Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27324 del 17/11/2017


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Civile Sent. Sez. L Num. 27324 Anno 2017
Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE
Relatore: LORITO MATILDE

SENTENZA

sul ricorso 1554-2014 proposto da:
MIGLIORELLI MICHELE C.F. MGLMHL28A15F023H, BINI MARIO
C.F.

BNIMRA52A18F023Z,

BGGPLG30L14B832R,

FRANZONI

FRNMRA36TO9B832Q,

GIANNETTI

GNNPRN30B09F023X,
2017

1417

BOGGIALI

GIANNOTTI

PIER LUIGI

C.F.

MARIO

C.F.

PIERINO

C.F.

PIERLUIGI

C.F.

GNNPLG35P24G13M, LIZZUL VITTORIO C.F.

LEEVTR2n12E149V, MARIANI PARIS C.P. MRNPR925A24F023D,
clettivamente domiciliati in

ROMA, VIA ATTILIO RLbULU

19, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE LIPERA,
rappresentati e difesi dall’avvocato NICOLETTA CERVIA,

Data pubblicazione: 17/11/2017

giusta delega in atti;
– ricorrenti contro

NUOVO PIGNONE S.P.A. P.IVA 04880930484, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente

dell’avvocato DEBORA MILILLI, rappresentata e difesa
dagli avvocati ROBERTO RUSSO e LAPO GUADALUPI, giusta
delega in atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 419/2013 della CORTE D’APPELLO
di GENOVA, depositata il 17/09/2013, R. G. N. 373 e
374/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 04/04/2017 dal Consigliere Dott. MATILDE
LORITO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RITA SANLORENZO, che ha concluso per il
rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato LAPO GUADALUPI.

domiciliata in ROMA, VIA OVIDIO 32, presso lo studio

• n. r.g. 1554/2014

FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Genova, con sentenza depositata il 17/9/2013, in
riforma delle pronunce n.212-214/2013 emesse dal Tribunale di Massa,
rigettava le domande proposte da Michele Migliorelli, Pier Luigi Boggiali,
Vittorio Lizzul, Paris Mariani, Mario Bini, Mario Franzoni, Pierluigi Giannotti
e Pierino Giannetti nei confronti della s.p.a. Nuovo Pignone volte a
conseguire il risarcimento del danno morale risentito per effetto dello
svolgimento della attività lavorativa in condizioni di esposizione ad
amianto.
La Corte distrettuale, nel pervenire a tali conclusioni, argomentava che
pur essendo il danno morale risarcibile in via autonoma rispetto alla
lesione all’integrità psicofisica del soggetto, deve essere congruamente
allegato e dimostrato, non potendo la situazione di turbamento psichico e
di sofferenza denunciata, essere desunta dal mero svolgimento della
prestazione lavorativa in ambiente inquinato. Nello specifico rimarcava che
il capitolato di prova articolato dai lavoratori si presentava del tutto
insufficiente ai descritti fini probatori, palesando aspetti di genericità che
lo rendevano del tutto inammissibile.
La cassazione di tale decisione è domandata dai lavoratori sulla base di tre
motivi illustrati da memoria ex art.378 c.p.c..
Resiste con controricorso la società intimata.
RAGIONI DELLA ESECISIONE
1.Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli
artt.2,3,32 Cost., 2043, 2059 e 2087c.c., art.5 d.p.r. n.27/2009, art.1
d.p.r. n.181/2009.
Si lamenta che la Corte distrettuale abbia nei suoi approdi, violato il
principio della autonomia del danno morale e di quello esistenziale rispetto
a quello biologico sancito dalla giurisprudenza di legittimità, non
disponendone corretta applicazione per non aver considerato il contesto in
cui erano inseriti i lavoratori e la conseguente responsabilità datoriale.
2. Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli
artt.115, 421,437 c.p.c. nonché 2729 c.c..
Si rimarca l’erroneità della statuizione con cui sono state ritenute
inadeguate le allegazioni istruttorie formulate, che risultavano invece
intese a dimostrare gli “stati profondi interiori” dei lavoratori in relazione
alla situazione di pericolosità nella quale avevano esplicato la prestazione
lavorativa.
3.Le censure, che possono congiuntamente esaminarsi per presupporre la
soluzione di questioni giuridiche connesse, sono prive di pregio.
Va infatti rimarcato che, diversamente da quanto dedotto dalle parti
ricorrenti, la Corte distrettuale ha disposto corretta applicazione dei
i

.

