Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27335 del 30/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 30/11/2020, (ud. 08/09/2020, dep. 30/11/2020), n.27335

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13898/13 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

B.M.L., rappresentata e difesa, giusta delega a margine

del controricorso, dagli avv.ti Laviani Adolfo e Mattavelli

Francesca, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in

Roma, corso Mazzini, n. 113;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale della

Lombardia n. 34/07/12 depositata in data 3 aprile 2012.

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 8 settembre

2020 dal Consigliere Dott.ssa Condello Pasqualina Anna Piera.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. La Commissione tributaria provinciale di Milano accoglieva il ricorso presentato da B.M. avverso l’avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle entrate aveva accertato in capo alla contribuente, in qualità di socio della Autotrasporti Vi. Fr. di G.A. & C. s.n.c., maggior reddito da partecipazione a seguito di accertamento emesso nei confronti della società, la quale nel 2002 aveva ceduto l’azienda a terzi mediante la cessione dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività di autotrasporto.

Secondo i giudici di primo grado la sola cessione dell’autorizzazione per il trasporto per conto terzi non integrava cessione di azienda in assenza di altri beni necessari per svolgere l’attività.

2. Proposto appello dall’Ufficio, la Commissione tributaria regionale ha respinto l’impugnazione, ritenendo non fondato l’assunto dell’Amministrazione.

3. Avverso la suddetta decisione propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate con due motivi, cui resiste la contribuente con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo la Agenzia delle entrate censura la decisione impugnata per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 86, ribadendo che si configura cessione d’azienda quando vengano ceduti beni che costituiscono un complesso idoneo all’esercizio dell’attività d’impresa.

Sostiene che la licenza ha in sè quel quid pluris richiesto dalla L. n. 298 del 1974, art. 43 per l’effettuazione dei trasporti di cose per conto di terzi, risultando non solo necessaria, ma anche sufficiente all’esercizio dell’attività imprenditoriale, considerato che sono insite nella stessa licenza anche le autorizzazioni per lo svolgimento dell’attività di autotrasportatore che, diversamente, la società cessionaria dovrebbe richiedere ai sensi della L. n. 298 del 1974, art. 41.

2. Con il secondo motivo la difesa erariale, deducendo omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), sottolinea che la circostanza che la cessione della licenza possa essere configurata come cessione d’azienda trova riscontro nei dati contabili illustrati in appello, che dìmostrano come la società acquirente, a seguito dell’acquisizione della licenza, aveva visto notevolmente aumentare il proprio fatturato; lamenta che su tale puntuale allegazione la Commissione tributaria non ha fornito alcuna risposta.

3. In controricorso la contribuente, nel sottolineare che l’Amministrazione finanziaria ha accertato l’esistenza di una cessione d’azienda con le conseguenze di ordine fiscale in capo della società ai fini IRAP e per trasparenza ex art. 5 t.u.i.r. in capo ai due soci ( G.A. e B.M.), ha posto in rilievo che l’accertamento, separatamente impugnato dalla società e dai soci, è stato annullato in primo grado con distinte pronunce che sono state confermate in grado di appello e che, in difetto di impugnazione da parte dell’Agenzia delle entrate, si è formato un giudicato favorevole alla società contribuente che necessariamente travolge anche gli accertamenti a carico dei soci.

4. La questione prospettata dalla controricorrente va esaminata preliminarmente.

4.1. Secondo il consolidato orientamento delle Sezioni Unite della Corte (Cass., Sez. U, 4/06/2008, n. 14815), “l’accertamento del reddito sociale e l’accertamento del reddito dei singoli soci sono in evidente rapporto di reciproca implicazione (non si può accertare il secondo se non accertando il primo ed il primo condiziona l’accertamento del secondo)”; infatti, in presenza di imputazione automatica del reddito sociale ai soci, prevista dall’art. 5 t.u.i.r., la difesa di questi dinanzi alla pretesa fiscale, qualora non contenga contestazioni circa la qualità di socio o la quota di partecipazione, deve necessariamente trovare uno spazio processuale per interloquire sulla determinazione del reddito della società, risolvendosi altrimenti in una palese violazione del diritto di difesa e del principio della tassazione in base alla capacità contributiva (art. 53 Cost.).

