Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27334 del 24/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 24/10/2019, (ud. 12/06/2019, dep. 24/10/2019), n.27334

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9450-2016 proposto da:

D.L.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VALNERINA 40,

presso lo studio dell’Avvocato GINO SCARTOZZI, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A., (già FERRROVIE DELLO STATO S.P.A.

– Società di Trasporti e Servizi per Azioni) in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DI

RIPETTA 22, presso lo Studio Legale Gerardo Vesci & Partners,

rappresentata e difesa dall’Avvocato GERARDO VESCI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6676/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 06/10/2015 R.G.N. 2090/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dal

Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Il Tribunale di Roma, con la sentenza del 27.9.2000, riconosceva la dipendenza della malattia (epatite) da causa di servizio e condannava la Rete Ferroviaria spa (con la quale era stata riconosciuta la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro di natura subordinata) al pagamento in favore di D.L.A. di Lire 22.836.222 a titolo risarcitorio.

2. La Corte di appello di Roma, con la pronuncia definitiva n. 4112/2009, investita con gravame della Rete Ferroviaria Italiana spa, a seguito di una prima sentenza non definitiva con la quale era stato respinto il motivo circa l’inammissibilità del riconoscimento dell’equo indennizzo, dopo avere espletato una nuova ctu, liquidava in favore del D.L. l’importo di Euro 11.620,52, anzichè di quello statuito in prime cure, oltre accessori.

3. La Corte di cassazione, con la sentenza n. 3699/2014, su ricorso del D.L., cassava la pronuncia definitiva impugnata, rinviando alla Corte di appello di Roma in diversa composizione per un nuovo esame, rilevando un difetto di motivazione circa l’esplicitazione delle ragioni in base alle quali il giudice di secondo grado aveva proceduto alla liquidazione della prestazione, nonchè la contraddittorietà tra dispositivo e motivazione che impediva di individuare l’iter logico seguito in ordine al decisum e, infine, l’omessa motivazione sulle ragioni di esclusione del danno biologico e della incapacità lavorativa come quantificata nella consulenza tecnica di ufficio.

4. D.L.A. procedeva alla riassunzione del giudizio.

5. Rete Ferroviaria Italiana spa chiedeva l’inammissibilità delle domande proposte nel giudizio di rinvio e, nel merito, il rigetto del ricorso originario ove non vi era alcun riferimento al danno biologico e al nocumento alla capacità lavorativa, peraltro ristorati con l’attribuzione di un equo indennizzo.

6. La Corte di appello di Roma, quale giudice del rinvio, con la sentenza n. 6676/2015, rigettava il ricorso in riassunzione specificando che, in virtù di una precedente pronuncia emessa dalla stessa Corte del 13.2.2012, divenuta definitiva, si era formato un giudicato interno di rigetto, per intervenuta decadenza, sulla domanda avente ad oggetto il danno per infermità da causa di servizio; quanto, invece, alle domande di risarcimento del danno biologico e alla capacità lavorativa, rispetto alle prospettazioni contenute nell’originario ricorso ex art. 414 c.p.c., le stesse dovevano considerarsi nuove perchè si era fatto generico riferimento, nella narrativa dell’atto, ai “danni derivati e derivandi dall’infermità per causa di servizio” e nelle conclusioni, con pari genericità, a tutti i danni patiti e patiendi.

7. Avverso tale ultima decisione riproponeva ricorso per cassazione D.L.A. affidato a due motivi.

8. Rete Ferroviaria Italiana spa resisteva con controricorso.

9. Il PG non rassegnava conclusioni scritte.

10. Le parti depositavano memorie.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo del ricorso per cassazione si denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per avere i giudici del rinvio fondato la propria decisione sulla pronuncia della medesima Corte di appello del 13.3.2012 senza che la stessa (o le argomentazioni in essa contenute) fosse stata ritualmente introdotta in giudizio da alcuna delle parti, così contravvenendo al divieto di scienza privata del giudice e alla garanzia del contraddittorio.

2. Con il secondo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c., comma 2, per non essere stato rilevato che la rituale proposizione della domanda di risarcimento del danno biologico e di quello derivante da incapacità lavorativa era stata già evidenziata dalla stessa decisione della Corte di cassazione n. 3699/2014 che, nell’esaminare il terzo motivo di impugnazione, aveva rilevato sul punto una omessa motivazione da parte dei giudici di seconde cure.

