale (“a) Violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”), l’ufficio finanziario premette che, per la sentenza impugnata, costituiscono elementi di prova contraria forniti dal contribuente, sufficienti a superare la presunzione legale di maggiore reddito correlata al possesso di beni indice e agli incrementi patrimoniali, che sorregge l’accertamento sintetico: (i) il miglioramento, nel 2005, delle condizioni di liquidità del contribuente; (ii) il fatto che egli avesse realizzato dei disinvestimenti che avevano consentito determinate operazioni e il mantenimento del tenore di vita precedente; (iii) la circostanza che tutte le altre operazioni contestate erano state ampiamente giustificate dall’interessato mediante adeguata produzione documentale. Svolta questa premessa, l’Agenzia censura la sentenza impugnata per non avere considerato che tali circostanze non danno la prova certa e rigorosa del nesso causale tra possesso di redditi esenti o tassati alla fonte e spese imputate al contribuente, su cui poggia la presunzione legale dell’accertamento sintetico.

2. Con l’unico motivo di ricorso incidentale condizionato, il ricorrente ascrive alla sentenza impugnata la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, e della L. n. 212 del 2000, art. 7, nonché degli artt. 3,53, Cost., per non avere rilevato la mancanza dell’invio del questionario prodromico all’accertamento sintetico, il difetto di contraddittorio endoprocedimentale, e la conseguente carenza di motivazione degli avvisi di accertamento sintetico, emanati senza la preventiva verifica della concreta capacità contributiva dell’interessato.

3. Il motivo di ricorso principale è fondato.

Dispone il D.P.R. n. 600 del 1973, l’art. 38, il comma 4, nella versione applicabile ratione temporis, che l’ufficio può sempre determinare sinteticamente il reddito complessivo del contribuente sulla base del possesso di beni indice di capacità contributiva nonché degli incrementi patrimoniali, salva la prova, a carico del contribuente, dell’irrilevanza fiscale del relativo finanziamento. Si è infatti chiarito (ex multis Cass. 30/05/2018, n. 13602), che “In tema di accertamento sintetico, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4, (nella formulazione applicabile “ratione temporis”), una volta che l’amministrazione abbia dimostrato, anche mediante un unico elemento certo, la divergenza tra il reddito risultante attraverso la determinazione analitica e quello attribuibile al contribuente, quest’ultimo è onerato della prova che l’imponibile così accertato è costituito, in tutto o in parte, da redditi soggetti a ritenute alla fonte o esenti ovvero da finanziamenti di terzi.”.

Nella specie, la C.T.R. non ha bene applicato questo principio di diritto in quanto si è limitata ad affermare che la riduzione dell’indebitamento bancario, nel corso del 2005, e taluni disinvestimenti operati nel biennio in verifica (anni 2005-2006) avevano consentito al contribuente di compiere determinate operazioni e di conservare, lui stesso e il suo nucleo famigliare, il precedente tenore di vita. In applicazione dei canoni giuridici sopra enunciati, invece, il giudice d’appello avrebbe dovuto verificare, in maniera puntuale e meticolosa, se le spese e gli incrementi patrimoniali contestati dal fisco fossero stati o meno finanziati con redditi esenti o tassati alla fonte.

4. Il motivo di ricorso incidentale condizionato è infondato.

La ratio decidendi della sentenza impugnata, in rapporto alla questione di diritto circa la necessità o meno del contraddittorio preventivo, segue il filo conduttore della tralatizia giurisprudenza della Corte per cui “In tema di accertamento sintetico, l’omesso invio del questionario di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, al fine di acquisire dati, notizie e chiarimenti, non invalida l’atto impositivo, trattandosi di una facoltà discrezionale dell’Amministrazione finanziaria, avente lo scopo di assicurare un dialogo tra fisco e contribuente per evitare l’instaurazione di un contenzioso giudiziario.” (Cass. 31/10/2018, n. 27851). D’altro canto, già Cass. 27/01/2017, n. 2064, richiamava il pacifico orientamento sezionale (ex multis Cass. 31/05/2016, n. 11283) in base al quale “in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata esclusivamente per i tributi “armonizzati” di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, mentre, per quelli “non armonizzati”, non essendo rinvenibile, nella legislazione nazionale, una prescrizione generale, analoga a quella comunitaria, solo ove risulti specificamente sancito, come avviene per l’accertamento sintetico in virtù del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 7, nella formulazione introdotta dal D.L. n. 78 del 2010, art. 22, comma 1, conv. in L. n. 122 del 2010, applicabile, però, solo dal periodo d’imposta 2009, per cui gli accertamenti relativi alle precedenti annualità sono legittimi anche senza l’instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale (cfr. parimenti sent. Cass. sez. un. civ. n. 24823 del 6/10 – 9/12/2015, richiamata da Cass. n. 11283/16 cit. Secondo le Sezioni unite – n. 24823/15 cit. – non sussiste, infatti, per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini Irpeg e Irap, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vedendosi in àmbito di indagini c.d. “a tavolino”: “L’indicata divaricazione si proietta inevitabilmente sulla regolamentazione dei tributi c.d. “non armonizzati” (in particolare: quelli diretti), estranei alla sfera di competenza del diritto dell’Unione Europea, e di quelli cd. “armonizzati” (in particolare: l’Iva), in detta sfera rientranti. (…) Per i tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, in cui tale obbligo sia previsto da specifica norma di legge. Ai suddetti tributi, estranei alle competenze dell’Unione, non si applica, invero, il diritto Europeo (v. Corte giust. 3.7.2014, in causa 0-129 e C/4130/13, (…) I principi dell’ordinamento giuridico dell’Unione operano, infatti, in tutte le situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione, ma (v. anche l’art. 5 T.U.E., p. 2), non trovano applicazione al di fuori di esse. Coerentemente, in base alla previsione del relativo art. 51, le disposizioni della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea si applicano agli Stati membri (a decorrere dall’1.12.2009) esclusivamente ai fini dell’attuazione del diritto dell’Unione, atteso che la Carta non estende l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione al di là delle sue competenze, né introduce competenze nuove o compiti nuovi per l’Unione, né modifica le competenze e i compiti definiti nei Trattati (C.G. 8.5.14, in causa C-483/12, Pelckmans” (in senso conforme, ex plurimis, Cass. 02/12/2021, n. 38013).

Trattandosi, nel caso in esame, di accertamenti ai fini delle imposte dirette, per i periodi d’imposta 2005, 2006, per le ragioni sopra illustrate non occorreva la previa instaurazione del contraddittorio tra il fisco e la contribuente.

5. In conclusione, accolto il ricorso principale e rigettato quello incidentale condizionato, la sentenza è cassata, il relazione al motivo accolto del ricorso principale, con rinvio al giudice d’appello anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso principale, rigetta il ricorso incidentale condizionato, cassa la sentenza impugnata, nei termini sopra indicati, e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2022

 

 

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