Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27327 del 30/11/2020

Cassazione civile sez. I, 30/11/2020, (ud. 11/11/2020, dep. 30/11/2020), n.27327

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 15878/2019 proposto da:

S.E., rappresentato e difeso dall’Avv. Paolo Alessandrini,

in virtù di procura in calce allegata al ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege, in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di appello di L’Aquila n. 2172/2018

pubblicata il 22 novembre 2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’11 novembre 2020 dal Consigliere CARADONNA Lunella.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. Con sentenza del 22 novembre 2018, la Corte di appello di L’Aquila ha rigettato l’appello proposto da S.E., cittadino del Gambia, avverso l’ordinanza del Tribunale di L’Aquila del 6 giugno 2017, che aveva respinto la domanda di protezione internazionale e umanitaria.

2. S.E. ha raccontato di essere entrato a far parte della polizia del Gambia nel 2008 (producendo il relativo certificato) e di esserci rimasto fino al 2014, fino a quando si erano verificati gli episodi che lo avevano costretto a fuggire dal suo paese per evitare le ritorsioni della polizia che lo accusava di avere fatto conoscere all’estero i metodi violenti praticati dalla stessa polizia, la corruzione e la durezza del regime carcerario.

3. La Corte di appello ha ritenuto che non risultava alcun pericolo per il ricorrente di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità o appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, nè poteva sostenersi che in Gambia vi era una situazione di violenza indiscriminata, poichè la situazione si era stabilizzata dopo le elezioni democratiche svoltesi il 6 aprile 2017 con la vittoria del partito legato al Presidente B.; quanto alla protezione umanitaria ha affermato che non erano state rinvenute situazione di particolare vulnerabilità, non potendo assumere rilievo la circostanza che il ricorrente esercitasse un’attività lavorativa in Italia.

4. S.E., avverso la detta sentenza, ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a tre motivi.

5. L’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, l’omessa motivazione circa il principale motivo di impugnazione costituito dalla richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra e successive modifiche, nonchè del D.Lgs. n. 251 del 2007, avendo la Corte territoriale detto che non risultava alcun pericolo per il ricorrente di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità o appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione dell’art. 4 della Direttiva comunitaria 2004/83/CE del 29 aprile 2004 (abrogata e ritrasfusa nella Direttiva 2011/95/UE); 3 del D.Lgs. n. 251 del 2007, nonchè della Direttiva comunitaria 2005/85/CE (abrogata e ritrasfusa nella Direttiva 2013/32/UE) e il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 27, comma 1 bis, nonchè della Direttiva 2004/83/CE, art. 8, (abrogata e poi ritrasfusa dalla Direttiva 2011/95/UE) e vizio di omesso esame del ricorrente (D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, comma 10 e comma 13), non avendo la Corte di appello effettuato propri accertamenti o compiuto alcuna discovery, anche attraverso l’esame diretto del ricorrente, della situazione lamentata dal medesimo e limitandosi a riferire degli accertamenti effettuati dalla Commissione territoriale.

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione dell’art. 4 della Direttiva 2011/95/UE; il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, nonchè art. 10 della Direttiva 2013/32/UE; il D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6; il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1; art. 2 Cost. e all’art. 3 CEDU, non avendo la Corte effettuato alcuna valutazione comparativa considerato le criticità del paese di provenienza e il percorso di integrazione avviato nel nostro Paese, nè aveva considerato l’attività lavorativa svolta in Italia.

3.1 I primi due motivi, che vanno trattati unitariamente perchè connessi, sono infondati.

3.2 La Corte territoriale, ha analiticamente esaminato, con il richiamo specifico di fonti internazionali, aggiornate al 2017, la situazione esistente Costa d’Avorio e ha escluso la sussistenza dei presupposti dello status di rifugiato.

Anche con specifico riguardo al riconoscimento della protezione sussidiaria il D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) b) e c), il ricorrente non ha nemmeno prospettato il rischio di subire la condanna a morte o l’esecuzione della pena di morte o ancora la possibilità di essere sottoposto a tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante nel suo paese di origine, nè risultano indicati elementi idonei ad evidenziare una minaccia individuale alla vita o alla persona, nè una situazione di violenza cosi generalizzata nel paese di provenienza tale da integrare, in caso di rientro, il pericolo di vita, ciò a fronte dei puntuali contenuti del provvedimento impugnato, che ha richiamato specifiche fonti alle pagine 3 – 7 del provvedimento impugnato che escludono l’esistenza di una situazione di violenza indiscriminata nel Paese di origine.

