Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27325 del 29/12/2016


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Cassazione civile, sez. trib., 29/12/2016, (ud. 05/12/2016, dep.29/12/2016),  n. 27325

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20158-2011 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

CIRCOLO SPORTIVO MEZZALUNA SRL;

– intimato –

Nonchè da:

CIRCOLO SPORTIVO MEZZALUNA SRL in persona dell’Amm.re Unico e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA C.SO

TRIESTE 128, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FERDINANDO

BERARDI, che lo rappresenta e difende giusta delega in calce;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 76/2010 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 09/06/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/12/2016 dal Consigliere Dott. MARULLI MARCO;

udito per il ricorrente l’Avvocato CASELLI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso principale e il rigetto del ricorso

incidentale;

udito per il controricorrente l’Avvocato BERARDI che si riporta agli

scritti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO FEDERICO che ha concluso per l’accoglimento del 2^ motivo

del ricorso incidentale, assorbito il ricorso principale.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1.1. L’Agenzia delle Entrate ed il Circolo Sportivo Mezzaluna s.r.l. ricorrono per cassazione – la prima in via principale, la seconda in via incidentale – avverso la sentenza in atti della CTR Lazio che, respingendo gli appelli di entrambi, ha confermato la decisione che in primo grado aveva dichiarato il difetto di legittimazione passiva del concessionario della riscossione ed aveva annullato la cartella di pagamento notificata alla parte all’esito del controllo automatico delle dichiarazioni reddituali per l’anno 2000 in quanto non preceduta dall’avviso di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60.

1.2. La CTR, respingendo il gravame erariale, ha affermato che, sebbene nella specie non si rendesse obbligatorio l’invio della predetta comunicazione, tuttavia tale invio è stato reso obbligatorio a pena di nullità dalla L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, con la conseguenza che, risultando pacifico che l’invio non abbia avuto luogo, “sono nulle la iscrizione a ruolo e la cartella emessi in violazione della precisa disposizione dell’art. 6 dello Statuto del contribuente”.

Parimenti, respingendo il gravame di parte, la CTR ha giudicato infondate le eccezioni da questa proposte in punto di autorizzazione e di sottoscrizione dell’appello dell’ufficio ed ha ritenuto che non vi fosse “obbligo di proporre l’appello o di integrare il contraddittorio anche nei confronti del concessionario che aveva partecipato al giudizio di primo grado ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 e art. 331 c.p.c., poichè tra l’Agenzia ed il concessionario non sussiste un inscindibile litisconsorzio nè si trattava di cause tra loro dipendenti”.

1.3. Il mezzo erariale si vale di un solo motivo di ricorso, mentre il ricorso incidentale della parte è basato su quattro motivi.

Il collegio ha autorizzato l’adozione della motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.1. Con il primo motivo del ricorso principale l’Agenzia delle Entrate si duole della statuizione adottata in violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60 poichè la comunicazione ivi prevista ha come unica funzione “quella di dare al contribuente la possibilità di attenuare le conseguenze sanzionatorie dell’omissione di versamento”, onde essa è del tutto ininfluente “sulla legittimità dell’atto”, nè rileva diversamente il disposto della L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, vero che a mente di detta norma “l’iscrizione a ruolo di un tributo a seguito di liquidazione della dichiarazione deve essere sanzionata con la nullità se non preceduta da invito a comparire” nel solo caso in cui emergano in quella sede “incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione”.

2.2. Il motivo è fondato.

Questa Corte, circa entrambi i profili oggetto di censura, ha, con opinamento a cui il collegio intende dare continuità, affermato, nell’ordine, che, quanto all’IVA, la potestà dell’Amministrazione finanziaria d’iscrivere direttamente nei ruoli l’imposta non versata dal contribuente “non trova ostacolo nella mancata emissione e/o notificazione dell’invito al versamento delle somme dovute di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60, comma 6”, atteso che l’unica funzione del predetto avviso è quella di consentire al contribuente di attenuare le conseguenze sanzionatorie della realizzata omissione, fermo restando l’obbligo di corresponsione integrale del tributo (21676/15); e che “la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 6, comma 5, non impone l’obbligo del contraddittorio preventivo in tutti i casi in cui si debba procedere ad iscrizione a ruolo, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis, ma soltanto “qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione”, situazione, quest’ultima, che non ricorre necessariamente nei casi soggetti alla disposizione appena indicata, la quale implica un controllo, di tipo documentale sui dati contabili direttamente riportati in dichiarazione, senza margini di tipo interpretativo” (8342/12).

Ne consegue che il diverso convincimento fatto proprio dal giudice d’appello viola apertamente il comando nomofilattico e va perciò doverosamente cassato.

3.1. Con il primo, il secondo ed il terzo motivo del ricorso incidentale la parte lamenta, nell’ordine, la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 52, comma 2, atteso che nella specie l’appello erariale avrebbe dovuto essere giudicato inammissibile “perchè mancava il deposito in giudizio dell’autorizzazione a proporre l’atto di appello da parte del responsabile del servizio contenzioso della competente direzione regionale delle entrate” (primo motivo); la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 2, atteso che, essendosi il giudizio di primo grado svolto in contraddittorio con il concessionario della riscossione, l’appello avrebbe dovuto essere giudicato inammissibile “poichè l’appellante principale non aveva proposto l’appello anche nei confronti di costui” (secondo motivo); la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10 e art. 11, comma 2, del D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 66 commi 2 e 3, degli artt. 5 e 7 del regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle Entrate, del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 16 e dei principi generali in tema di rappresentanza organica, atteso che nella specie l’appello avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile “per mancanza di sottoscrizione del Direttore dell’Agenzia delle Entrate di Roma 3” (terzo motivo).

