Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2732 del 28/01/2022

Cassazione civile sez. trib., 28/01/2022, (ud. 14/12/2021, dep. 28/01/2022), n.2732

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. ROSSI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 11697/2013 R.G. proposto da:

Cartiera F. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, e L.G., in qualità di commissario giudiziale

autorizzato dal giudice delegato, elettivamente domiciliati in Roma

alla via Vallisneri n. 11, presso l’avv. Paolo Pacifici, che li

rappresentata e difende con l’avv. Elido Guerrini del foro di Lucca;

– ricorrente principale – controricorrente incidentale –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

cui domicilia in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente- ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 184 della Commissione tributaria regionale

della Toscana, pronunciata in data 5 novembre 2012, depositata in

data 13 novembre 2012 e non notificata.

Letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale

Cardino Alberto, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso

principale e l’accoglimento di quello incidentale, ed udita la

relazione del cons. Andreina Giudicepietro.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La società Cartiera F. s.r.l. e L.G., in qualità di commissario giudiziale, ricorrono con due motivi contro l’Agenzia delle entrate per la cassazione della sentenza n. 184 della Commissione tributaria regionale della Toscana, pronunciata in data 5 novembre 2012, depositata in data 13 novembre 2012 e non notificata, che ha rigettato l’appello principale della società e quello incidentale dell’ufficio, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione degli avvisi di accertamento notificati alla società ai fini Ires ed Iva per gli anni di imposta 2007 e 2008.

Con atto successivamente notificato, anche l’Agenzia delle entrate ricorre contro la società Cartiera F. s.r.l. e L.G. con tre motivi per la cassazione della medesima decisione.

2. Occorre premettere che, a seguito di una verifica fiscale condotta nei confronti della società Officina Meccanica Recard S.p.A., la Guardia di Finanza di Lucca, ritenendo che fossero emerse situazioni fiscalmente rilevanti relative alla società Cartiera F. s.r.l., esercente l’attività di fabbricazione di carta e cartone, ha eseguito una verifica fiscale il cui esito è stato riassunto nel p.v.c. notificato in data (OMISSIS).

In conseguenza della suddetta verifica, l’Agenzia delle entrate di Lucca ha notificato due avvisi accertamento, l’uno relativo al 2007 e l’altro al 2008.

Oggetto del ricorso proposto dalla contribuente è l’avviso relativo all’anno 2007, mentre il ricorso proposto dall’Agenzia si riferisce all’anno di imposta 2008.

2.1. Con l’avviso del 2007 l’Agenzia delle entrate ha recuperato a tassazione: a) costi per il complessivo importo di Euro 4.098.412,00 in conseguenza della indebita deduzione di perdite su crediti; b) l’Iva relativa a ricavi che la contribuente aveva spontaneamente dichiarato aderendo agli studi di settore.

In particolare l’ufficio aveva rilevato: a) l’indebita svalutazione di crediti per Euro 4.843.032,19 vantati dalla contribuente nei confronti delle società Z. G.f.c. s.r.l. ed Effeci Charta s.r.l. per un importo pari al 90% dei crediti; ciò, secondo l’ufficio, aveva comportato la violazione dall’art. 106 T.u.i.r. che limita la svalutazione dei crediti al 5% del valore nominale degli stessi (0.50% per ogni esercizio), limite superato il quale non è possibile eseguire la svalutazione, ma è possibile solo portare in deduzione la perdita, qualora questa risulti da elementi certi e precisi, elementi non sussistenti nel caso in esame; b) nonostante dall’analisi del modello unico per l’anno di imposta 2007 emergesse che la società Cartiera F. aveva compilato i parametri inserendo l’importo di Euro 4.706.277,00, procedendo così all’adeguamento spontaneo, ai fini delle imposte dirette, dei ricavi dichiarati a quelli risultanti dall’applicazione dei parametri e studi di settore, la società non aveva adeguato il volume di affari dichiarato ai fini Iva; pertanto l’ufficio aveva determinato l’ammontare dell’adeguamento ed applicato l’aliquota media.

2.2. Per l’anno 2008, l’Agenzia delle Entrate aveva recuperato a tassazione ai fini Ires ed Iva l’importo di Euro 4.660.711,00 per omessa fatturazione di operazioni imponibili.

Il rilievo dell’ufficio riguardava il prezzo relativo alla cessione da parte della società contribuente alla società Officina Meccanica Recard (di seguito solo Recard) del macchinario denominato (OMISSIS).

