Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27327 del 19/12/2011

Cassazione civile sez. I, 19/12/2011, (ud. 06/12/2011, dep. 19/12/2011), n.27327

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 16376-2011 proposto da:

R.G. (c.f. (OMISSIS)), in proprio e nella

qualità di cittadino – elettore della Regione Siciliana, nonchè

nella qualità di Presidente della Commissione Vigilanza Popolare

dell’Associazione UNCEA consumatori, domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso da se medesimo;

– ricorrente –

contro

B.G. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 288, presso l’avvocato

ACCARDO ANDREA, rappresentato e difeso dall’avvocato SCURRIA

MARCELLO, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

contro

P.G., PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE

DI MESSINA, S.V., PROCURATORE GENERALE DELLA

REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI MESSINA;

– intimati –

nonchè da:

P.G. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 71, presso l’avvocato

PATRIZIA DEL NOSTRO, rappresentata e difesa dall’avvocato CANDIDO

BONAVENTURA, giusta procura a margine del controricorso e ricorso

incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

R.G., PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI

MESSINA, S.V., PROCURATORE GENERALE DELLA

REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI MESSINA, B.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 255/2011 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 23/05/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/12/2011 dal Consigliere Dott. SALVATORE DI PALMA;

udito, per la controricorrente e ricorrente incidentale P.,

l’Avvocato BONAVENTURA CANDIDO che ha chiesto il rigetto del ricorso

principale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto che ha concluso per il rigetto del ricorso principale;

per il rigetto dell’incidentale.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che, con ricorso dell’8 luglio 2010 – proposto ai sensi del combinato disposto del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 70, commi 3 e 4, e del D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, art. 82, comma 1, S.V., elettore iscritto nelle liste elettorali del Comune di Messina, adì il Tribunale di Messina, chiedendo che questo dichiarasse l’incompatibilità di B.G., deputato all’Assemblea regionale siciliana, a ricoprire l’ufficio di sindaco del Comune di Messina e per l’effetto ne dichiarasse la decadenza;

ciò sui concorrenti rilievi che: 1) il B. era stato eletto deputato dell’Assemblea Regionale Siciliana a seguito delle elezioni del 13-14 aprile 2008; 2) successivamente, lo stesso B. era stato eletto sindaco del Comune di Messina a seguito delle elezioni comunali dell’8-9 giugno 2008; 3) per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 143 del 2010 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, 1^ serie speciale, n. 17 del 28 aprile 2010) -con la quale era stata dichiarata “l’illegittimità costituzionale della legge della Regione siciliana 20 marzo 1951, n. 29 (Elezione dei Deputati all’Assemblea regionale siciliana), così come modificata dalla L.R. 5 dicembre 2007, n. 22 (Norme in materia di ineleggibilità e di incompatibilità dei deputati regionali), nella parte in cui non prevede l’incompatibilità tra l’ufficio di deputato regionale e la sopravvenuta carica di sindaco e assessore di un Comune, compreso nel territorio della Regione, con popolazione superiore a ventimila abitanti”, si era determinata una causa di incompatibilità sopravvenuta che comportava la decadenza del B. dalla carica di sindaco del Comune di Messina;

che, costituitosi, il B. chiese la reiezione del ricorso;

che nel giudizio intervenne volontariamente P.G., elettrice residente nel Comune di Messina, per resistere al ricorso del S., chiedendone la reiezione;

che il Tribunale adito, con sentenza n. 2145/10 del 17 novembre 2010, dichiarò il difetto di legittimazione passiva del Comune di Messina, dichiarò altresì la sussistenza della causa di incompatibilità tra la carica di deputato della Regione Siciliana e di sindaco del Comune di Messina, rivestite da B.G., e rigettò la domanda tendente alla dichiarazione di decadenza dalla carica di sindaco dello stesso B., compensando per intero tra le parti le spese del giudizio;

che, con ricorso del 16 febbraio 2011, tale sentenza fu impugnata dinanzi alla Corte d’Appello di Messina, con appello principale, da P.G., la quale chiese che la Corte adita, in parziale riforma della sentenza di primo grado, rigettasse sic et simpliciter il ricorso introduttivo tendente ad ottenere la decadenza dalla carica di sindaco del Comune di Messina del dott. B., senza alcun accertamento dichiarativo circa la sussistenza della rilevata incompatibilità;

