Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27333 del 19/12/2011

Cassazione civile sez. II, 19/12/2011, (ud. 09/11/2011, dep. 19/12/2011), n.27333

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – rel. Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 6152-2006 proposto da:

D.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA BRENTONICO 110, presso lo studio dell’avvocato MAFFEI

FULVIO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

B.E. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CRESCENZIO 97, presso lo studio dell’avvocato GIANNI

GIUSEPPE, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato FIORA

GIANNI;

– contro ricorrente –

avverso la sentenza n. 766/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 17/02/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/11/2011 dal Consigliere Dott. LINA MATERA;

udito l’Avvocato MAFFEI Fulvio, difensore del ricorrente che si

rìpoerta agli atti depositati;

udito l’Avvocato FIORA Gianni, difensore del resistente che si

riporta agli atti depositati;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ANTONIETTA CARESTIA che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

limitatamente alla decorrenza degli interessi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto ingiuntivo emesso in data 21-3-1994 il Presidente del Tribunale di Roma intimava all’architetto D.F. il pagamento in favore di B.E. della somma di L. 13.000.000, pari alla differenza tra la somma di L. 25.000.000 corrisposta al professionista per l’attività di progettazione di un edificio in (OMISSIS) e quanto effettivamente dovutogli in base agli accordi intercorsi, secondo cui l’intero incarico era subordinato al rilascio della concessione edilizia, in mancanza della quale all’architetto D. sarebbe stata riconosciuta la sola somma di L. 12.000.000 a titolo di rimborso spese.

Con atto di citazione notificato il 29-4-1994 il D. proponeva opposizione avverso tale decreto, deducendo che l’opera professionale espletata era completa e conforme all’incarico conferitogli dal B., e che pertanto la richiesta di restituzione era da considerare illegittima.

Nel costituirsi, il B. chiedeva il rigetto dell’opposizione, precisando che l’incarico prevedeva la progettazione e direzione dei lavori di un edificio, previa concessione edilizia da ottenersi a cura del professionista, e che la direzione dei lavori non era stata espletata a causa del mancato rilascio della concessione edilizia, già dato per imminente dall’architetto.

Con sentenza dell’11-7-2001 il Tribunale di Roma accoglieva l’opposizione, revocando il decreto ingiuntivo.

Avverso tale decisione proponeva appello il B..

Con sentenza depositata il 17-2-2005 la Corte di Appello di Roma, in accoglimento del gravame, condannava il D. al pagamento in favore dell’appellante della somma di Euro 6.713,93, oltre interessi legali dal pagamento al saldo.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre il D., sulla base di due motivi.

Il B. resiste con controricorso.

In prossimità dell’udienza entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Con i due motivi di ricorso, illustrati unitariamente, il D. lamenta:

a) violazione e falsa applicazione di norme di legge nonchè insufficiente, inadeguata e illogica motivazione, in riferimento agli artt. 112 e 116 c.p.c., e artt. 1337, 1358, 1375, 1362, 1363, 1366 2033 c.c.;

b) omessa considerazione e omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato e documentato dalla parte e rilevabile d’ufficio, in riferimento agli artt. 1337, 1362, 1363, 1364, 1366, 2727 e 2729 c.c..

2) Il ricorso appare fondato e meritevole di accoglimento solo nella parte in cui denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c..

La Corte di Appello, nel condannare il D. alla restituzione della somma di Euro 6.713,93 corrispostagli dal cliente in eccedenza rispetto all’importo effettivamente dovutogli, in applicazione delle norme sull’indebito oggettivo (art. 2033 c.c.) ha fatto decorrere gli interessi legali dal giorno del pagamento, avendo escluso la buona fede dell’accipiens.

Con tale statuizione, il giudice del gravame è incorso nel vizio di ultrapetizione. Come si evince, infatti, dall’esame diretto degli atti del giudizio di merito (consentito dalla natura del vizio denunciato), con l’atto di appello e nel rassegnare le conclusioni finali, trascritte nella sentenza impugnata, il B. aveva chiesto il rigetto dell’opposizione e la conferma del decreto ingiuntivo, con il quale gli interessi legali erano stati fatti decorrere, come da domanda, dalla richiesta di pagamento inviata dall’opposto al D. in data 8-3-1993.

La Corte di Appello, pertanto, non poteva, senza violare il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, stabilire d’ufficio una decorrenza degli interessi anteriore rispetto a quella espressamente invocata dall’appellante.

3) Le ulteriori censure mosse dal ricorrente si rivelano infondate.

La Corte di Appello ha dato adeguato conto delle ragioni per le quali ha ritenuto non dovuto all’architetto D. il maggiore importo al medesimo versato dal B. in relazione al contratto di prestazione professionale per cui è causa. Essa ha spiegato che il B., nella lettera di accettazione dell’offerta del 26-6- 1989 e di conferma dell’incarico al D., aveva precisato che “detto incarico è subordinato al rilascio e ritiro delle concessioni edilizie che dovrà avvenire entro e non oltre il 30-4-1990, nel deprecato caso contrario resta espressamente convenuto che il mandato professionale si intenderà decaduto e all’infuori della somma di L. 12.000.000 a titolo di rimborso spese e competenze null’altro le dovrò”. Come è stato evidenziato nella sentenza impugnata, pertanto, l’incarico professionale era subordinato al verificarsi della condizione sospensiva costituita dal rilascio della concessione edilizia.