Non potendo, di conseguenza, l’attività di accertamento svolta nei confronti della società essere disgiunta da quella relativa ai soci, le Sezioni Unite hanno precisato che l’unitarietà dell’accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e delle associazioni di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5 e dei soci delle stesse e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società che tutti i soci – salvo il caso in cui questi prospettino questioni personali -, sicchè tutti questi soggetti devono essere parte dello stesso procedimento e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi; siffatta controversia, infatti, non ha ad oggetto una singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, con conseguente configurabilità di un caso di litisconsorzio necessario originario. Conseguentemente, il ricorso proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati impone l’integrazione del contraddittorio ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14 (salva la possibilità di riunione ai sensi del successivo art. 29) ed il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorzi necessari è affetto da nullità assoluta, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, anche di ufficio.

4.2. Da tale principio deriva che, qualora in violazione del principio di litisconsorzio necessario, si formino giudicati parziali, riferiti, cioè, a singole posizioni, il principio del contraddittorio e il diritto di difesa impediscono di opporre il giudicato a chi non abbia partecipato al giudizio o non è stato messo in grado di prendervi parte, per cui “il terzo può beneficiare del giudicato inter alios, ma non può esserne pregiudicato”.

Conseguentemente, il giudicato di annullamento dell’avviso di accertamento notificato alla società fa stato nel processo relativo ai soci, in ragione del carattere oggettivamente pregiudiziale dello stesso, e giova, quindi, ai soci che non hanno partecipato al giudizio autonomamente proposto dalla società, “in quanto se avessero partecipato non avrebbero potuto fare di meglio”, mentre l’Ufficio, che ha preso parte al giudizio, non può invocare alcun limite del giudicato nei propri confronti (Cass., sez. 5,

24/07/2009, n. 17368; Cass., sez. 5, 28/02/2018, n. 4580; Cass., sez. 5, 10/12/2019, n. 32220).

Ovviamente l’annullamento dell’avviso di accertamento notificato alla società, sancito con sentenza passata in giudicato, spiega i suoi effetti in favore di tutti i soci solo qualora non sia stato pronunciato per tardiva notifica dell’atto impositivo (decadenza), o per altra causa non rapportabile ai soci; allo stesso modo gli effetti del giudicato di annullamento non si estendono al socio nei cui confronti sia, intanto, intervenuto un giudicato diretto di segno contrario, che abbia avallato l’accertamento svolto dall’Ufficio (Cass., sez. 5, 6/03/2003, n. 3306).

4.3. Nel caso che ci occupa, come emerge sia dalle puntuali indicazioni della controricorrente, sia dalla sentenza di questa Corte n. 33507 del 27 dicembre 2018, il giudizio a carico della società si è concluso con la sentenza, ad essa favorevole, della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 133/7/11, depositata il 24 ottobre 2011, non impugnata dall’Agenzia delle entrate ed ormai passata in giudicato, che ha confermato l’annullamento dell’avviso di accertamento del maggior reddito societario.

L’accertamento del giudicato favorevole alla società, contenuto nella sentenza n. 33507 del 2018, preclude l’esame dei motivi dedotti dalla ricorrente, dovendo anche il giudice di legittimità evitare che si formino due regole giuridiche ex iudicato sulla stessa materia controversa.

Infatti, il giudicato non costituisce patrimonio esclusivo delle parti ma, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, conformemente al principio del ne bis in idem, corrisponde ad un preciso interesse pubblico, consistente nell’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche, ed impone al giudice di conformarsi alla regula iuris già formatasi sulla res iudicanda, quand’anche essa risulti da diverso giudizio intercorso tra le stesse parti o tra parti parzialmente diverse, purchè risulti certa la conoscenza del diverso giudizio avente carattere pregiudicante rispetto a quello in atto (Cass., sez. 5, 15/06/2007, n. 14014).

Alla stregua delle considerazioni svolte, la regula iuris risultante dal giudicato favorevole alla società, relativo all’esclusione del maggior reddito contestato alla società, non può che comportare, di riflesso, il venir meno della legittimità dell’accertamento del reddito di partecipazione a carico del socio B.M.L., che di quel giudicato intende avvalersi.

5. In conclusione, il ricorso va rigettato e la sentenza impugnata deve essere confermata, sia pure con diversa motivazione rispetto a quella resa dai giudici d’appello.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2020

 

 

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