che si costituì S.V., il quale resistette all’appello principale e spiegò appello incidentale, chiedendo la riforma della sentenza di primo grado, nella parte in cui non ha dichiarato sussistente la causa di incompatibilità tra la carica di sindaco del Comune di Messina e di deputato regionale ed ha rigettato la domanda tendente alla declaratoria di decadenza dalla carica di sindaco del Comune di Messina del sig. B.G., accogliendo le domande avanzate in prime cure;

che si costituì anche B.G., aderendo in toto alle argomentazioni svolte dalla appellante principale e chiedendo l’annullamento della sentenza di primo grado, nella parte in cui dichiara nei confronti del dr. B. la sussistenza di una causa di incompatibilità tra la carica di deputato della Regione Sicilia e di sindaco del Comune di Messina e/o rigettare in toto il ricorso introduttivo del S.;

che nel giudizio d’appello intervenne volontariamente, ai sensi dell’art. 105 cod. proc. civ., anche R.G. – “in proprio (quale cittadino della Regione Siciliana) ed anche quale Presidente del “Comitato Vigilanza Popolare” (organo facente parte dell’Associazione UNCEA Consumatori ed Esercenti)” – ad adiuvandum del S., chiedendo: “01) in via preliminare rilevare, dichiarare e statuire irricevibile, inammissibile o improponibile, il ricorso azionato dalla … P. per il decorso dei termini di appello della sentenza n. 2145/10; 02) dichiarare per l’effetto del precedente punto immediatamente esecutiva la sentenza n. 2145/10 e, per l’effetto, per l’immediata efficacia, dichiarare la decadenza da deputato regionale del dott. B.G.; 03) in subordine, previa la parziale riforma della sentenza n. 2145/2010 di primo grado, previa conferma dell’incompatibilità tra la carica di sindaco e deputato regionale, dichiarare la decadenza dalla predetta carica di deputato regionale del dott. B.G.”;

che la Corte d’Appello di Messina, con la sentenza n. 255/11 del 16- 23 maggio 2011, dichiarò inammissibile l’intervento di R. G., rigettò l’appello principale e dichiarò assorbito l’appello incidentale, confermando nelle parti relative la sentenza impugnata e dichiarando compensate per intero tra le parti le spese del giudizio d’appello;

che, per quanto in questa sede ancora rileva, la Corte di Messina: a) ha dichiarato inammissibile l’intervento del R., affermando che – in mancanza di una specifica disciplina sul punto del D.P.R. n. 570 del 1960, art. 82 – si applicano le norme del codice di procedura civile e, in particolare, l’art. 344 cod. proc. civ., con la conseguenza che l’intervento, principale o adesivo, del terzo in appello deve ritenersi consentito soltanto al terzo legittimato a proporre opposizione ai sensi dell’art. 404 c.p.c. (vengono richiamate le sentenze della Corte di cassazione nn. 5476 del 2004 e 3258 del 2003), mentre nella specie il R. è portatore non di un interesse del tutto autonomo da quello oggetto di contestazione tra le parti e incompatibile con la situazione giuridica accertata dalla sentenza di primo grado, bensì del medesimo interesse di cui sono portatori gli altri cittadini elettori partecipanti al giudizio di primo grado, “vale a dire l’interesse alla distinzione degli ambiti politico-amministrativi delle istituzioni locali a salvaguardia della efficienza ed imparzialità delle funzioni”, ciò conformemente a quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 143 del 2010; b) quanto all’appello principale della P. – con il quale questa sosteneva che il Tribunale era incorso nel vizio di ultrapetizione, in quanto il S. aveva proposto un’unica domanda tendente ad ottenere la dichiarazione di decadenza del B. dalla carica di sindaco del Comune di Messina, mentre il Tribunale, pur rigettando tale domanda aveva tuttavìa dichiarato la sussistenza dell’incompatibilità fra le cariche di sindaco e di deputato regionale -, ha affermato: che il principio dispositivo di cui ad art. 112 c.p.c. impedisce di rilevare fatti non dedotti dalla parte, di attribuire alla parte un bene non richiesto o comunque di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda;

che, nella specie, il S., nel ricorso introduttivo in 1^ grado del giudizio … ha chiesto “la dichiarazione nei confronti dell’On. B.G. della sussistenza della causa di incompatibilità tra la carica di sindaco del Comune di Messina e di deputato regionale con il consequenziale provvedimento di decadenza dalla carica di sindaco qualora lo stesso entro il termine di dieci giorni previsto dalla L.R. n. 31 del 1986, art. 14, comma 5, non eserciti il diritto di opzione”; che, pertanto, la domanda di dichiarazione della incompatibilità è stata espressamente formulata dal S.; che Specificamente il S. ha proposto due domande seppure collegate: la domanda, principale e prodromica, di dichiarazione di incompatibilità; la domanda, espressamente “consequenziale”, di decadenza; che va evidenziata l’autonomia e la autosufficienza della prima domanda rispetto alla seconda:

