Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27319 del 30/11/2020

Cassazione civile sez. I, 30/11/2020, (ud. 23/10/2020, dep. 30/11/2020), n.27319

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. GENTILI Andrea – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10613-2019 proposto da:

S.T., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA PAGANICA n.

13, presso lo studio dell’avvocato DARIO DE BLASI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROBERTO LUCA ORIANI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1518/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 01/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/10/2020 dal Consigliere Dott. OLIVA STEFANO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ordinanza del 20.2.2017 il Tribunale di Brescia rigettava il ricorso avverso il provvedimento con il quale la Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Brescia aveva respinto la domanda di S.T. volta al riconoscimento della detta protezione.

Interponeva appello il Sa. e la Corte di Appello di Brescia, con la sentenza oggi impugnata, n. 1518/2018, rigettava il gravame.

Propone ricorso per la cassazione di tale decisione S.T. affidandosi a tre motivi.

Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, perchè la Corte di Appello avrebbe omesso di pronunciarsi sulle istanze istruttorie finalizzate ad accertare la sua effettiva provenienza dalla regione del Casamance.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, perchè il giudice bresciano avrebbe erroneamente ritenuto che il conflitto esistente in Casamance sarebbe “a bassa intensità”.

Le due censure, che meritano un esame congiunto, sono inammissibili.

Il ricorrente aveva narrato di essere fuggito dal Senegal a seguito dell’attacco al proprio villaggio da parte dei ribelli separatisti del Casamance, che avevano ucciso suo padre e rapito i giovani. Aveva poi riferito di essere riuscito a fuggire grazie alla pietà di uno dei suoi carcerieri. La Corte di Appello ha ritenuto non credibile la storia, da un lato evidenziandone la genericità, e dall’altro sottolineando la mancanza di attualità del pericolo, poichè i fatti riferiti dal Sa. risalivano al 2011 e la situazione attuale del Paese, ricostruita dal giudice di merito in base a C.O.I. adeguate ed aggiornate -in particolare, i rapporti Human Rights Watch 2017 ed Amnesty 2017/2018-non evidenziava la sussistenza di un contesto di pericolo generalizzato idoneo a rientrare nell’ambito del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

A fronte di tale motivazione è evidente l’inammissibilità del primo motivo, posto che (in disparte qualsiasi considerazione circa l’ammissibilità di una censura rivolta soltanto a contestare la mancata ammissione di una istanza istruttoria) esso appare diretto a contestare la decisione su un punto -la provenienza del richiedente dalla zona del Casamance – che il giudice di merito non ha in alcun modo posto in dubbio.

Del pari inammissibile è il secondo motivo, con il quale il Sa. contesta la ricostruzione in fatto operata dal giudice di appello, senza tuttavia tener conto del principio secondo cui “In tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S.C., l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 26728 del 21/10/2019, Rv. 655559). Ove manchi tale specifica allegazione, è precluso a questa Corte procedere ad una revisione della valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dal giudice del merito. Solo laddove nel motivo di censura vengano evidenziati precisi riscontri idonei ad evidenziare che le informazioni sulla cui base il predetto giudice ha deciso siano state effettivamente superate da altre e più aggiornate fonti qualificate, infatti, potrebbe ritenersi violato il cd. dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice del merito, nella misura in cui venga cioè dimostrato che quest’ultimo abbia deciso sulla scorta di notizie ed informazioni tratte da fonti non più attuali. In caso contrario, la semplice e generica allegazione dell’esistenza di un quadro generale del Paese di origine del richiedente la protezione differente da quello ricostruito dal giudice di merito si risolve nell’implicita richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie e nella prospettazione di una diversa soluzione argomentativa, entrambe precluse in questa sede.

In definitiva, va data continuità al principio secondo cui “In tema di protezione internazionale, il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate” (v. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 4037 del 18/02/2020, Rv. 657062).

Non così, invece, nel caso in cui le fonti informative non siano state in alcun modo citate dal giudice di merito, ovvero siano state citate con espressioni talmente generiche da non consentire, in concreto, l’individuazione della loro fonte o la loro collocazione temporale, poichè in tal caso si configura una violazione della disposizione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, che impone al giudice di esaminare la domanda di protezione internazionale NN alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalla Commissione nazionale sulla base dei dati forniti dall’UNHCR, dall’EASO, dal Ministero degli affari esteri anche con la collaborazione di altre agenzie ed enti di tutela dei diritti umani operanti a livello internazionale, o comunque acquisite dalla Commissione stessa. La Commissione nazionale assicura che dette informazioni, costantemente aggiornate, siano messe a disposizione delle Commissioni territoriali, secondo le modalità indicate dal regolamento da emanare ai sensi dell’art. 38 e siano altresì fornite agli organi giurisdizionali chiamati a pronunciarsi su impugnazioni di decisioni negative”.

Le Country of Origin Information (cosiddette “C.O.I.”) assumono dunque un ruolo centrale nell’istruzione e nella decisione delle domande di protezione internazionale, poichè la relativa decisione deve essere assunta, per precisa disposizione normativa, sulla base delle notizie sul Paese di origine, o di transito, del richiedente che siano tratte da fonti informative specifiche ed aggiornate. Il giudice di merito, pertanto, non può esimersi dal dar conto, in motivazione, della C.O.I. in concreto consultata e dell’informazione specifica da essa tratta, poichè l’omissione non consente di verificare l’attendibilità e la pertinenza dell’informazione utilizzata per la decisione e si riflette, pertanto, in una valutazione di scienza privata, in aperta violazione dell’obbligo di collaborazione istruttoria previsto e declinato dal già richiamato del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.

Alla luce dei richiamati principi e considerazioni, era onere del Sa. confrontarsi con la specifica motivazione resa dalla Corte bresciana, incentrata in particolare sulla natura attenuata del conflitto esistente in Casamance, cosa che nel caso specifico manca del tutto.

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta l’erroneità, contraddittorietà ed infondatezza della motivazione resa dalla Corte di Appello ai fini del diniego del riconoscimento della protezione umanitaria.

Anche questa censura è inammissibile.

Da un lato, infatti, il ricorrente non tiene conto dei limiti di deduzione del vizio di motivazione derivanti dalla disposizione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo applicabile ratione temporis, a seguito dell’entrata in vigore della novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012, secondo cui l’anomalia motivazionale deducibile in Cassazione “… si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830), con conseguente esclusione dell’ammissibilità di ogni diverso profilo di vizio della motivazione.

Dall’altro lato, anche se nella sentenza impugnata manca la valutazione comparativa della situazione di vita del richiedente, in Italia e nel Paese di origine, ai fini della verifica della lesione del nucleo essenziale dei suoi diritti fondamentali (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298), la doglianza non attinge in alcun modo tale profilo, essendosi il ricorrente limitato a proporre una contestazione assolutamente generica, priva di qualsiasi concreto riferimento, tanto al contesto del Paese di origine, quanto alla sua condizione soggettiva. Il solo richiamo al fatto che “… è notorio che in Senegal non esiste un sistema di assistenza sociale, ospedaliera e comunque un’assoluta impossibilità di trovare qualsiasi forma di lavoro” (cfr. penultima pagina del ricorso) non è infatti sufficiente ai fini della specificità della censura.

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla per le spese, in difetto di svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero intimato nel presente giudizio di legittimità.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della seconda sezione civile, il 23 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2020

 

 

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