Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27334 del 19/12/2011

Cassazione civile sez. II, 19/12/2011, (ud. 09/11/2011, dep. 19/12/2011), n.27334

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – rel. Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 6675-2006 proposto da:

C.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA COLA DI RIENZO 149, presso lo studio dell’avvocato LANZILAO

MARCO, rappresentato e difeso dall’avvocato ATTARDI SEBASTIANO;

– ricorrente –

IMPRESE EDILE NEW HOUSE snc in liquidazione P.I. (OMISSIS), in

persona del suo liquidatore e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LIBERO LEONARDI 34, presso lo

studio SANTO FINOCCHIARO E SILVIO ALIFFI, rappresentato e difeso

dall’avvocato COSTANZO ROSSANA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1310/2004 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 23/12/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/11/2011 dal Consigliere Dott. LINA MATERA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ANTONIETTA CARESTIA che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso, in subordine il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 1-10-1999 il Tribunale di Catania, in parziale accoglimento della domanda proposta dall’impresa New House con atto di citazione notificato il 20-11-1989, condannava C.S. al pagamento in favore dell’attrice della somma di L. 15.149.025, a saldo del corrispettivo dovuto per l’esecuzione di lavori di ristrutturazione di un villino. Il Tribunale rigettava, invece, la domanda riconvenzionale proposta dal convenuto per presunti vizi delle opere eseguite.

Con sentenza depositata il 23-12-2004 la Corte di Appello di Catania rigettava l’appello proposto dal convenuto avverso la predetta decisione. In motivazione, il giudice del gravame rilevava, in particolare: a) che il problema della rilevabilità o meno d’ufficio della decadenza del committente dall’azione ex art. 1667 c.c., era superato dal fatto che la relativa eccezione era stata proposta in appello; b) che non vi era prova dei pretesi ritardi nella esecuzione dei lavori nè dei presunti danni da essi cagionati; c) che le censure mosse dall’appellante circa la congruità dei prezzi relativi alla contabilità predisposta dalla ditta appaltatrice erano generiche, e che tali prezzi non potevano considerarsi comprensivi di IVA. Per la cassazione di tale sentenza ricorre il C., sulla base di quattro motivi.

La ditta New House resiste con controricorso.

Il ricorrente ha depositato una memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo il ricorrente lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione e il travisamento dei fatti, nonchè la violazione e falsa applicazione degli artt. 1167, 1655 e 1667 c.c..

Deduce che la Corte di Appello avrebbe dovuto dichiarare tardiva e inammissibile l’eccezione di decadenza ex art. 1667 c.c., sollevata dall’impresa appaltatrice solo nella comparsa di risposta di appello.

Sostiene, comunque, che il convenuto non è incorso in alcuna decadenza, trattandosi di vizi occulti di cui il C., come risulta dalla prova testimoniale espletata, ha avuto la piena percezione solo nel marzo del 1989, e che il medesimo ha tempestivamente denunciato con lettera raccomandata del 23-3-1989.

Rileva che in modo illogico e contraddittorio la Corte di merito, dopo aver ammesso la prova testimoniale volta a dimostrare la tempestività della denuncia, non ha tenuto conto del risultato della prova, ritenendo la stessa superata dall’eccezione di decadenza formulata in appello dalla ditta appaltatrice.

Il motivo è infondato.

Deve in primo luogo rilevarsi che, trattandosi di giudizio instaurato sotto la vigenza dell’art. 345 c.p.c., nel testo antecedente all’entrata in vigore della L. n. 353 del 1990, (con la quale è stato introdotto il divieto di proporre in appello nuove eccezioni), correttamente la Corte di Appello ha ritenuto tempestiva l’eccezione di decadenza proposta dall’attrice in appello (in giurisprudenza v.

Cass. Sez. 2^, 24-6-80 n. 3970; Sez. 2^, 15-6-1981 n. 3879; Sez. 2^, 20-1-1982 n. 6257; Sez. 2^, 12-7-1986 n. 4531) e, quindi, superato il motivo di gravame con cui si censurava la sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva rilevato d’ufficio la decadenza.

Quanto alle ulteriori doglianze mosse dal ricorrente, si osserva che, secondo quanto si legge a pag. 4 della sentenza impugnata, con il primo motivo di appello il C. aveva dedotto la tempestività della denuncia dei vizi dell’opera effettuata con lettera del 24-3- 1989, in riferimento alla data della consegna dei lavori, che aveva sostenuto essere incerta. Con il motivo in esame si sostiene, invece, che si trattava di vizi occulti, non rilevabili al momento della consegna dell’opera, e che, quindi, il termine per la denuncia decorreva dalia relativa scoperta, risalente al marzo 1989. Il ricorrente, pertanto, prospetta una questione nuova, che non risulta trattata nella sentenza impugnata (nella quale la Corte di Appello nulla ha detto riguardo alla sussistenza di vizi occulti) e che, implicando accertamenti in fatto, non può essere introdotta nel presente giudizio di legittimità. Nel motivo in esame, inoltre, non viene precisato in quale atto processuale è stata dedotta l’esistenza di vizi occulti.