sussistendo evidentemente – per le ragioni … riconosciute dalla Corte costituzionale – l’interesse del cittadino elettore di far dichiarare giudizialmente la incompatibilità fra le cariche in questione, determinando l’obbligo per l’eletto di rimuovere, esercitando a pena di decadenza il diritto di opzione, la situazione di incompatibilità; che L’autonomia della domanda di accertamento della incompatibilità risulta inequivocamente confermata dall’avere la L.R. n. 8 del 2009, art. 1 posticipato l’esercizio del diritto di opzione, e conseguentemente la decadenza, al passaggio in giudicato della sentenza accertativa della incompatibilità; c) conseguentemente, ha affermato: L’appello principale della P. limitato, siccome riportato, al profilo processuale della ultrapetizione e non esteso al merito della dichiarazione di incompatibilità – risulta infondato con conseguente assorbimento dell’appello condizionato del S.;

che avverso tale sentenza R.G. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un unico articolato motivo, illustrato con memoria, e chiedendo che la Corte di cassazione voglia dichiarare l’ammissibilità dell’intervento volontario in appello azionato dall’odierno ricorrente e, per l’effetto, rimettere gli atti alla Corte d’Appello di Messina, affinchè si pronunci sulle richieste formulate dallo stesso interveniente;

che resiste, con controricorso, P.G., la quale ha anche proposto ricorso incidentale fondato su un motivo di censura ed ha concluso, chiedendo che la Corte di cassazione voglia respingere e/o rigettare il ricorso principale e, in accoglimento del ricorso incidentale, in parziale riforma dell’impugnata sentenza …, cassare il capo 3) della stessa, con il quale si “dichiara la sussistenza di una causa di incompatibilità tra la carica di deputato della regione Sicilia e di sindaco del Comune di Messina, rivestite da B. G.;

che resiste altresì al ricorso principale del R., con controricorso, B.G., il quale chiede che il ricorso principale venga dichiarato inammissibile o venga rigettato.

Considerato, preliminarmente, che il ricorso principale di R. G. e quello incidentale di P.G., proposti contro la stessa sentenza, debbono essere riuniti ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ.;

che, con l’unico motivo, il ricorrente principale critica la sentenza impugnata, nella parte in cui ha dichiarato inammissibile il proprio intervento in causa, sostenendo che egli, quale portatore di un interesse qualificato proprio – come cittadino elettore – nonchè di un interesse collettivo – come Presidente del “Comitato Vigilanza Popolare”, organo facente parte dell’Associazione UNCEA Consumatori ed Esercenti -, era legittimato ad intervenire nel giudizio d’appello, e che in un precedente caso analogo la stessa Corte d’Appello di Messina aveva ammesso il suo intervento;

che, con l’unico motivo, la ricorrente incidentale critica a sua volta la sentenza impugnata, riproponendo la censura della violazione, da parte della Corte di Messina, dell’art. 112 cod. proc. civ., e sostenendo al riguardo che il S., con il ricorso introduttivo del giudizio ha proposto non già due distinte domande – di dichiarazione di incompatibilità tra la carica di deputato regionale e quella di sindaco del Comune di Messina – bensì un’unica domanda volta ad ottenere la decadenza del B. dalla carica di sindaco del Comune di Messina;

che il ricorso principale del R. è privo di fondamento;

che la questione che esso pone a questa Corte consiste nello stabilire se nel giudizio di appello, avente ad oggetto l’impugnazione di una sentenza, con la quale sia stata dichiarata – nel contraddittorio tra un elettore (ricorrente in azione popolare:

nella specie, il S.), l’eletto alla carica in tesi incompatibile (resistente: nella specie, il B.), altro elettore intervenuto ad adiuvandum dell’eletto-resistente (nella specie, la P.), e del pubblico ministero l’incompatibilità sopravvenuta dell’eletto a ricoprire contemporaneamente la carica di deputato regionale della Regione Siciliana, conseguita precedentemente, e quella successivamente conseguita di sindaco di comune della stessa Regione con popolazione superiore a ventimila abitanti (nella specie, Comune di Messina), in applicazione della su richiamata sentenza della Corte costituzionale n. 143 del 2010, sia ammissibile, o no, l’intervento – ad adiuvandum del ricorrente originario (nella specie, il S.) – di un terzo cittadino elettore che faccia valere la propria legittimazione ad intervenire in forza sia di tale qualità sia della qualità di legale rappresentante di un ente esponenziale di interessi collettivi;