3. Il primo motivo è infondato.

4. Il ricorrente lamenta, come detto, che la pronuncia gravata, in violazione del principio del divieto di scienza privata, aveva fondato le proprie argomentazioni su una sentenza del 13.3.2012 della Corte di appello di Roma che non era stata ritualmente introdotta in giudizio da nessuna delle parti.

5. Preliminarmente, osserva il Collegio che la doglianza presenta profili di inammissibilità in quanto formulata in violazione del requisito di specificità richiesto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, non riportando il contenuto fondamentale degli atti processuali onde consentire una corretta verifica sulla fondatezza del vizio denunciato.

6. La censura non è, poi, meritevole di accoglimento, neanche sotto l’aspetto della sua fondatezza, perchè il rigetto del capo della domanda, relativamente alla richiesta del risarcimento del danno connesso alla infermità contratta in dipendenza della causa di servizio, statuita da altra sentenza della Corte di appello, è effettivamente divenuto definitivo a seguito della sentenza della Suprema Corte n. 23015 del 2014.

7. Non è ravvisabile, pertanto, alcuna lesione del suindicato divieto atteso che i principi costituzionali del giusto processo e della sua ragionevole durata impongono al giudice, anche in sede di legittimità, di rilevare d’ufficio l’esistenza di un eventuale giudicato esterno; tale rilievo, in ragione del preminente interesse pubblico sotteso dai principi costituzionali sopra richiamati, deve avvenire anche prescindendo da eventuali allegazioni in tal senso delle parti e, qualora il giudicato si sia formato in seguito ad una sentenza della Corte di Cassazione, facendo ricorso, se necessario, agli strumenti informatici e alle banche dati elettroniche interne all’ufficio ove siano archiviati i ricorsi e le decisioni (Cass. 15.6.2007 n. 14014; Cass. 7.10.2010 n. 20802).

8. Ciò è appunto avvenuto nel caso di specie ove la sentenza del giudizio di rinvio del 29.9.2015/6.10.2015 ha dato atto del giudicato nelle more formatosi sul punto a seguito della citata pronuncia della SCC, risultante evidentemente dalla banca dati della Corte di Cassazione.

9. Relativamente al secondo motivo, deve osservarsi quanto segue.

10. La Corte territoriale ha ritenuto domanda nuova, proposta inammissibilmente nel giudizio di rinvio, quella diretta ad ottenere il risarcimento del danno biologico e di quello alla capacità lavorativa in quanto nel ricorso ex art. 414 c.p.c. si era fatto generico riferimento al risarcimento dei “danni derivati e derivandi dall’infermità per causa di servizio” e, nelle conclusioni, con pari genericità, a “tutti i danni patiti e patiendi”.

11. L’assunto non è condivisibile perchè la sentenza rescindente di questa Corte (n. 3699/2014), nell’accogliere il terzo motivo, aveva specificato che il giudice di appello non aveva fornito alcuna motivazione sulle ragioni di esclusione del danno biologico e dell’incapacità lavorativa, come quantificata nella ctu, e che il ricorrente, avendo chiesto il risarcimento di tutti i danni, aveva in sostanza ricompreso nella istanza risarcitoria anche il danno biologico e quello derivante da incapacità lavorativa.

12. Ne consegue che già il giudice di legittimità aveva considerato validamente proposte le domande risarcitorie che la odierna gravata sentenza ha, invece, erroneamente ritenute nuove.

13. Tuttavia, osserva il Collegio che la fondatezza di tale censura non può comunque condurre all’accoglimento del motivo perchè la Corte di merito, oltre al profilo sopra ritenuto della novità delle domande, ha anche precisato che mancava del tutto, nel ricorso introduttivo ex art. 414 c.p.c., la deduzione dell’esistenza di un preciso pregiudizio psicofisico quale effetto della contratta patologia, nonchè della correlata diminuzione della attitudine lavorativa. Ha rilevato, pertanto, anche un difetto di allegazione che non è stato censurato in questa sede ed il cui rilievo, avendo la sentenza di cassazione rescindente accolto il motivo sia sotto il profilo della violazione di legge procedurale che sotto quello del vizio di omessa motivazione, non poteva dirsi precluso atteso che la “potestas iudicandi” del giudice del rinvio, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, poteva comportare ex novo la valutazione sulla corretta allegazione dei fatti posti a sostegno della domanda, in base alle direttive impartite dalla decisione di legittimità (vedi riferimenti su tale punto in Cass. n. 22885/2015).

14. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.

15. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.

16. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, sempre come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 12 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2019

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