3.3 La Corte territoriale ha precisato che in Gambia emergeva una situazione di generale stabilità, anche tenuto conto dell’equilibrio politico raggiunto, e che l’attuale Presidente, B.A., aveva deciso di istituire una commissione di inchiesta sui reati commessi dal precedente Presidente.

Il ricorso, nel denunciare il mancato esercizio da parte della Corte di merito dei poteri istruttori di ufficio sulla situazione generale del Paese di origine del cittadino straniero per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, sortisce l’effetto di condurre critica aspecifica ed irrilevante, là dove quel potere ufficioso ha trovato svolgimento nella sentenza impugnata con carattere di specificità ed all’attualità per indicazione delle fonti consultate.

Sono parimenti assenti nelle difese del ricorrente riferimenti a documenti e rapporti elaborati da organizzazioni governative la cui affidabilità sia riconosciuta a livello internazionale, diversi e ulteriori rispetto a quelli richiamati dalla Corte territoriale.

Il ricorrente, infatti, non solo, non indica quali siano le informazioni che, in concreto, avrebbero potuto determinare l’accoglimento del proprio ricorso, ma fa riferimento, sempre generico, alla necessità di acquisire informazioni sulle condizioni sociali e politiche del paese di provenienza, senza spiegarne neppure l’incidenza nella fattispecie in esame.

Ne consegue che la Corte territoriale non ha violato i suddetti principi, nè è venuto meno al dovere di cooperazione istruttoria, avendo semplicemente ritenuto, a monte, che i fatti lamentati non costituiscano un ostacolo al rimpatrio, nè integrino un’esposizione seria alla lesione dei diritti fondamentali.

3.4 Alla luce degli enunciati principi, le censure del ricorrente si risolvono in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile, in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 apportata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che richiede che il giudice di merito abbia esaminato la questione oggetto di doglianza, ma abbia totalmente pretermesso uno specifico fatto storico, e si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile”, mentre resta irrilevante il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. (Cass., 13 agosto 2018, n. 20721).

4. Il terzo motivo è inammissibile.

4.1 Il ricorrente, nel denunciare il vizio di violazione di legge con riguardo alla statuizione di diniego della protezione umanitaria, svolge doglianze totalmente generiche, con riferimento sia alla dedotta situazione di vulnerabilità soggettiva, sia alla situazione del paese di provenienza, sollecitando un’inammissibile rivalutazione degli accertamenti di fatto effettuata dalla Corte di appello che ha affermato che non erano state rinvenute situazione di particolare vulnerabilità, nè poteva assumere rilevanza la storia raccontata, che vedeva il ricorrente in una situazione di pericolo perchè avrebbe diffuso notizie circa la violazione dei diritti umani perpetrata dal vecchio, stante il sostanziale cambiamento in corso nel paese che si stava avviando verso la democrazia.

4.2 Sul punto, deve rammentarsi che il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari presuppone l’esistenza di situazioni non tipizzate di vulnerabilità dello straniero, risultanti da obblighi internazionali o costituzionali, conseguenti al rischio del richiedente di essere immesso, in esito al rimpatrio, in un contesto sociale, politico ed ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali (Cass., 22 febbraio 2019, n. 5358).

4.3 La condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio (Cass. 15 maggio 2019, n. 13079).

Con particolare riferimento al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia, questo, tuttavia, può assumere rilevanza non quale fattore esclusivo, bensì quale circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale da tutelare mediante il riconoscimento di un titolo di soggiorno, con la conseguenza che il fattore dell’integrazione sociale in Italia è recessivo, qualora difetti la vulnerabilità (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455).

4.4 La condizione di vulnerabilità, quindi, pur non essendo suscettibile di tipizzazione, non è identificabile con il mero stato d’insicurezza derivante dalla situazione d’instabilità politica e sociale del Paese di origine, ove la stessa, come nella specie, non comporti, in caso di rimpatrio del richiedente, il rischio d’immissione dello stesso in un contesto ambientale idoneo a determinare una significativa ed effettiva compressione dei suoi diritti fondamentali. Diversamente, infatti, si prenderebbe altrimenti in considerazione, piuttosto che la situazione particolare del singolo soggetto, quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali e astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria (Cass.,3 aprile 2019, n. 9304; Cass., Sez. U., 13 novembre 2019, n. 29459). 5. Il ricorso va, conclusivamente, rigettato.

Nulla sulle spese poichè i controricorrenti non hanno svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 11 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2020

 

 

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