che la risposta a tale quesito non può che essere negativa;

che le disposizioni rilevanti nella specie, in prima approssimazione, sono il primo periodo del comma 1 ed comma 3, dell’art. 82, comma 2, e l’art. 82, del citato D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, comma 7, secondo periodo, i quali rispettivamente stabiliscono: Le sentenze pronunciate in primo grado dal tribunale possono essere impugnate con appello alla corte d’appello territorialmente competente da qualsiasì cittadino elettore del comune o da chiunque altro vi abbia diretto interesse, dal procuratore della Repubblica e dal prefetto quando ha promosso l’azione di ineleggibilità art. 82, comma 2, comma 1, primo periodo; Nel giudizio di appello, per quanto qui non previsto, si osservano le norme di procedura ed i termini stabiliti per il giudizio di primo grado art. 82, comma 2, comma 3; Nel giudizio si applicano, ove non diversamente disposto dalla presente legge, le norme del codice di procedura civile: tutti i termini del procedimento sono però ridotti alla metà art. 82, comma 7, secondo periodo;

che, com’è evidente, tale disciplina speciale non prevede la fattispecie da regolare – l’intervento in grado d’appello nel giudizio elettorale disciplinato dal D.P.R. n. 570 del 1960, art. 82, comma 2 con la conseguenza che, in forza del rinvio operato dalle richiamate disposizioni al codice di procedura civile, la specifica norma applicabile a tale fattispecie è l’art. 344 cod. proc. civ., il quale dispone che Nel giudizio d’appello è ammesso soltanto l’intervento dei terzi che potrebbero proporre opposizione a norma dell’art. 404, cioè l’intervento del terzo pregiudicato nei suoi diritti da una sentenza pronunciata inter alios passata in giudicato o comunque esecutiva, ovvero dell’avente causa o del creditore di una delle parti, quando la sentenza è l’effetto di dolo o collusione a suo danno;

che all’inammissibilità dell’intervento nel giudizio elettorale d’appello disciplinato dal D.P.R. n. 570 del 1960, art. 82, comma 2 conducono alcuni principi enunciati da questa Corte in fattispecie analoghe, secondo i quali: a) in tema di contenzioso elettorale amministrativo, l’elettore legittimato ad esercitare l’azione popolare, il quale non abbia preso parte al giudizio di primo grado, può tuttavia proporre appello ai sensi del D.P.R. n. 570 del 1960, art 82, comma 2, comma 1, primo periodo, ma non può, in mancanza di tale impugnazione, intervenire in grado di appello (cfr. le sentenze delle sezioni unite nn. 1440 del 1972 e 4590 del 1981); b) nel giudizio in materia elettorale, che – come strutturato dal D.P.R. n. 570 del 1960, art. 82 – ha ad oggetto unicamente l’accertamento del diritto dell’eletto alla permanenza nella carica, l’intervento in causa, ivi non specificamente disciplinato, trova la sua regolamentazione (in base alla norma di chiusura di cui al citato art. 82, comma 7, secondo periodo) nel codice di procedura civile (cfr. la sentenza n. 16889 del 2006); c) nel contenzioso elettorale, il giudizio introdotto con l’azione popolare – avendo oggetto la condizione personale del candidato eletto chiamato in causa ed incidendo sul diritto soggettivo di elettorato (passivo) di quest’ultimo e (attivo) dell’attore – ha come parti necessarie soltanto quel candidato e l’elettore (o gli elettori) che assumono l’iniziativa giudiziaria, oltre al pubblico ministero partecipe ex lege (cfr. la sentenza n. 14199 del 2004 e, in senso conforme, la sentenza n. 17769 del 2007); d) in tema di contenzioso elettorale il processo può essere promosso da qualsiasi cittadino elettore del comune e da chiunque vi abbia interesse, il che configura una legittimazione diffusa e fungibile, accordata dall’ordinamento in funzione di un interesse pubblico alla regolare composizione ed al retto funzionamento degli organi collegiali degli enti pubblici territoriali e che trova la sua ragion d’essere nell’opportunità di utilizzare l’iniziativa di qualsiasi cittadino elettore, diretta ad eliminare eventuali illegittimità verificatesi in materia di elettorato amministrativo, con la necessaria conseguenza che il giudicato formatosi in tale giudizio acquisti autorità ed efficacia erga omnes, non essendo compatibile con la natura popolare dell’azione, con il suo carattere fungibile e con le sue funzioni e finalità, che gli effetti della pronuncia rimangano limitati alle sole parti del giudizio e non operino anche nei confronti di tutti gli altri legittimati e dell’organo collegiale cui il giudizio stesso si riferisce (cfr. le sentenze delle sezioni unite nn. 73 del 2001 e 2464 del 1982);