In particolare l’ufficio aveva rilevato che la contribuente, nel 2005, aveva acquistato il suddetto macchinario al prezzo di Euro 6.550.000,00 dalla stessa Recard; dalla vendita del 2005 era rimasto in favore di Recard un credito di Euro 4.660.711,00 relativo al completo pagamento del prezzo, versato solo parzialmente.

Nel 2008, Recard, all’atto del riacquisto del macchinario, oltre a versare il prezzo contrattato tra le parti di Euro 4.000.000,00, aveva rinunciato al credito preesistente di Euro 4.660.711,14, sicché l’ufficio aveva ritenuto che il prezzo effettivo della vendita del 2008 fosse di Euro 8.660.711,00 (4.000.000,00 + 4.660.711,00); secondo l’ufficio tale era l’importo che la società Cartiera F. avrebbe dovuto fatturare per la vendita del macchinario.

Pertanto l’Agenzia delle entrate aveva recuperato a tassazione quale ricavo non dichiarato, sia ai fini Ires che Iva per l’anno di imposta 2008, la somma di 4.660.711,00.

3. Con la sentenza impugnata, la C.t.r. confermava la sentenza di primo grado, integrando il dispositivo con l’annullamento integrale dell’avviso di accertamento relativo all’anno 2008, ritenendo che: – la notifica dell’avviso di accertamento, avvenuta nei confronti della “Cartiera F. s.r.l. in persona del firmatario sig. Z.G.”, aveva raggiunto il suo scopo, consistente nel permettere al destinatario la legale conoscenza dell’atto, tanto che il legale rappresentante lo aveva tempestivamente impugnato; – il p.v.c., che integrava la motivazione dell’avviso di accertamento, era in precedenza conosciuto dal legale rappresentante; – per l’anno 2008, la Recard S.p.A. aveva sostanzialmente proceduto al riacquisto dell’impianto, incamerando definitivamente la parte di prezzo pagata dalla Cartiera F. s.r.l.; pertanto, la rinuncia da parte di Recard S.p.A. al residuo prezzo, che la Cartiera F. s.r.l. non aveva ancora pagato (Euro 4.660.711,14), era compensata dal riacquisto dell’impianto ad un prezzo largamente inferiore a quello di vendita alla Cartiera F. s.r.l.; – per l’anno 2007, era legittimo il recupero della maggiore Iva per Euro 463.368,82, che risultava dovuta proprio in base all’adeguamento ai parametri ai fini delle imposte dirette, fosse o meno obbligatorio, costituendo il riconoscimento del maggior reddito prodotto in relazione ad attività assoggettate ad Iva; – per quanto riguardava la detrazione di costi per Euro 4.098.411,73, la stessa Società aveva confermato l’asserzione dell’Ufficio circa l’ammissione a procedura concorsuale nell’anno 2009 (e non in precedenza) delle società il cui debito nei confronti della Cartiera F. era stato oggetto di svalutazione, né la Cartiera F. aveva fornito “elementi certi e precisi” sulla circostanza che i relativi crediti risultassero sostanzialmente inesigibili anche nell’anno 2007, non essendo sufficiente a questo fine la semplice affermazione che nell’istanza di concordato preventivo fosse già stata segnalata la situazione debitoria delle due società.

4. A seguito del ricorso della società, l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso; inoltre, a seguito del ricorso dell’ufficio, la società contribuente, a sua volta, resiste con controricorso.

Il ricorso è stato fissato per l’udienza pubblica del 14 dicembre 2021.

Il sostituto procuratore generale, Cardino Alberto, ha depositato conclusioni scritte, con cui ha chiesto il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento di quello incidentale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, deve rilevarsi che, come questa Corte ha affermato, “il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso. Tuttavia quest’ultima modalità non può considerarsi essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorché proposto con atto a sé stante, in ricorso incidentale, la cui ammissibilità è condizionata al rispetto del termine di quaranta giorni risultante dal combinato disposto degli artt. 370 e 371 c.p.c., indipendentemente dai termini (l’abbreviato e l’annuale) di impugnazione in astratto operativi” (Cass. n. 16221 del 2014).

Nella specie, deve qualificarsi come incidentale il ricorso dell’Agenzia delle entrate, che è stato inoltrato per la notifica in data (OMISSIS), successivamente all’invio della notifica del ricorso della società contribuente, avvenuto in data (OMISSIS).