Si richiama, al riguardo, il constante orientamento di questa Corte, secondo cui i motivi del ricorso per cassazione devono investire a pena di inammissibilità questioni che hanno formato oggetto del giudizio di secondo grado, non essendo consentito in sede di legittimità la proposizione di nuove questioni di diritto, ancorchè rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, quando esse presuppongano o comunque richiedano nuovi accertamenti o apprezzamenti di fatto preclusi alla Corte di Cassazione (Cass. 27 agosto 2003, n. 12571; Cass. 24 maggio 2003, n. 8247). Da tanto discende, da un lato, che è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che sollevi una questione, per la quale siano necessari accertamenti di fatto, che non abbia formato oggetto del giudizio di appello, come fissato e delimitato dalle impugnazioni delle parti (Cass., Sez. Un., 20 gennaio 1998 n. 494), e, dall’altro, che ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che riproponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al Giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di Cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (tra le tante v. Cass. 5-10-1998 n. 9861; Cass. 22-7- 2005 n. 15422; Cass. 30-11-2006 n. 25546; Cass. 3-3-2009 n. 5070).

2) Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 1364 c.c., nonchè l’insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto che agli importi pattuiti dalie parti dovesse essere aggiunta l’IVA. Sostiene che, in mancanza di diversa specificazione, i due preventivi di spesa del 28-9-2007 e del 7-10-1987 dovevano ritenersi comprensivi d’IVA. Fa presente che, come è stato evidenziato nella comparsa di costituzione di primo grado, lo stesso titolare dell’impresa appaltatrice aveva riconosciuto, in via stragiudiziale, che nei prezzi praticati era stata inclusa l’IVA. Il motivo, nella prima parte, non appare rispondente al principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, non contenendo la trascrizione del testo integrale della regolamentazione pattizia di cui il ricorrente lamenta l’erronea interpretazione da parte del giudice di merito, e non ponendo, quindi, questa Corte nelle condizioni di verificare, sulla base della sola lettura del ricorso, la fondatezza delle doglianze mosse dal ricorrente.

Deve aggiungersi che con le censure mosse il ricorrente, attraverso la formale prospettazione di violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale e di vizi di motivazione, chiede, in buona sostanza, una valutazione alternativa rispetto a quella compiuta dalla Corte di Appello, la quale, nel ritenere che sui prezzi esposti nella contabilità predisposta dall’appaltatore dovesse essere computata l’IVA, ha implicitamente escluso che tali prezzi, per volontà delle parti, fossero comprensivi dell’imposta in questione.

Tale valutazione, benchè contrastante con quella invocata dal ricorrente, appare plausibile e, pertanto, si sottrae al sindacato di questa Corte, costituendo l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata un’attività riservata a giudice di merito.

Le deduzioni svolte nella seconda parte del motivo difettano anch’esse del requisito di specificità e prospettano, comunque, una questione nuova, non contenendo alcuna indicazione riguardo al tempo ed alle modalità dell’asserita confessione stragiudiziale resa dal titolare dell’impresa appaltatrice, di cui non è fatta menzione nella sentenza impugnata.

3) Con il terzo motivo il ricorrente si duole della violazione degli artt. 1176, 1667 e 1668 c.c., nonchè della contraddittorietà della sentenza, nella parte in cui ha rigettato la domanda riconvenzionale del convenuto, pur essendo stati accertati, anche a mezzo delle indagini del consulente tecnico d’ufficio, la cattiva esecuzione delle opere da parte del l’appaltatrice e i danni conseguenti.

Aggiunge che dalle scritture private risulta provato anche il ritardo nella consegna dei lavori e che, pertanto, anche il relativo danno avrebbe dovuto essere risarcito, sia pure in via equitativa.

Il motivo, nella prima parte, difetta del requisito di specificità, non confrontandosi con le ragioni poste a base della ritenuta infondatezza del motivo di appello inerente al mancato accoglimento della domanda riconvenzionale per danni da pretesi difetti dell’opera; ragioni che poggiano sull’assorbente rilievo della intervenuta decadenza del convenuto dalla garanzia ex art. 1667 c.c., in conseguenza della tardività della denuncia dei vizi.

Le censure mosse nella seconda parte del motivo in esame, oltre ad essere formulate in termini del tutto generici, si basano su una valutazione alternativa delle risultanze processuali rispetto a quella compiuta dalla Corte di Appello, la quale, con motivazione esente da vizi logici e con apprezzamento in fatto non sindacabile in questa sede, ha ritenuto non provati nè i pretesi ritardi nella esecuzione dei lavori nè i presunti danni dagli stessi cagionati.

4) Deve essere disatteso, infine, anche il quarto motivo di ricorso, con it quale viene denunciata la violazione degli artt. 90 e 91 c.p.c., in relazione alla condanna dell’appellante al pagamento delle spese.

Come è noto, in tema di regolamento delle spese processuali, il sindacato di legittimità è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa. Nella specie, pertanto, il ricorrente, quale parte soccombente, non può dolersi della condanna alle spese emessa nei suoi confronti dal giudice di merito.

5) Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese sostenute dal resistente nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 9 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2011

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