In punto di fatto, la Corte di Appello ha accertato che la concessione edilizia non venne rilasciata dal Comune di Roma, in quanto l’area interessata alla edificazione era già stata asservita ad una precedente costruzione da parte dello stesso proprietario, B., che aveva a suo tempo sottoscritto il relativo atto d’obbligo.

Ciò posto, il giudice del gravame ha dissentito dal giudizio espresso dal Tribunale, secondo cui il mancato avversamente della condizione dovrebbe addebitarsi ad esclusivo fatto e colpa del committente, che avrebbe agito in malafede, tacendo al professionista la reale situazione dei bene. A tali conclusioni esso è pervenuto sulla base di una motivazione adeguata e logica, basata sul rilievo che il professionista intellettuale dovrebbe per definizione essere in possesso delle cognizioni tecniche necessarie ad assolvere l’incarico conferitogli dal cliente; che nella stessa lettera del 26- 6-1989 l’arch. D., nel descrivere dettagliatamente le prestazioni offerte, faceva chiaro riferimento sia alla “fase istruttoria fino al ritiro della concessione edilizia”, sia ad un edificio preesistente di cui sarebbe da definire la sanatoria, sia ancora alla demolizione di un edificio esistente; che, pertanto, il professionista era bene a conoscenza della situazione urbanistica e di fatto del terreno da edificare, anche a prescindere dalle informazioni fornite dal B.; che quest’ultimo, non essendo un tecnico, non era tenuto a conoscere le conseguenze di tipo tecnico – giuridico della sottoscrizione da parte sua di un precedente atto di obbligo concernente lo stesso bene; che, comunque, il D., il quale in esecuzione dell’incarico affidatogli doveva occuparsi tra l’altro del rilascio della concessione edilizia, doveva essere in grado, nella sua qualità di architetto progettista, di conoscere e valutare eventuali impedimenti al rilascio stesso, anche al fine di trovare soluzioni idonee al possibile superamento delle difficoltà incontrate; che, pertanto, il fatto di non essere riuscito ad ottenere la concessione edilizia da lui promessa come imminente al momento di pretendere l’onorario pattuito, doveva semmai imputarsi a negligenza o superficialità del professionista.

Alla luce di tali considerazioni, legittimamente la Corte di Appello ha escluso il diritto del D. a ricevere le somme versategli dal cliente in eccedenza rispetto all’importo di L. 12.000.000 dovutogli in caso di mancato avveramento della condizione sospensiva contrattualmente prevista, avendo escluso, con apprezzamento in fatto non sindacabile in questa sede, in quanto sorretto da una motivazione corretta sul piano logico e giuridico, che il B. avesse tenuto un comportamento colposo nella fase delle trattative precontrattuali o in pendenza della condizione.

Orbene, le doglianze mosse dal ricorrente, attraverso la formale prospettazione di vizi di motivazione e di violazione di norme di legge (molte delle quali, in realtà, sono state solo enunciate, ma in alcun modo illustrate nella esposizione dei motivi), si risolvono, in buona sostanza, in mere censure di merito, basate su una diversa ricostruzione della vicenda; e tradiscono il reale intento di ottenere una nuova valutazione delle risultanze processuali, al fine di pervenire a conclusioni più favorevoli rispetto a quelle cui è giunto il giudice di appello. In tal modo, peraltro, si sollecita a questa Corte l’esercizio di poteri di cognizione che esulano dai limiti del sindacato ad essa istituzionalmente riservato, non essendo il giudizio di legittimità un giudizio di merito di terzo grado, nel quale possa chiedersi un diverso apprezzamento degli elementi di fatto già considerati dai giudici del merito.

3) Per le ragioni esposte, la sentenza impugnata deve essere cassata limitatamente alla decorrenza degli interessi legali. Non occorrendo, sul punto, ulteriori accertamenti di fatto, questa Corte può decidere nel merito, fissando detta decorrenza dall’8-3-1993.

Per il resto, il ricorso deve essere rigettato.

In considerazione della sostanziale soccombenza del ricorrente (che ha visto accogliere, tra le molteplici censure proposte, solo quella attinente alla decorrenza degli interessi), va pronunciata la condanna del medesimo al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

La riforma, sia pure parziale, della sentenza impugnata, determina la caducazione del capo della pronuncia che ha statuito sulle spese, e impone, quindi, a questa Corte di provvedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese dei due gradi del giudizio di merito.

Al riguardo, tenuto conto della già rilevata soccombenza sostanziale del D., si ritiene di confermare la pronuncia di condanna alle spese emessa dalla Corte di Appello nei confronti dell’odierno ricorrente, anche in relazione all’entità degli importi liquidati, che appaiono correttamente determinati.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso limitatamente alla decorrenza degli interessi, cassa la sentenza impugnata sul punto e, decidendo nel merito, fissa detta decorrenza dall’8-3-1993. Rigetta nel resto il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente grado, che liquida in Euro 2.400,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali. Conferma la liquidazione delle spese del giudizio di merito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 9 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2011

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