1.1. Con il primo motivo del ricorso principale, i ricorrenti denunziano la violazione o falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 101, comma 5, e art. 109, comma 1, dell’art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Secondo i ricorrenti, erroneamente la C.t.r. non avrebbe rilevato la nullità dell’avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2007 per la mancata allegazione del p.v.c. del (OMISSIS), cui faceva riferimento.

Tale p.v.c. sarebbe stato notificato al solo commissario giudiziale, rag, L.L., e non al rappresentante legale della società, Z.G.; né assumeva rilievo il fatto che, prima della notifica dell’avviso di accertamento, il legale rappresentante avesse presentato al tribunale di Lucca una memoria difensiva, sottoscritta insieme con il commissario giudiziale, avverso il menzionato p.v.c.

Inoltre, i ricorrenti deducono l’erroneità della sentenza impugnata, allorché non ha ritenuto la nullità dell’avviso di accertamento, notificato a Z.G. in proprio e non in qualità di legale rappresentante della società.

I ricorrenti affermano, in ogni caso, la correttezza della dichiarazione dei redditi della società per l’anno 2007 e si dolgono, sotto il profilo del vizio motivazionale, del fatto che la C.t.r. non avrebbe motivato con riferimento allo stato di insolvenza delle società debitrici, che si era già manifestata nel 2007, indipendentemente dall’assoggettamento a procedure concorsuali, tanto che la loro situazione debitoria era stata indicata nell’istanza di concordato preventivo della Cartiera F. s.r.l.

1.2. Il motivo è infondato e va rigettato.

Sotto un primo profilo, deve rilevarsi che, come chiarito da questa Corte, “in tema di motivazione “per relationem” degli atti d’imposizione tributaria, lo Statuto del contribuente, art. 7, comma 1, nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’amministrazione finanziaria ogni documento da esso richiamato in motivazione, si riferisce esclusivamente agli atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza” (Cass. n. 29968 del 2019).

Nel caso di specie, indipendentemente da ogni considerazione sulla sufficienza o meno della notifica del p.v.c. al solo commissario giudiziale, è pacifico tra le parti che il legale rappresentante della società, insieme con il commissario liquidatore, ha presentato al tribunale di Lucca una memoria difensiva avverso il menzionato p.v.c. in data (OMISSIS), cioè prima della notifica dell’avviso di accertamento, avvenuta il (OMISSIS), a riprova del fatto che avesse piena conoscenza del contenuto del verbale stesso.

Costituisce principio ormai consolidato, quello secondo cui “in tema di avviso di accertamento, la motivazione “per relationem” con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio” (Cass. n. 32957 del 2018).

Pertanto correttamente la C.t.r. non ha ritenuto la nullità dell’avviso di accertamento per carenza della motivazione.

Per altro verso, altrettanto correttamente la C.t.r. ha escluso la nullità dell’avviso di accertamento per difetto di notifica, in quanto indirizzato a Z.G. in proprio e non in qualità di legale rappresentante della società.

A prescindere da ogni considerazione ulteriore, la società, a mezzo del suo legale rappresentante, risulta aver tempestivamente impugnato l’avviso, sanando ogni eventuale vizio di notifica.

La sanatoria dell’eventuale vizio di nullità della notifica, per raggiungimento dello scopo, riguardo anche ad un atto sostanziale e non processuale, come l’avviso di accertamento, costituisce un approdo consolidato della giurisprudenza di questa Corte, sin dalla sentenza delle Sezioni Unite, 5 ottobre 2004, n. 19854, che ha affermato che “la natura sostanziale e non processuale (né assimilabile a quella processuale) dell’avviso di accertamento tributario – che costituisce un atto amministrativo autoritativo attraverso il quale l’amministrazione enuncia le ragioni della pretesa tributaria – non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando vi sia un espresso richiamo di questi nella disciplina tributaria. Pertanto, l’applicazione, per l’avviso di accertamento, in virtù del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, delle norme sulle notificazioni nel processo civile comporta, quale logica necessità, l’applicazione del regime delle nullità e delle sanatorie per quelle dettato, con la conseguenza che la proposizione del ricorso del contribuente produce l’effetto di sanare la nullità della notificazione dell’avviso di accertamento per raggiungimento dello scopo dell’atto, ex art. 156 c.p.c.. Tuttavia, tale sanatoria può operare soltanto se il conseguimento dello scopo avvenga prima della scadenza del termine di decadenza – previsto dalle singole leggi d’imposta – per l’esercizio del potere di accertamento”.