che pertanto, sulla base sia di tali principi sia dei su richiamati e specifici precedenti delle sezioni unite di questa Corte di cui alle sentenze nn. 1440 del 1972 e 4590 del 1981, l’intervento spiegato dal R. in grado d’appello è stato correttamente dichiarato inammissibile dai Giudici a quibus, non essendo inoltre nè specificamente dedotti e neppure ravvisabili nella specie, in ogni caso, i presupposti richiesti per l’intervento in appello di cui all’art. 344 cod. proc. civ.;

che, quanto al ricorso incidentale proposto dalla P., il Collegio ritiene che l’intervento dalla stessa spiegato nel giudizio di primo grado – ad adiuvandum del resistente B., relativamente al quale il ricorrente originario S. aveva denunciato l’incompatibilità sopravvenuta a ricoprire contemporaneamente le cariche di deputato regionale e di sindaco del Comune di Messina, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 143 del 2010 – è ab origine inammissibile, con la conseguenza che parimentì inammissibili sono da ritenersi le successive impugnazioni proposte dalla medesima P., cioè l’appello principale e l’odierno ricorso incidentale per cassazione;

che a siffatta conclusione conducono, in modo univoco e concorrente, sia il qui ribadito principio per cui, nel contenzioso elettorale, il giudizio introdotto con l’azione popolare – avendò oggetto la condizione personale del candidato eletto chiamato in causa ed incidendo sul diritto soggettivo di elettorato (passivo) di quest’ultimo e (attivo) dell’attore – ha come parti necessarie soltanto quel candidato e l’elettore (o gli elettori) che assumono l’iniziativa giudiziaria, oltre al pubblico ministero partecipe ex lege (cfr. le citate sentenze nn. 14199 del 2004 e 17769 del 2007), sia lo specifico precedente costituito dalla sentenza n. 7142 del 1991, con la quale è stato enunciato il principio secondo cui l’azione popolare, prevista dal D.P.R. n. 570 del 1960, art. 82 nel consentire ad ogni elettore di agire in giudizio o di intervenire in quello da altri promosso per ottenere il controllo giurisdizionale sul rispetto delle norme in materia di eleggibilità o di incompatibilità, non può essere piegata, per il suo carattere eccezionale, a scopi diversi da quello volto a conseguire una pronunzia a tutela dell’interesse pubblico sotteso a detto controllo, con la conseguenza che essa non può essere proposta per far valere, con intervento ad adiuvandum, le ragioni del candidato di cui sia in contestazione l’eleggibilità o l’incompatibilità;

che, nella specie, l’intervento della P., diretto a contrastare, in nome delle ragioni del resistente B., le contrapposte ragioni addotte dal ricorrente S., il quale aveva appunto chiesto il controllo giurisdizionale sull’osservanza delle norme in tema di incompatibilità sopravvenuta, si pone perciò al di fuori dello schema dell’azione popolare, anzi in posizione a questa antitetica, per assumere i connotati dell’intervento adesivo della parte resistente che, costituito in causa, avrebbe potuto agevolmente svolgere quelle stesse ragioni prospettate dell’interveniente;

che, pertanto, in ragione della originaria carenza di legittimazione ad intervenire della P., il ricorso incidentale di quest’ultima – come pure l’appello principale dalla stessa proposto – è da ritenersi inammissibile, con la conseguenza che la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio alla stessa Corte d’Appello di Messina, in diversa composizione, nella parte in cui rigetta l’appello principale della P., anzichè dichiararlo inammissibile, per effetto dell’inammissibilità dell’intervento dalla stessa spiegato nel giudizio di primo grado;

che ciò discende dal rilievo che l’appello incidentale proposto dal S., venuto a mancare il fondamento del suo dichiarato assorbimento, deve essere esaminato dal Giudice di rinvio in contraddittorio – per effetto della presente sentenza – con il solo B.;

che lo stesso Giudice di rinvio provvedere anche a regolare le spese del presente grado del giudizio.

P.Q.M.

Riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale; pronunciando sul ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata, nella parte indicata in motivazione, dichiarando inammissibili l’intervento spiegato da P.G. nel giudizio di primo grado e le successive impugnazioni dalla stessa proposte; rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Messina, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il 6 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2011

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