principi dalle medesime invocati, richiamando i dicta di questa Corte
secondo cui in caso di compromissione dell’ambiente a seguito di disastro
colposo (art. 449 cod. pen.), il danno morale soggettivo lamentatò da
coloro che, trovandosi in una particolare situazione con tale ambiente (nel
senso che ivi abitano e/o svolgono attività lavorativa), provino in concreto
di avere subito un turbamento psichico (sofferenze e paterni d’animo) di
natura transitoria a causa dell’esposizione a sostanze inquinanti ed alle
conseguenti limitazioni del normale svolgimento della loro vita, è
risarcibile autonomamente anche in mancanza di una lesione all’integrità
psico-fisica (danno biologico) o di altro evento produttivo di danno
patrimoniale, trattandosi di reato plurioffensivo che comporta, oltre
all’offesa all’ambiente ed alla pubblica incolumità, anche l’offesa ai singoli,
pregiudicati nella loro sfera individuale (vedi Cass. S.U. 21/2/2002
n.2515, Cass. 29/10/2003 n.16231, Cass. 4/11/2003 n.16528).
Muovendo da tale premessa la Corte ha proseguito argomentando che nel
caso in cui la prestazione di lavoro sia resa in ambiente esposto a
sostanze morbigene, il dipendente che chieda il risarcimento dei danni per
l’esposizione ad agenti patogeni pur non avendo contratto alcuna malattia,
non è liberato dalla prova di aver subito un effettivo turbamento psichico,
questa prospettata situazione di sofferenze e disagio non potendo essere
desunta dalla mera prestazione lavorativa in ambiente inquinato (vedi
Cass. sez. lav. 6/11/2006 n.23642), ma essendo soggetta ai generali
principi in tema di onere della prova nella materia aquiliana.
La situazione di turbamento psichico congeguente, al pari di qualsiasi altro
stato psichico interiore del soggetto, rileva in quanto ricorrano degli
elementi obiettivamente riscontrabili (che possono anche essere desunte
da altre circostanze di fatto esterne, quali la presenza di malattie psicosomatiche, insonnia, inappetenze, disturbi del comportamento) la. cui
dimostrazione grava a carico della parte che invochi il diritto, anche
qualora si verta in ipotesi di lesione di diritti inviolabili (vedi ex aliis Cass.
14/5/2012 n.7471; Cass. 9/6/2015 n. 11851, che ribadisce la autonoma
risarcibilità del danno morale rispetto al danno biologico in caso di lesioni
di non lieve entità, ove provato, e Cass. 13/1/2016 n.339, secondo cui il
danneggiato è onerato dell’allegazione e della prova, eventualmente anche
a mezzo di presunzioni, delle circostanze utili ad apprezzare la concreta
incidenza della lesione patita in termini di sofferenza e turbamento).
4. Sotto il profilo probatorio, la Corte distrettuale ha quindi rimarcato la
inidoneità del capitolato predisposto dalle parti ricorrenti, ad integrare in
termini adeguati la situazione di disagio esistenziale derivante dalla
consapevolezza della esposizione in ambiente lavorativo a sostanze
morbigene, non essendo gli elementi fattuali oggetto di prova idonei a
definire concretamente e secondo modalità distinte per ciascuno dei
2

n. r.g. 1554/2014

’ n. r.g. 1554/2014

ricorrenti, il pregiudizio psichico ed esistenziale risentito per effetto di
siffatta esposizione, nella carenza altresì, di specifici riferimenti a

circostanze di tempo e luogo.

vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di
altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui essa
abbia determinato l’omissione di motivazione su un punto decisivo della
controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata
in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un
giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre
risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di
merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di
fondamento” (vedi Cass. 17/05/2007 n.11457 cui adde Cass. 23/2/2009
n.4369, Cass. 7/3/2011 n.5377).
Circostanze, queste ultime, che correttamente la Corte distrettuale ha
reputato insussistenti nella fattispecie.
5. Né appare utilmente invocabile l’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio in
grado d’appello, che, per costante giurisprudenza di questa Corte (vedi ex
plurimis, Cass. 11/3/2011 n.5878) presuppone la ricorrenza di taluni
requisiti – quali l’insussistenza di colpevole inerzia della parte interessata,
l’opportunità di integrare un quadro probatorio tempestivamente delineato
dalle parti, l’indispensabilità dell’iniziativa ufficiosa, volta non a superare
gli effetti inerenti ad una tardiva richiesta istruttoria o a supplire ad una
carenza probatoria totale sui fatti costitutivi della domanda, ma solo a
colmare eventuali lacune delle risultanze di causa – non riscontrabili nel
caso di specie, per quanto sinora detto.
6. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa
applicazione degli artt.91 e 92 c.p.c..ex art.360 comma primo n.3 c.p.c..
Si dolgono in ordine alla pronuncia di condanna alle spese di CTU emessa
dai giudici del gravame, sul rilievo che la statuizione si porrebbe in
contrasto con la accertata responsabilità della società datoriale in ordine
alla perniciosità dell’ambiente lavorativo in cui essi svolgevano la propria
prestazione.
7. La censura è priva di fondamento.
La Corte distrettuale si è infatti attenuta al principio, che va qui ribadito,
secondo cui, nelle controversie di lavoro la decisione definitiva sull’onere
delle spese per la consulenza tecnica d’ufficio non si sottrae alla disciplina
generale in materia (artt. 91, 92 cod. proc. civ.), con la conseguenza che
il giudice del merito può, motivatamente, escluderle dalla compensazione
3

Gli approdi ai quali è pervenuta la Corte distrettuale, del tutto congrui
sotto il profilo logico e corretti sul versante giuridico, non appaiono
suscettibili di essere inficiati in sede di legittimità ove si faccia richiamo al
principio affermato da questa Corte e che va qui ribadito, secondo cui “il

n. r.g.

1554/2014

Si dà atto, infine, della sussistenza delle condizioni richieste dall’art. 13
comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, per il versamento da parte
ricorrente, a titolo di contributo unificato, dell’ulteriore importo pari a quello
versato per il, ricorso.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del
presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.000,00
per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art.13 comma 1 quater d.p.r. n.115 del 2002, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per
il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
Così deciso in Roma il 4 aprile 2017.
Il Presidente

Il Consigliere estensore

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Giudiziario
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disposta per le altre spese e porle a carico di una delle parti (cfr.
Cass.17/6/1991 n.6831).
In definitiva, alla luce delle superiori argomentazioni, il ricorso deve essere
rigettato.
Per il principio della soccombenza, le spese del presente giudizio si pongono
a carico dei ricorrenti nella misura in dispositivo liquidata.

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