In particolare, in tema di notifica dell’avviso di accertamento, è stato detto che l’invalidità della notifica “e’ sanata per raggiungimento dello scopo, ove detto vizio non abbia pregiudicato il diritto di difesa del contribuente, situazione che si realizza nell’ipotesi in cui il medesimo, in sede di ricorso giurisdizionale contro l’atto, ne abbia diffusamente contestato il contenuto” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 11043 del 09/05/2018).

Ne’ può parlarsi di invalidità dell’atto per l’inesistenza insanabile della notifica, in quanto “la notificazione dell’atto impositivo non è un requisito di validità, ma solo una condizione integrativa dell’efficacia dello stesso, sicché l’inesistenza della notifica non determina in via automatica anche quella dell’atto, se di questo il contribuente ha avuto piena conoscenza entro i termini decadenziali di legge” (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 2203 del 30/01/2018).

Pertanto, nel caso di specie, in cui i ricorrenti non eccepiscono alcuna decadenza dell’amministrazione, deve ritenersi, come già ha rilevato la C.t.r., che l’eventuale vizio della notifica sia stato sanato dalla tempestiva proposizione del ricorso.

Per quanto riguarda, poi, il dedotto vizio motivazionale, i ricorrenti deducono che la C.t.r. non avrebbe considerato che la società aveva subito gravi perdite su crediti per l’insolvenza delle società debitrici, che, indipendentemente dall’avvio di procedure concorsuali (avvenuto nel 2009), si era manifestata fin dal 2007.

Tuttavia, il giudice di appello ha ritenuto che, conformemente al chiaro disposto normativo dell’art. 101 T.u.i.r., comma 5, ed al costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, la perdita su crediti non fosse deducibile perché la società contribuente non aveva dedotto elementi “certi e precisi ” sulla circostanza che i relativi crediti risultassero sostanzialmente inesigibili anche nell’anno 2007, non essendo sufficiente a questo fine la semplice affermazione che nell’istanza di concordato preventivo fosse già stata segnalata la situazione debitoria delle due società.

Comunque, deve rilevarsi che, come questa Corte ha evidenziato, “in tema di contenzioso tributario, per la deducibilità delle perdite su crediti ai fini fiscali, non correlate all’assoggettamento del debitore a procedure concorsuali, il contribuente, che voglia portare in deduzione la perdita, è tenuto a fornire elementi inequivoci per ritenere il credito di difficile esazione, la cui ponderazione integra una valutazione di fatto incensurabile in sede di legittimità” (Cass. n. 403 del 2015).

Nella specie, il giudice di appello ha ritenuto che la società contribuente non avesse fornito alcun elemento che potesse far ritenere il credito di difficile esazione, né la ricorrente ha indicato quali sarebbero stati i dati da lei prodotti e non esaminati dal giudice.

La successiva ammissione delle società debitrici a procedura concorsuale, nel 2009, comporta solo che la perdita su credito possa essere portata in deduzione nel relativo periodo di imposta ma, ove non consti da elementi certi che, già in precedenza, il credito non fosse esigibile, la deduzione non può essere operata per pregressi periodi di imposta.

2.1. Con il secondo motivo del ricorso principale, i ricorrenti denunziano la violazione o falsa applicazione della L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 3, comma 181, e del D.P.R. 31 maggio 1999, n. 195, art. 4, comma 1, nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, con riferimento al recupero dell’I.V.A. a seguito dell’adeguamento dei ricavi alle risultanze degli studi di settore.

I ricorrenti deducono che, nel modello unico 2008, relativo ai redditi del 2007, la Cartiera F. s.r.l. aveva, ai sensi della normativa vigente sui parametri, compilato e inserito nel rigo RF 16 “Variazioni in aumento – Ricavi non annotati – Parametri e studi di settore” 4.706.237,00 Euro, procedendo erroneamente (cioè contrariamente alla propria intenzione) ad un adeguamento spontaneo, ai fini delle imposte dirette, dei ricavi dichiarati a quelli risultanti dalla applicazione dei parametri, omettendo di provvedere ad analogo adeguamento del volume di affari ai fini dell’imposta sul valore aggiunto. L’Ufficio, di conseguenza, aveva recuperato, sull’importo di adeguamento dei parametri, l’Iva, applicando le relative sanzioni.