3.2.1. Il primo motivo di detto ricorso è infondato.

Anche qui giova richiamare, a conferma del corretto deliberato della CTR sul punto, il fermo insegnamento di questa Corte secondo cui “nel processo tributario, la disposizione di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 52, comma 2, secondo la quale gli uffici periferici del dipartimento delle entrate del Ministero delle finanze e gli uffici del territorio devono essere previamente autorizzati alla proposizione dell’appello principale, rispettivamente, dal responsabile del servizio del contenzioso della competente direzione generale delle entrate e dal responsabile del servizio del contenzioso della competente direzione compartimentale del territorio, non è più applicabile una volta divenuta operativa – in forza del D.M. 28 dicembre 2000 del Ministero dell’economia – la disciplina recata dal D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, art. 57, che ha istituito le Agenzie fiscali, attribuendo ad esse la gestione della generalità delle funzioni in precedenza esercitate dai dipartimenti e dagli uffici del Ministero delle finanze, e trasferendo alle medesime i relativi rapporti giuridici, poteri e competenze, spettando a ciascuna agenzia appellare le sentenze ad esse sfavorevoli delle commissioni tributarie provinciali” (10736/14).

3.2.2. Parimenti infondato è il secondo motivo del ricorso incidentale.

Rettamente l’Agenzia ha notificato l’appello – è così si è regolato il giudice territoriale – alla sola contribuente e non anche al concessionario, atteso che il giudice di primo grado, dichiarandone il difetto di legittimazione passiva, lo aveva estromesso dal giudizio, con la conseguenza che, non avendo l’Agenzia impugnato la statuizione sul punto, il giudicato così formatosi ha privato in via definitiva il concessionario della qualità di litisconsorte processuale rispetto al quale si sarebbe reso necessario integrare il contraddittorio mediante la notifica dell’atto d’appello.

3.2.3. Il terzo motivo del ricorso incidentale è anch’esso infondato.

Vale anche a questo riguardo, confermando il deliberato di secondo grado sul punto, appellarsi alla giurisprudenza di questa Corte, giusta la quale “in tema di contenzioso tributario, l’ufficio periferico dell’Agenzia delle entrate è rappresentato in giudizio dal titolare dell’organo che, qualora non intenda trasferire il potere di rappresentanza processuale ad altro funzionario, può demandare, nell’esercizio dei poteri di organizzazione e gestione delle risorse umane, la sola materiale sottoscrizione dell’atto difensivo ad un “delegato alla firmai, mero sostituto nell’esecuzione di tale adempimento, sicchè, ove l’atto difensivo sia stato sottoscritto dal delegato alla firma con la chiara indicazione della relativa qualità (ad esempio, con formula “per il dirigente”), l’ufficio periferico deve presumersi ritualmente costituito in giudizio a mezzo del dirigente legittimato processualmente, non essendo sufficiente la mera contestazione per fare insorgere l’onere in capo all’Amministrazione finanziaria di fornire la prova dell’atto interno di organizzazione adottato dal dirigente” (20628/15).

4.1. Con il quarto motivo di ricorso incidentale, la parte deduce la contrarietà dell’impugnata sentenza al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, atteso che la CTR ha compensato le spese di giudizio senza “alcun valido motivo per operare la compensazione”.

4.2. Il motivo è assorbito dalla cassazione della sentenza decretata in accoglimento del ricorso principale, ma sarebbe in ogni caso infondato.

Nella specie la CTR ha motivato l’operata compensazione delle spese, regolata all’epoca dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, comma 2, con il rinvio all’art. 92 c.p.c., comma 2, che nel testo vigente ratione temporis prevedeva che la compensazione delle spese di giudizio potesse essere operata se “concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicati nella motivazione” – peraltro, va notato, la situazione non è mutata a seguito del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156, art. 9, comma 1, lett. f), n. 2), che ha novellato l’art. 15 nei termini già a suo tempo previsti dall’art. 92 c.p.c., comma 2, ancorchè che quest’ultimo è stato fatto oggetto di nuova rivisitazione da parte del D.L. n. 132 del 2014, art. 13, comma 1, – sulla base “della considerazione dell’intervenuto rigetto delle eccezioni preliminari del contribuente”, in tal modo assicurando alla propria pronuncia il necessario fondamento normativo.

5. Va dunque accolto il ricorso principale e respinto l’incidentale. In accoglimento del primo la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa, non essendo necessario procedere ad ulteriori accertamenti in fatto, può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, mediante il rigetto del ricorso introduttivo.

6. Le spese seguono la soccombenza nel presente giudizio, mentre possono essere compensate quanto ai gradi di merito, atteso il consolidamento del quadro interpretativo sotteso alla vicenda in epoca prossima al ricorso.

PQM

La Corte Suprema di Cassazione accoglie il ricorso principale, cassa l’impugnata sentenza e decidendo nel merito, respinge il ricorso introduttivo; respinge il ricorso incidentale; condanna la parte privata al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 4000,00= oltre spese prenotate e debito e ad eventuali accessori e compensa le spese dei giudizi di merito.

Cosi deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 5^ sezione civile, il 5 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2016

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