Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27316 del 30/11/2020
Cassazione civile sez. I, 30/11/2020, (ud. 15/07/2020, dep. 30/11/2020), n.27316
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 9007/2019 proposto da:
L.M.K., elettivamente domiciliato in Milano, alla via
Lamarmora n. 42, presso lo studio dell’avv. Stefania Santilli, che
lo rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 13/02/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
15/07/2020 dal cons. SOLAINI LUCA.
Fatto
RILEVATO IN FATTO
che:
Il Tribunale di Milano, con decreto del 13 febbraio 2019, ha respinto il ricorso proposto da L.M.K., cittadino del Pakistan richiedente asilo, avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale che gli aveva negato il riconoscimento della protezione internazionale, anche nella forma sussidiaria, e di quella umanitaria.
K. aveva riferito di aver sposato la ragazza di cui era innamorato contro il volere della propria famiglia; di essere stato costretto, per sottrarsi alle minacce e alle violenze dei parenti, a trasferirsi in una zona del Pakistan, al confine con l’India, teatro di continue sparatorie fra i due fronti; di aver profittato dell’apertura delle frontiere con l’Europa per lasciare il Paese, alla ricerca di una vita migliore per sè e per la famiglia.
Il tribunale ha espresso il convincimento che queste ultime fossero le vere ragioni dell’espatrio del richiedente, il quale non solo non aveva saputo descrivere circostanze e luoghi del conflitto ma ignorava perfino che nel 2018 era intervenuto un accordo di “cessate il fuoco” fra India e Pakistan, circostanza assolutamente rilevante per chiunque abbia relazioni familiari con persone che vivono nella zona del K. interessata allo stesso; ha pertanto ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria ai sensi delle D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b); ha poi escluso, sulla scorta delle più recenti fonti di informazione internazionale, che il K. sia attualmente teatro di un conflitto armato generalizzato; ha infine rilevato che, al di là della inattendibilità delle dichiarazioni di K. in ordine alle ragioni dell’espatrio, non emergevano indici di vulnerabilità del migrante che denotassero una disparità fra la vita da lui condotta in Italia e quella che avrebbe potuto condurre nel Paese di origine, tenuto conto che lì aveva lasciato la moglie e quattro figli e svolgeva l’attività di pastore.
K.L. ha proposto ricorso per la cassazione del decreto, sulla base di tre motivi.
Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
che:
Con il primo motivo il ricorrente censura la decisione per violazione dell’art. 116 c.p.c., del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3; assume che il tribunale ha escluso la coerenza intrinseca del suo racconto con motivazione apodittica, senza tenere conto che, ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria non è necessario che l’agente della persecuzione sia un’autorità statale nè che abbia un effettiva finalità persecutoria; rileva, ancora, che il suo racconto era coerente rispetto alla situazione del suo Paese d’origine, e che i giudici del merito hanno fondato il loro convincimento su convinzioni soggettive, sovrapponendo il proprio sistema di valori con il suo vissuto.
Il motivo è inammissibile, in quanto si risolve nella richiesta di una nuova e diversa valutazione delle dichiarazioni del ricorrente, la cui attendibilità, in ordine alle dedotte ragioni dell’espatrio, è stata esclusa dal tribunale sulla base di un accertamento di merito svolto con ampia e approfondita disamina di tutte le circostanze allegate, senza che, per contro, egli abbia indicato il fatto decisivo omesso che, ove considerato, avrebbe condotto ad un diverso esito della decisione.
Inammissibile (prima ancora che palesemente infondato) è anche il secondo motivo di ricorso – che lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1 e art. 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e che prospetta i rischi di persecuzione cui La. K. si troverebbe esposto in caso di rientro in Pakista, atto a giustificare il riconoscimento della protezione sussidiaria persino ai sensi dell’art. 14 cit., lett. c): la censura presuppone infatti l’attendibilità delle dichiarazioni del ricorrente, che il tribunale ha invece escluso.
Inammissibile, infine, è il terzo motivo del ricorso, volto a contestare il rigetto della domanda di protezione umanitaria, atteso che, contrariamente a quanto in esso si deduce, il tribunale ha effettuato il giudizio comparativo e, con accertamento di fatto non specificamente contestato, ha escluso che il ricorrente avesse allegato profili di vulnerabilità diversi da quelli, ritenuti insussistenti, addotti a fondamento delle domande principali.
La mancata predisposizione di difese da parte dell’amministrazione statale, esonera il collegio dal provvedere sulle spese.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 15 luglio 2020.
Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2020