Tuttavia, secondo i ricorrenti, gli studi di settore non sarebbero stati applicabili in forza delle esclusioni derivanti dalla normativa sopra richiamata con riguardo al volume di affari della società contribuente.

In particolare, ai sensi della L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 181, i parametri sono applicabili ai contribuenti esercenti attività di impresa, arti o professioni in regime di contabilità semplificata, ovvero in presenza di determinate condizioni in regime di contabilità ordinaria, sempre che gli stessi non abbiano dichiarato ricavi o compensi superiori a 10 miliardi di lire (Euro. 5.164.569,00).

Il D.P.R. n. 195 del 1999, art. 4, comma 1, ultimo periodo, stabilisce che “i parametri non trovano comunque applicazione nei confronti dei soggetti per i quali operano le cause di esclusione degli accertamenti basati sugli studi di settore previste dalla L. 8 maggio 1998, n. 146, art. 10, tra le quali sono menzionate: ammontare dei ricavi dichiarati superiori a Euro 5.164.569,00 (dal 1 gennaio 2007 i ricavi devono superare 7,5 milioni di Euro); – periodo di non normale svolgimento dell’attività in quanto la società è in liquidazione ordinaria o in liquidazione coatta amministrativa o fallimentare; – altre soluzioni di non normale attività”.

I ricorrenti affermano che la società contribuente, già nel modello unico 2007, per l’anno di imposta 2006, aveva presentato la dichiarazione dei redditi, evidenziando la causa di esclusione dai Parametri o Studi Settore, avendo dichiarato, nel periodo di imposta 2005, ricavi pari ad Euro 12.728.042,00 e per il periodo di imposta 2006 ricavi per Euro 26.269756,00.

2.2. Il motivo è inammissibile.

Sul punto specifico, la C.t.r. ha ritenuto che fosse legittimo il recupero della maggiore Iva per Euro 463.368,82, che risultava dovuta proprio in base all’adeguamento ai parametri ai fini delle imposte dirette, spontaneamente effettuato dalla società contribuente e che, obbligatorio o meno, costituiva il riconoscimento del maggior reddito prodotto in relazione ad attività assoggettate ad Iva.

Il giudice di appello ha quindi motivato in ordine al rigetto delle doglianze dei ricorrenti, ritenendo che l’adeguamento ai parametri o studi di settore, ai fini delle imposte dirette, costituisse una manifestazione di volontà della società contribuente, che, così facendo, aveva riconosciuto il maggior reddito anche ai fini delle operazioni assoggettate ad Iva.

I ricorrenti adducono un errore della società nella compilazione della dichiarazione, ma non chiariscono quali fossero i ricavi dell’anno di imposta 2007, che comporterebbero l’esclusione dagli studi di settore, riportando solo quanto dichiarato dalla società per le annualità 2005 e 2006, in cui effettivamente la contribuente aveva dichiarato la causa di inapplicabilità degli studi di settore.

Dunque, il motivo di ricorso, prima di ogni considerazione sulla sua fondatezza, risulta inammissibile, perché privo della necessaria autosufficienza.

3.1. Passando al ricorso incidentale dell’Agenzia delle entrate, che la stessa Agenzia afferma essere limitato all’accertamento ai fini dell’Iva per l’anno di imposta 2008, con il primo motivo, l’amministrazione finanziaria denunzia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 3, comma 2, n. 3, e artt. 21 e 23, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Secondo la C.t.r., la Recard S.p.A. aveva sostanzialmente proceduto al riacquisto dell’impianto, incamerando definitivamente la parte di prezzo pagata dalla Cartiera F. s.r.l.; pertanto, la rinuncia da parte di Recard S.p.A. al residuo prezzo, che la Cartiera F. s.r.l. non aveva ancora pagato (Euro 4.660.711,14), era compensata dal riacquisto dell’impianto ad un prezzo largamente inferiore a quello di vendita alla Cartiera F. s.r.l..

Inoltre, la C.t.r. riteneva che era corretta l’affermazione della Commissione tributaria di primo grado, secondo la quale la tassazione della rinuncia era errata perché tale rinuncia non costituiva “né prestazione di servizio né cessione di bene”.

