Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27338 del 30/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 30/11/2020, (ud. 16/09/2020, dep. 30/11/2020), n.27338

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5681-2016 proposto da:

G.A., G.B., G.P.T.,

G.G.A., elettivamente domiciliati in ROMA, Piazza Cavour

presso la cancelleria della Corte di Cassazione rappresentata e

difesa dall’avvocato FABIO LIOTTA;

– ricorrenti –

E contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, DIREZIONE PROVINCIALE (OMISSIS), in persona

del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 3353/2015 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 15/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/09/2020 dal Consigliere Dott. MILENA BALSAMO.

 

Fatto

ESPOSIZIONE DEI FATTI DI CAUSA

1. G.A., G.B., G.G.A. e G.P.T. impugnavano, con separati ricorsi, l’avviso di rettifica e liquidazione della maggiore imposta di registro, emesso dall’Agenzia delle entrate, avente ad oggetto l’atto di vendita del 12 maggio 2011, con il quale i ricorrenti avevano alienato alla società UB Immobiliare s.r.l. alcuni fondi siti nel Comune di (OMISSIS), sul rilievo che l’atto di raffronto utilizzato dall’Ufficio riguardava solo una quota del medesimo cespite e che non erano stati considerati altri atti di trasferimento di immobili similari.

La CTP di Varese respingeva i ricorsi riuniti.

La sentenza veniva impugnata dai contribuenti, i quali insistevano sulla congruità del prezzo dichiarato alla stregua della perizia allegata, dei valori OMI e di un atto di rettifica emesso dal medesimo ufficio relativo ad una compravendita dell’anno 2009 che attribuiva ad un terreno avente le medesime caratteristiche un valore di 150,00 Euro al mq, anzichè di Euro 225,00 come indicato negli avvisi di rettifica opposti.

La CTR del Veneto respingeva il gravame, assumendo la congruità del valore accertato dall’ufficio sulla base del valore attribuito alla quota di un terzo del medesimo fondo in sede di dichiarazione di successione avvenuta nel triennio precedente, ritenendo indispensabile il ricorso al parametro dei trasferimenti immobiliari di terreni con analoghe caratteristiche dell’ultimo triennio, solo in mancanza di atti relativi al medesimo cespite. Infine, riteneva non probatoria la perizia di parte, anche se asseverata, avendo valenza di mero supporto tecnico alle argomentazioni della parte.

I contribuenti ricorrono sulla base di due motivi per la cassazione della sentenza della C.T.R. del Veneto n. 3353/2015 depositata il 15 luglio 2015. In prossimità dell’udienza hanno depositato nota con la quale hanno chiesto la riunione al procedimento n. RG.15958/2016 per il quale è stata fissata l’adunanza camerale del 2 aprile 2020, vertendo le controversie in ordine alla medesima transazione immobiliare del 4 maggio 2011.

L’Ufficio dichiarava di costituirsi al solo fine di partecipare all’udienza di discussione.

Diritto

ESPOSIZIONE DELLA RAGIONI DI DIRITTO

2. Con la prima censura, che reca violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la parte contribuente attinge la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto la legittimità dell’operato dell’agenzia, benchè, nel determinare la rettifica avesse utilizzato, quale parametro di riferimento, la dichiarazione di successione di uno dei comunisti dei fondi e non gli atti di trasferimento di terreni analoghi stipulati nell’ultimo triennio.

3. Con il secondo motivo, si lamenta la violazione dell’art. 115 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., n. 3, per avere i giudici regionali escluso la rilevanza probatoria della perizia di parte.

4. La prima censura è destituita di fondamento.

Ai finì di un corretto inquadramento della fattispecie occorre muovere dal dato normativo di riferimento. Il combinato disposto del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 43, comma 1, lett. a) e dell’art. 51, commi 1 e 2 (Testo unico imposta di registro), per gli atti aventi ad oggetto il trasferimento di beni immobili, stabilisce che la base imponibile alla quale commisurare le imposte proporzionali di registro, ipotecaria e catastale è rappresentata dal valore indicato in atto dalle parti. Tuttavia, se il valore non è indicato, ovvero se il corrispettivo pattuito risulta superiore, la base imponibile è pari a quest’ultimo. Successivamente, in sede di eventuale accertamento di valore gli uffici dell’Agenzia delle Entrate devono controllare la congruità del valore indicato in atto dalle parti, che deve riflettere il valore venale in comune commercio del bene compravenduto. Il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, comma 3 detta le linee guida per il controllo sulla congruità dell’imposta per l’ufficio del registro, ora inglobato nell’ufficio delle Entrate. L’articolo suddetto stabilisce che per gli atti che hanno per oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari, ai fini dell’eventuale rettifica, l’ufficio controlla il valore di cui al comma 1 (ovvero il valore indicato in atto dalle parti) avendo riguardo ai trasferimenti a qualsiasi titolo e alle divisioni e perizie giudiziarie, anteriori di non oltre tre anni alla data dell’atto o a quella in cui se ne produce l’effetto traslativo o costitutivo, che abbiano avuto per oggetto gli stessi immobili o altri di analoghe caratteristiche e condizioni. In questo caso l’ufficio ha la possibilità di effettuare una sorta di comparazione con dei casi analoghi. Dunque, l’ufficio provvede alla rettifica, e alla conseguente liquidazione, se ritiene che gli immobili ceduti abbiano un valore venale superiore a quello dichiarato o al corrispettivo pattuito, ed, a tal fine, ha “riguardo ai trasferimenti a qualsiasi titolo e alle divisioni e perizie giudiziarie, anteriori di non oltre tre anni alla data dell’atto o a quella in cui se ne produce l’effetto traslativo o costitutivo, che abbiano avuto per oggetto gli stessi immobili o altri di analoghe caratteristiche e condizioni, ovvero al reddito netto di cui gli immobili sono suscettibili, capitalizzato al tasso mediamente applicato alla detta data e nella stessa località per gli investimenti immobiliari, nonchè ad ogni altro elemento di valutazione, anche sulla base di indicazioni eventualmente fornite dai comuni” (D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, comma 3).

