Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27312 del 30/11/2020

Cassazione civile sez. I, 30/11/2020, (ud. 15/07/2020, dep. 30/11/2020), n.27312

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 27811/2018 proposto da:

M.S., elettivamente domiciliato in Rovigo, alla via Badaloni

19, presso lo studio dell’avv. Elena Petracca, che lo rappresenta e

difende giusta mandato in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Venezia n. cronol. 4698/2018 del

20 agosto 2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/07/2020 dal Consigliere CARADONNA Lunella.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. Il tribunale di Venezia, con decreto del 20.8.2018, ha respinto la domanda di M.S., cittadino del Bangladesh richiedente asilo, di riconoscimento del suo diritto ad ottenere lo status di rifugiato, o, in via gradata, la protezione sussidiaria o quella umanitaria, confermando il provvedimento di diniego emesso dalla competente Commissione Territoriale.

2. Il richiedente aveva dichiarato di essere stato arrestato e trattenuto nelle carceri dell’Arabia Saudita, dove lavorava come tassista, in quanto accusato falsamente di essere responsabile di un’attività di prostituzione; di essere stato espulso da quel Paese dopo sette mesi di detenzione e dopo aver anche subito la pena di 50 frustate; di essere quindi tornato in Bangladesh, dove però, a causa di quanto accadutogli, era stato emarginato e dileggiato dagli abitanti del suo villaggio e persino dai membri della sua famiglia; di non avere ricevuto tutela nè dalla polizia, nè dal capo villaggio; di aver subito eguale trattamento anche dopo essersi trasferito a Dacca, città in cui aveva aperto un negozio di frutta ed aveva vissuto per circa nove mesi; di avere perciò deciso di lasciare il Bangladesh; di essere arrivato in Libia tramite un trafficante; di essere infine da lì partito alla volta dell’Italia.

3. Il Tribunale ha ritenuto il racconto scarsamente credibile, evidenziandone le contraddizioni intrinseche, ed il contrasto con la vicenda narrata da M. in sede di audizione dinanzi alla C.T.; ha quindi escluso che il Bangladesh versi in una situazione di conflitto armato generalizzato ed ha infine rilevato che, risultando indimostrati, a causa dell’inattendibilità del richiedente, specifici profili di sua vulnerabilità, il percorso di integrazione sociale da questi intrapreso in Italia non poteva di per sè giustificare l’accoglimento della domanda di protezione umanitaria.

4. Il decreto è stato impugnato da M.S. con ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

5. Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

1. Con il primo motivo M.S. lamenta la violazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3,D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e L. n. 241 del 1990, art. 3, per aver il tribunale omesso di attivare i propri poteri istruttori officiosi al fine di accertare le attuali condizioni sociopolitiche del Bangladesh (in particolare, di verificare l’efficienza di quello Stato nel difendere i propri cittadini da violenze e soprusi provenienti da privati) e per aver effettuato una valutazione sommarla delle sue dichiarazioni e della documentazione probatoria offerta.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a), b) e c) e L. n. 241 del 1990, art. 3; si duole che il tribunale abbia respinto la domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria appiattendosi sul giudizio di non credibilità delle sue dichiarazioni reso dalla Commissione territoriale, senza di fatto analizzarne la corrispondenza con quelle rese in udienza, senza rimettere la causa in istruttoria per sentirlo a chiarimenti e senza assumere d’ufficio informazioni precise ed aggiornate sulla situazione del suo Paese d’origine, ancorchè il presupposto di cui all’art. 14 cit., lett. c), prescinda dalla prova che il richiedente sia soggetto ad una minaccia individuale.

2.1 I motivi che, in quanto connessi, possono essere trattati unitariamente, sono inammissibili, aì sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, perchè privi dei requisiti di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata richiesti per il giudizio di cassazione, che è rimedio a critica vincolata (Cass., 24 febbraio 2020, n. 4905), e perchè non riportano le dichiarazioni rese dal ricorrente dinanzi al tribunale, nè precisano quale rilevanza abbiano i documenti, non allegati al ricorso, da questi prodotti, precludendo perciò a questa Corte, che non ha accesso diretto agli atti di causa, di verificare se il giudice del merito, nel ritenere dette dichiarazioni in contrasto con quelle rese in precedenza, le abbia travisate od abbia omesso di esaminare fatti -emergenti da quei documenti -decisivi ai fini della prova della loro veridicità.