Ritiene, invece, l’ufficio che il corrispettivo della cessione dovesse essere integrato dalla rinuncia del credito vantato dall’acquirente nei confronti dell’alienante; dunque, l’importo del credito rinunciato andava sommato al corrispettivo pattuito per l’alienazione e doveva essere oggetto di fatturazione.

Con il secondo motivo di ricorso incidentale, l’Agenzia delle entrate denunzia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 3, comma 2, n. 3, e artt. 21 e 23, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 86, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il giudice di appello rilevava che la non assoggettabilità della sopravvenienza di Euro 4.660.711,14 ad IVA era da ricollegare anche alla non assoggettabilità alle imposte dirette dell’intero ammontare del corrispettivo della cessione, proprio in relazione a quanto previsto dalla disposizione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 86, comma 5, che osta alla tassazione delle plusvalenze derivanti da procedure concorsuali.

Tuttavia l’ufficio rileva che il citato art. 86, comma 5, prevede una disciplina in tema di imposte dirette non estensibile all’Iva.

3.2. I motivi, da esaminare congiuntamente perché connessi, sono fondati e vanno accolti.

Il rilievo contenuto nell’avviso di accertamento (qui impugnato con esclusivo riferimento all’Iva dovuta per l’anno 2008) riguardava il prezzo relativo alla cessione da parte della società contribuente alla società Officina Meccanica Recard (di seguito solo Recard) del macchinario denominato (OMISSIS).

In particolare l’ufficio aveva rilevato che la contribuente, nel 2005, aveva acquistato il suddetto macchinario al prezzo di Euro 6.550.000,00 dalla stessa Recard.

Dalla vendita del 2005 era rimasto in favore di Recard un credito di Euro 4.660.711,00 relativo al completo pagamento del prezzo, versato solo parzialmente.

Nel 2008, Recard, all’atto del riacquisto del macchinario, oltre a versare il prezzo contrattato tra le parti di Euro 4.000.000,00, aveva rinunciato al credito preesistente di Euro 4.660.711,14, sicché l’ufficio ha ritenuto che il prezzo effettivo della vendita del 2008 fosse di Euro 8.660.711,14 (4.000.000,00 + 4.660.711,00); secondo l’ufficio tale era l’importo che la società Cartiera F. avrebbe dovuto fatturare per la vendita del macchinario.

Tali fatti, in sé pacifici e non contestati, rendono evidente che effettivamente il costo dell’operazione di acquisto del macchinario da parte della società Recard era dato, non solo dal corrispettivo pattuito, ma anche dall’importo del credito al quale l’acquirente, in vista del riacquisto del macchinario, aveva rinunziato, tanto che nella proposta di acquisto, integralmente riportata nel ricorso incidentale (sub terzo motivo), era previsto che, contestualmente al trasferimento di proprietà, la Recard avrebbe rinunciato all’intero credito vantato nei confronti di Cartiera, derivante dalla cessione del macchinario avvenuta nel 2005, con la precisazione che laddove non vi fosse stata l’autorizzazione alla vendita del macchinario, la Recard avrebbe riacquistato il diritto di far valere il proprio credito privilegiato.

Pertanto, la fatturazione dell’operazione ai fini iva, avrebbe dovuto assumere come base non solo il corrispettivo pattuito in contanti, ma, come sostenuto dall’amministrazione finanziaria, anche la rinuncia al credito vantato dall’acquirente.

Non risulta, dunque, corretta l’affermazione dei giudici di merito, secondo la tassazione della rinuncia al credito era errata perché tale rinuncia non costituiva “né prestazione di servizio né cessione di bene”.

Come questa Corte ha rilevato, l’imponibilità della pattuizione dell’impegno negativo, specificamente dell’impegno di non fare, è espressamente stabilita nel diritto unionale rispettivamente dalla Sesta Dir., art. 6, e dalla Dir. di rifusione n. 2006/112/Ce, art. 25, lett. b), e, nel diritto interno, dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3.

Questa Corte ha dunque ritenuto che “in tema di IVA, l’atto con il quale le parti rinunciano ai rispettivi crediti è soggetto all’applicazione dell’imposta, in quanto l’assunzione del reciproco obbligo di non fare implica reciproche attribuzioni patrimoniali e si configura, pertanto, quale prestazione di servizi” (Cass. n. 23668 del 2018; conf. Cass. n. 20233 del 2018, secondo un orientamento che trova riscontro anche nella giurisprudenza Europea: CGUE C215/94, C- 384/95, C-463/14, C-263/15).