Questa Corte ha affermato che i criteri di valutazione sono assolutamente pariordinati (cfr. Cass. n. 4221 del 2006), ed, in riferimento al criterio comparativo, ha, in particolare, rilevato che la circostanza secondo cui deve aversi riguardo ai trasferimenti a qualsiasi titolo ed alle divisioni e perizie giudiziarie, anteriori di non oltre tre anni, non implica l’immodificabilità del valore risultante da detti atti, ma si limita ad indicare un parametro certo di confronto, in base al quale l’Ufficio deve determinare il valore del bene in comune commercio (Cass. n. 4363 del 2011; n. 963/2018; n. 1961/2018; n. 23223/2019). Ha inoltre affermato nella sentenza n. 4221/2006 in relazione al criterio rappresentato da “ogni altro elemento di valutazione”, che nulla autorizza a ritenere che tale criterio abbia carattere residuale e meramente subordinato alla oggettiva impossibilità di ricorrere ai parametri di cui ai precedenti criteri (Cass. n. 30189/2018).

Ne consegue che l’aver l’Ufficio fondato l’accertamento di maggior valore sulla base della dichiarazione di successione relativa alla quota di uno dei contribuenti non invalida l’atto accertativo poichè si tratta appunto di criteri, quelli elencati dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, comma 3, pari ordinati, ben potendo l’Amministrazione, nell’accertamento di valore, seguire uno qualsiasi dei criteri di cui al succitato comma 3 (Cass. 4221 del 24/02/2006) e di conseguenza il giudice di merito ritenere che l’esistenza di un atto concernente l’immobile medesimo sia maggiormente idoneo a rappresentare il valore in comune commercio del cespite, rispetto ad atti di trasferimento relativi ad altri fondi sia pure similari. L’avviso di accertamento in ò oggetto, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, poteva dunque legittimamente avvalersi – quale atto di comparazione – della dichiarazione di successione relativa ad una quota e del valore dalle parti ad essa attribuito. Tale metodologia risultava anzi del tutto razionale e confacente ad una fattispecie nella quale la quota oggetto di rettifica era stata nel triennio precedente oggetto di dichiarazione di successione con dichiarazione di valore superiore a quella attribuita in sede di trasferimento, insistendo del resto (a parte taluni cespiti secondari ed accessori non oggetto di accertamento) su un medesimo compendio immobiliare indiviso. Si trattava, peraltro, di un elemento di comparazione addirittura privilegiato per l’identità della parte venditrice, dell’immobile e del momento traslativo(v. Cass. n. 30187/2017)

Del resto, qualora si ritenesse l’imprescindibilità dell’indicazione di atti comparativi, non potrebbe predicarsi la legittimità di alcun atto di accertamento laddove l’indicazione di tali atti si appalesasse, in concreto, impossibile.

Alla stregua di ciò, l’errore di diritto addebitato con detto motivo è insussistente, avendo la CTR applicato correttamente la disposizione di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, comma 3, e l’enunciato criterio comparativo.

5. La censura relativa all’omessa valutazione della documentazione prodotta dai contribuenti non integra una violazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, bensì il vizio dell’omesso esame di un fatto decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Questa Corte ha evidenziato che il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di “fondamento”, qualora vengano puntualmente indicate “le ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa” (Sez. V, n. 16812/2018; n. 25756/14; n. 4980/14; Sez. I, n. 5377/11; Sez. III, n. 11457/07).

Nella fattispecie, la consulenza di parte costituisce una semplice allegazione difensiva, priva di autonomo valore probatorio, rimessa alla legittima attività di apprezzamento del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità.

11. In conclusione, il ricorso va respinto.

In mancanza di attività difensiva da parte dell’Agenzia, non vi è luogo a provvedere in merito alle spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della concessionaria dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

P.Q.M.

La Corte

– Rigetta il ricorso;

– Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della parte contribuente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di cassazione, il 16 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2020

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