Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27336 del 29/10/2018

Cassazione civile sez. VI, 29/10/2018, (ud. 25/09/2018, dep. 29/10/2018), n.27336

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6686-2018 proposto da:

L.H., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso

la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato PATRIZIA BORTOLETTO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 1985/2017 della CORTE DI APPELLO di BOLOGNA,

emessa il 14/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/09/2018 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO

TERRUSI.

Fatto

RILEVATO

che:

L.H. impugnava dinanzi al tribunale di Bologna il provvedimento col quale la commissione territoriale gli aveva negato la protezione internazionale o in subordine la protezione umanitaria; il tribunale rigettava il ricorso per carenza dei presupposti di qualsivoglia forma di protezione;

il gravame dell’interessato veniva a sua volta respinto dalla corte d’appello sulla base della duplice considerazione incentrata (a) sull’inattendibilità, per ragioni varie, del tessuto narrativo articolato dal richiedente e (b) sull’inesistenza delle condizioni per ottenere la protezione internazionale o, in subordine, la protezione umanitaria, non essendo stati neppure prospettati fatti suscettibili di essere valorizzati in tal senso;

L.H. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della corte d’appello;

il Ministero non svolge difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

col primo mezzo il ricorrente, deducendo la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3afferma l’erroneità della valutazione della corte territoriale a proposito dell’inattendibilità del proprio racconto, posto che tale valutazione sarebbe stata basata non su contraddizioni ma su semplici giudizi di inverosimiglianza dei fatti narrati;

il ricorrente sostiene di aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda e che le sue dichiarazione non erano in contrasto con le informazioni, generali e specifiche, a disposizione sul paese di origine;

il primo motivo è inammissibile poichè si risolve in un generico sindacato sulla valutazione di merito, avendo la corte d’appello dato conto, con logica e congruente motivazione, delle ragioni di inaffidabilità delle dichiarazioni del richiedente sia in ordine alla condizione di patimento di minacce e di richieste estorsive da parte di organizzazioni malavitose locali, sia in ordine alla illogica circostanza della fuga in paese (la Libia) caratterizzato a sua volta da una guerra civile;

col secondo mezzo il ricorrente denunzia la violazione della Convenzione di Ginevra in materia di protezione internazionale, nonchè del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5,artt. 2 e 32 Cost., art. 24 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, 11 del Patto internazionale relativo ai diritti economici sociali e culturali e del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici di New York 16 e 19-12-1966; reputa invero censurabile la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto inesistenti i requisiti per la concessione della protezione sussidiaria e per quella umanitaria, giacchè anche in presenza di dichiarazioni ritenute non credibili o non pertinenti sarebbe stato onere del giudice valutare la situazione del paese di origine;

anche il secondo motivo è inammissibile;

lo è innanzi tutto in considerazione del consolidamento della prima ratio decidendi, incentrata appunto sulla non attendibilità delle dichiarazioni del ricorrente (v. Cass. n. 21668-15);

anche a voler dar seguito alla tesi, peraltro, il ricorso sarebbe inammissibile;

la proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (v. Cass. n. 19197-15);

nel caso di specie dalla sentenza risulta – anche rispetto a C. giust. n. 465-09 – che la situazione implicante la protezione internazionale in rapporto a conflitti armati in corso nel paese di origine (il distretto di Jessore in Bangladesh) non era stata neppure prospettata, e che egualmente non era stata allegata (prima ancora che provata), ai fini dell’eventualità del potere officioso del giudice, una condizione di grave violazione di diritti umani subita dal richiedente ai fini della protezione umanitaria (v. Cass. n. 26641-16);

la circostanza del difetto di allegazione non risulta oggetto di rilievi in questa sede; invero finanche dal ricorso per cassazione risulta che l’interessato si era limitato a prospettare di essere stato assoggettato a tentativi di estorsione da parte di un’organizzazione malavitosa locale, con ritorsioni sul lavoro, minacce e aggressioni fisiche; donde, non avendo fiducia nelle istituzioni del proprio paese, egli aveva scelto di fuggire all’estero.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 25 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2018

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