A ciò si aggiunga che la mancanza negli impegni negativi di un “corrispettivo” reale è colmata dal regime previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 11, per le “permute”, cioè rapporti in cui non c’e’ il pagamento di una somma di denaro, ma un semplice “scambio” di obbligazioni.

Ulteriori argomentazioni a favore della tassabilità dell’operazione il cui corrispettivo sia dato dalla rinunzia al credito (come avvenuto in Parte nel caso di specie), possono trarsi dalla considerazione che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 24, comma 3, stabilisce che le parti possano variare l’importo dell’IVA non oltre un anno dopo, a partire dal momento di effettuazione delle operazioni originarie; di conseguenza, qualora le parti concludano una retrocessione novativa oltre il termine anzidetto, esse restano soggette all’ordinario regime IVA.

Non possono, invece, trarsi argomenti contrari dalla sentenza di questa Corte n. 18764 del 5 settembre 2014, che ha escluso l’assoggettabilità ad IVA della transazione non traslativa, nel caso in cui sia circoscritta alla sola rinuncia di contenziosi pendenti, richiamando la giurisprudenza comunitaria secondo la quale l’obbligo di non fare assunto da un imprenditore non configura una prestazione di servizi, se manca il perseguimento della finalità consumeristica.

Invero, la ratio della summenzionata decisione non è applicabile alla fattispecie in esame, che concerne la retrovendita di un bene che rientra nel circuito economico.

Per quanto riguarda, poi, l’agevolazione tributaria disposta dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 86, comma 5, essa non trova una sostanziale corrispondenza nella normativa sull’iva; in mancanza di un’analoga previsione espressa, dunque, ne resta esclusa un’interpretazione estensiva o, addirittura, analogica.

Invero, come sostenuto da autorevole dottrina, la norma ha la duplice finalità, da un lato di favorire l’adesione alla procedura concordataria, riducendo l’onere fiscale delle operazioni compiute nel corso della stessa, dall’altro di impedire che possa sorgere un’obbligazione relativa alle imposte reddituali in capo ad un soggetto che ha subito lo spossessamento dell’intero patrimonio.

Questa Corte, nel delineare l’ambito applicativo della norma, con riferimento al vecchio art. 54 T.u.i.r., comma 6, ha affermato che la disposizione in oggetto non può intendersi rivolta all’offerta dei beni ai creditori in sede di concordato, in quanto sarebbe pleonastica, ma al trasferimento degli stessi a soggetti terzi da parte degli organi giudiziali, legittimati a disporne al fine di realizzare il soddisfacimento dei creditori (Cass. n. 5112 del 1996).

Più di recente, questa Corte ha precisato, “la ratio della norma, del resto, va individuata nella volontà del legislatore di favorire l’adesione alla procedura concordataria, evitando la nascita di un debito d’imposta che, sebbene successivo alla procedura stessa, avrebbe dovuto gravare sulla medesima (e dunque, pregiudicare le ragioni dei creditori), nonché, sotto altro versante, nell’esigenza di impedire che, in capo a un soggetto che ha subito lo “spossessamento” dell’intero patrimonio, possa sorgere un’obbligazione relativa alle imposte reddituali, al cui pagamento quel soggetto non potrebbe adempiere, non disponendo di alcun mezzo per effetto del predetto spossessamento” (Cass. n. 13122 del 2018).

Dunque, l’art. 86 T.u.i.r., comma 5, ha un ambito applicativo limitato, in quanto si riferisce, in tema di imposte dirette, ai casi, diversi da quello in esame, in cui il concordato sia attuato mediante la cessione integrale dei beni, che produce l’effetto dello spossessamento, il quale costituisce a sua volta il presupposto dell’esclusione delle plusvalenze dalla tassazione.

Come si è visto, nella fattispecie in esame, si configura invece la diversa ipotesi di una sorta di retrovendita, effettuata in contesto concordatario, con la rinuncia, da parte dell’acquirente, alla quota parte del prezzo rimasta insoluta.

L’ambito applicativo della norma, delineato in base alla sua ratio, e la circostanza che non vi sia un’analoga disposizione in materia di iva, inducono a ritenere che, nel caso di specie, non vi sia motivo per cui l’imponibile ai fini dell’iva debba essere limitato alla sola parte del prezzo in danaro, pur essendo maggiore il valore reale della cessione (comprensivo della rinunzia al credito).

