Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27309 del 29/12/2016


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Cassazione civile, sez. trib., 29/12/2016, (ud. 26/10/2016, dep.29/12/2016),  n. 27309

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9598-2010 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

M.F., elettivamente domiciliato in ROMA VIA BIAGIO

PETROCELLI 224, presso lo studio dell’avvocato DAYSA GIACANI, che lo

rappresenta e difende giusta delega in calce all’atto di

costituzione;

– controricorrente –

sul ricorso 28510-2012 proposto da:

M.F., elettivamente domiciliato in ROMA VIA BIAGIO

PETROCELLI 224, presso lo studio dell’avvocato DAYSA GIACANI, che lo

rappresenta e difende giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 27/2009 della COMM.TRIB.REG. depositata il

19/02/2010 e avverso il provvedimento n. 185545/2012 dell’AGENZIA

DELLE ENTRATE di ROMA depositato il 27/09/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/10/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE LOCATELLI;

udito per il n. r.g. 9598/10 ricorrente l’Avvocato MADDALO che ha

chiesto l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato GIACANI che ha chiesto il

rigetto;

udito per il n. r.g. 28510/12 ricorrente l’Avvocato GIACANI che ha

chiesto l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato MADDALO che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

MASELLIS MARIELLA che ha concluso per il n. r.g. 9598/10

l’estinzione del ricorso per cessata materia del contendere, per il

n. r.g. 28510/12 l’accoglimento del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

L’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti di M.F. un avviso di accertamento per l’anno 1997, relativo al maggior reddito da partecipazione costituito da utili non dichiarati accertati in capo alla società di persone La Stella di Vinciguerra Maria e C. s.a.s., di cui il contribuente era socio. Divenuto definitivo l’avviso di accertamento per mancata impugnazione, veniva emessa la cartella di pagamento.

Contro la cartella di pagamento M.F. proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Roma che lo accoglieva con sentenza del n. 176 del 2007.

L’Agenzia delle Entrate proponeva appello alla Commissione tributaria regionale, che lo rigettava con sentenza del 9.2.2009.

Contro la sentenza di appello l’Agenzia delle Entrate propone ricorso con unico motivo di impugnazione, deducendo la violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 19 e 21 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per avere annullato la cartella per vizi non propri dell’atto.

M.F. resiste con controricorso.

Nelle more del ricorso per cassazione il contribuente presentava domanda di definizione di lite fiscale pendente ai sensi della L. n. 111 del 2011, art. 39, comma 12. L’Agenzia delle Entrate rigettava la richiesta sul rilievo che la lite fiscale pendente non aveva ad oggetto un atto impositivo ma un mero atto di riscossione.

Contro il diniego di definizione della lite fiscale pendente M. propone ricorso (n. 28510/2012), deducendone la illegittimità per due motivi: 1) violazione e falsa applicazione della L. n. 111 del 2011, art. 39, comma 12 e della L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 8 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: sostiene che la definizione della lite pendente prevista dalle citate norme non può che riferirsi anche alle cartelle di pagamento; 2) violazione della L. n. 111 del 2011, art. 39, comma 12 e della L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per erroneità della motivazione del provvedimento impugnato.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Preliminarmente si dispone la riunione dei ricorsi per ragioni di connessione a norma dell’art. 274 cod. proc. civ..

1.I motivi di ricorso del contribuente contro il diniego della definizione della lite pendente, da trattarsi congiuntamente e prioritariamente, sono infondati.

La L. n. 211 del 2011, art. 39 comma 12, che prevede la definizione delle liti fiscali pendenti, rinvia alle disposizioni contenute nella L. n. 289, art. 16 ugualmente relativo alla chiusura delle liti fiscali pendenti, il quale, al comma 3, lett. a), stabilisce che la lite fiscale pendente “condonabile” deve avere ad oggetto un avviso di accertamento, un provvedimento di irrogazione sanzioni e comunque un atto a contenuto impositivo. Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, le cartelle emesse a seguito di un avviso di accertamento divenuto definitivo costituiscono atto di mera riscossione del precedente atto impositivo. In particolare non integra una lite fiscale pendente suscettibile di condono la controversia introdotta dal socio di società di persone con l’impugnazione della cartella di pagamento per le somme dovute in base all’avviso di accertamento da lui non impugnato, avente ad oggetto l’imputazione del reddito da partecipazione nella società, atteso che non si tratta di nuovo ed autonomo atto impositivo, ma di atto di mera esecuzione di una pretesa ormai definitiva. (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 15799 del 27/07/2015, Rv. 636146).

2. Il ricorso della Agenzia delle Entrate è fondato.

La Commissione tributaria regionale ha annullato la cartella di pagamento, relativa al reddito di partecipazione imputato al socio M., in accoglimento del motivo di ricorso secondo cui l’avviso di accertamento emesso a carico della società non sarebbe stato notificato alla data del 31.12.2002, ma soltanto successivamente, con conseguente validità della domanda di condono presentata dalla società e con conseguente preclusione di ogni pretesa impositiva anche nei confronti del socio.

La motivazione è viziata sotto due profili: in violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19 il giudice di appello ha legittimato l’impugnazione della cartella di pagamento per vizio non proprio, dando ingresso alla questione relativa alla validità dell’adesione al condono da parte della società, la quale doveva essere fatta valere nell’ambito del ricorso proposto dalla società contro l’avviso di accertamento e la cartella di pagamento ad essa notificati; in ogni caso un’ipotetica definizione della lite pendente da parte di una società di persone non estende i suoi effetti nei confronti dei singoli soci, sicchè non comporta alcuna preclusione all’esercizio del potere dovere di accertamento dell’Amministrazione finanziaria, la quale non è tenuta ad adeguare il reddito da partecipazione dei soci, che abbiano scelto di non avvalersi di tale istituto. (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 14858 del 20/07/2016, Rv. 640666).

A norma dell’art. 382 c.p.c., comma 3, u.p. la sentenza deve essere cassata senza rinvio, ricorrendo una causa di improponibilità del ricorso fondato sulla allegazione di vizi non propri dell’atto impugnato. Spese regolate come da dispositivo.

PQM

Riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso del contribuente contro il diniego di condono; accoglie il ricorso della Agenzia delle Entrate e cassa senza rinvio la sentenza impugnata. Compensa le spese per i gradi di merito; condanna il contribuente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore della Agenzia delle Entrate, liquidate in euro duemila ottocento oltre eventuali spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2016

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