Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27315 del 30/11/2020

Cassazione civile sez. I, 30/11/2020, (ud. 15/07/2020, dep. 30/11/2020), n.27315

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7850/2019 proposto da:

R.C., elettivamente domiciliata in Milano, alla via Lamarmora

n. 42, presso lo studio dell’avv. Stefania Santilli, che la

rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 29/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/07/2020 dal Cons. SOLAINI LUCA.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

Il Tribunale di Milano, con decreto del 29 gennaio 2019, ha respinto il ricorso proposto da R.C. cittadina della Repubblica popolare cinese richiedente asilo, avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale che le aveva negato il riconoscimento della protezione internazionale, anche nella forma sussidiaria, e di quella umanitaria.

La ricorrente aveva riferito di aver maturato la decisione di lasciare il proprio Paese perchè la polizia aveva scoperto la sua appartenenza alla chiesa locale cristiana denominata “Scuola dell’urlo” e la ricercava e di essere arrivata in Italia nel 2015, con un volo decollato da Hong Kong, essendo munita di passaporto e visto.

Il tribunale ha ritenuto inverosimile che la richiedente fosse venuta a conoscenza dell’esistenza della setta attraverso internet, ha reputato il racconto generico in ordine alle modalità della conversione e stereotipato quanto ai descritti contenuti del credo religioso e dei suoi riti, ed ha inoltre rilevato che, in base alle fonti di informazione consultate, doveva escludersi che la richiedente fosse riuscita ad ottenere il visto per l’espatrio quando già era ricercata dalla polizia. Ha pertanto affermato l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. a) e b). Ha poi escluso che la Repubblica Pop. Cinese sia teatro di un conflitto armato indiscriminato ed ha infine osservato che la migrante non aveva allegato profili specifici di vulnerabilità ostativi al suo rimpatrio.

R.C. ha proposto ricorso per la cassazione del decreto sulla base di tre motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

Con il primo motivo la ricorrente censura la decisione per violazione dell’art. 116 c.p.c., del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 comma 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3; assume che il tribunale ha escluso la coerenza intrinseca del suo racconto con motivazione apodittica, senza tenere conto che, ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato per motivi religiosi, è sufficiente che l’agente della persecuzione attribuisca al richiedente l’appartenenza ad un credo o ad una dottrina, mentre va escluso che il giudizio di credibilità del migrante possa fondarsi sulla conoscenza approfondita che egli ha dei riti e dei dogmi della religione professata; rileva, ancora, che il suo racconto era coerente rispetto alla situazione del suo paese d’origine, e che il tribunale non ha tenuto conto della diffusa corruzione dei funzionari cinesi, che ha consentito al cugino- cui ella si era rivolta per ottenere aiuto- di procurarle il rilascio del passaporto e del visto turistico per l’espatrio.

Il motivo è inammissibile, in quanto si risolve nella richiesta di una diversa valutazione delle dichiarazioni della ricorrente, la cui attendibilità è stata esclusa dal tribunale sulla base di un’ampia e approfondita disamina di tutti i fatti da lei allegati. Non risulta, peraltro, che R.C. abbia mai dedotto (neppure implicitamente) di essersi procurata il passaporto ed il visto per l’espatrio corrompendo (o facendo corrompere) i funzionari addetti al loro rilascio, sicchè non può attribuirsi a tale circostanza, per la prima volta illustrata in ricorso, la valenza di fatto decisivo omesso che, ove considerato, avrebbe potuto condurre all’accoglimento delle domande di riconoscimento dello status o della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. a) e b).

Inammissibile (prima ancora che palesemente infondato) è anche il secondo motivo di ricorso – che lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e che prospetta il rischio di persecuzione religiosa cui R.C. si troverebbe esposta in caso di rientro in Cina, atto a giustificare il riconoscimento della protezione sussidiaria persino anche ai sensi dell’art. 14 cit., lett. c): la censura presuppone infatti l’attendibilità delle dichiarazioni della ricorrente, che il tribunale ha invece escluso.

Inammissibile, infine, è il terzo motivo del ricorso, volto a contestare il rigetto della domanda di protezione umanitaria, atteso che, con giudizio di fatto non specificamente contestato, il Tribunale ha accertato che la ricorrente non aveva allegato profili di vulnerabilità diversi da quelli, ritenuti insussistenti, addotti a fondamento delle domande principali.

La mancata predisposizione di difese da parte dell’amministrazione statale, esonera il collegio dal provvedere sulle spese.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 15 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2020

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