Per altro, come rilevato dal p.g. nelle sue conclusioni, in tema di iva l’indicata finalità agevolativa non avrebbe significato, in quanto l’imposta è destinata a gravare economicamente sull’acquirente, tanto che, nel caso di specie, la parte di corrispettivo di Euro 4.000.000,00, pattuita come prezzo della cessione e pagata in contanti, è stata normalmente gravata da iva.

4.1. Con il terzo motivo di ricorso, avanzato in subordine, l’Agenzia delle entrate denunzia la motivazione insufficiente e contraddittoria in ordine ad un fatto decisivo e controverso del giudizio, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione precedente alle modifiche introdotte con il D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, secondo la ricorrente non applicabili al processo tributario ai sensi dello stesso art. 54, comma 3 bis.

Deduce l’Agenzia delle entrate che la C.t.r. sembra assumere che, con il contratto di “ritrasferimento” del 2008, le parti abbiano inteso “risolvere” gli effetti della vendita del 2005 da Recard a Cartiera. In tale ottica, secondo la ricorrente, potrebbe spiegarsi il riferimento all'”incameramento” definitivo da parte di Recard della parte di prezzo pagata da Cartiera e la rilevanza attribuita al prezzo del 2008 “largamente inferiore a quello di vendita alla Cartiera F.”. Tale ricostruzione, secondo la ricorrente, non tiene conto della volontà contrattuale come emergente dagli atti di causa, da cui si rileverebbe con chiarezza che le parti non hanno inteso affatto “risolvere” il contratto di vendita del 2005, ma hanno inteso stipulare un nuovo contratto in cui l’impianto (già venduto da Recard a Cartiera) veniva trasferito con effetti ex nunc da Cartiera a Recard, senza con ciò caducare di effetti del contratto precedente (effetti tra i quali si annoverava anche il sorgere in capo a Recard del credito di Euro 4.660.711.14 relativo al pagamento del relativo prezzo).

Ritiene, dunque, l’Agenzia delle entrate che la decisione impugnata è censurabile laddove non ha tenuto conto del tenore dell’offerta di acquisto e del contenuto effettivo dell’operazione di cessione, che non giustifica una pretesa caducazione degli effetti del primo contratto intervenuto tra le parti.

4.2. Il motivo è inammissibile.

Come le Sezioni unite di questa Corte hanno definitivamente chiarito, “Le disposizioni sul ricorso per cassazione, di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, circa il vizio denunciabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ed i limiti d’impugnazione della “doppia conforme” ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., u.c., si applicano anche al ricorso avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale, atteso che il giudizio di legittimità in materia tributaria, alla luce del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, non ha connotazioni di specialità. Ne consegue che il D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3-bis, quando stabilisce che “le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano al processo tributario di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546″, si riferisce esclusivamente alle disposizioni sull’appello, limitandosi a preservare la specialità del giudizio tributario di merito” (Cass. S.U. n. 8053 del 2014).

Nella fattispecie trova applicazione ratione temporis (ai sensi D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3) il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto la sentenza impugnata è stata pubblicata in data successiva al 10 settembre 2012 sicché il vizio della motivazione è deducibile soltanto in termini di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. S.U. 22.9.2014 nr 19881; Cass. S.U. 7.4.2014 n. 8053) la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione;

e’ pertanto denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

L’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti; pertanto, la doglianza relativa all’insufficienza e contraddittorietà della motivazione, così come proposta, non è ammissibile.

Inoltre, nel caso di specie, essa involge valutazioni di merito, comunque insindacabili in sede di legittimità (se non nei limiti della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nonché la corretta interpretazione del contratto di cessione e della reale volontà dei contraenti, che può essere impugnata in cassazione solo per la violazione delle norme di ermeneutica contrattuale.

Per quanto fin qui detto, il primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale vanno accolti, dichiarato inammissibile il terzo e rigettato il ricorso principale; la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla C.t.r. della Toscana, in diversa composizione, che provvederà anche sulle questioni rimaste assorbite dall’accoglimento del ricorso per l’annualità 2008 (in particolare quella sulla non imponibilità dell’operazione ai fini I.V.A., D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 8) e sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale, dichiarato inammissibile il terzo e rigettato il ricorso principale; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla C.t.r. della Toscana, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2022

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