Sono parimenti assenti, nelle difese del ricorrente, riferimenti a rapporti redatti da organizzazioni la cui affidabilità è riconosciuta a livello internazionale, diversi e ulteriori rispetto a quelli, puntualmente citati e riportati nel loro contenuto rilevante nel decreto, dai quali il tribunale ha tratto l’accertamento dell’insussistenza in Bangladesh di una situazione di violenza indiscriminata.

3. Con il terzo motivo M.S. lamenta la violazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 289 del 1998, art. 5, comma 6 e la L. n. 241 del 1990, art. 3; sostiene che il Tribunale avrebbe errato nel respingere la domanda di protezione umanitaria, arroccandosi su un’interpretazione restrittiva del concetto di vulnerabilità (la cui sussistenza va accertata indipendentemente dal giudizio di attendibilità della vicenda narrata), senza tener conto del suo inserimento lavorativo in Italia, senza operare alcuna comparazione tra la situazione che lo aveva spinto a lasciare il proprio paese e la sua attuale situazione soggettiva e oggettiva, senza considerare le condizioni in cui versa la Libia, ultimo Paese di sua provenienza, e senza attivare il proprio potere/dovere di cooperazione istruttoria officiosa, che richiedeva la rimessione in istruttoria del procedimento per un’eventuale sua nuova audizione.

3.1 Anche questo motivo è inammissibile, per la sua assoluta genericità, che non investe la ratio decidendi sulla quale sì basa il capo della pronuncia impugnata.

3.2 Il tribunale ha infatti evidenziato che la scarsa credibilità del ricorrente induceva a ritenere non dimostrata l’esistenza di particolari suoi profili di vulnerabilità ed ha preso specificamente in considerazione il fatto che M. svolga attività lavorativa in Italia, ritenendolo, tuttavia, non sufficiente a legittimare una prognosi favorevole in merito alla sua integrazione sociale, con ciò facendo corretta applicazione dei principi enunciati da questa Corte, secondo cui, in materia di protezione umanitaria, non può prescindersi – nella mancanza di prove del racconto dell’interessato ed in difetto di sollecitazioni ad acquisizioni documentali – dalla credibilità soggettiva del medesimo, analogamente a quanto avviene in ordine al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria (Cass., 24 aprile 2019, n. 11267; Cass., 21 dicembre 2016, n. 26641).

Inoltre, la natura residuale ed atipica della protezione umanitaria se da un lato implica che il suo riconoscimento debba essere frutto di valutazione autonoma, caso per caso, e che il suo rigetto non possa conseguire automaticamente al rigetto delle altre forme tipiche di protezione, dall’altro comporta che chi invochi tale forma di tutela debba allegare in giudizio fatti ulteriori e diversi da quelli posti a fondamento delle altre due domande di protezione c.d. “maggiore”(Cass., 7 agosto 2019, n. 21123).

Nel caso di specie non risulta che il ricorrente abbia posto a fondamento della domanda di riconoscimento della protezione umanitaria circostanze di fatto diverse da quelle dedotte ai fini del riconoscimento dello stato di rifugiato o della protezione sussidiaria, nè il ricorso vi fa cenno.

3.3 Anche l’ulteriore censura, riguardante la mancata considerazione della situazione dell’ultimo paese di provenienza, è inammissibile per difetto di specificità, per l’omessa indicazione delle ragioni per le quali la valutazione del tribunale dovesse estendersi anche alla condizione di tale Paese.

Al riguardo, va evidenziato che l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide, potendo il paese di transito rilevare, ai sensi dell’art. 3 della Direttiva UE n. 115/2008, solo nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale paese (Cass.,6 dicembre 2018, n. 31676).

3.4 Quanto alla doglianza concernente la mancata rimessione del procedimento in istruttoria per una nuova audizione, è sufficiente rilevare che il ricorrente non ha indicato gli elementi di fatto, decisivi ai fini dell’accoglimento della domanda, sui quali non era stato sentito o che necessitavano di un approfondimento.

4. Il ricorso va, conclusivamente, dichiarato inammissibile.

Nulla sulle spese poichè l’Amministrazione intimata non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma delo stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 15 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2020

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