Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27306 del 24/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 24/10/2019, (ud. 11/09/2019, dep. 24/10/2019), n.27306

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Robert – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 21746/2017 R.G. proposto da:

SMURFIT KAPPA ITALIA s.p.a., (c.f. (OMISSIS) p. iva (OMISSIS)) in

persona del legale rappresentante pro tempore rappresentata e difesa

giusta delega in atti dall’avv. prof. Massimo Basilavecchia (PEC

studio.pec.basilavecchia.it) e dall’avv. prof. Piero Sandulli con

domicilio eletto in Roma presso quest’ultimo alla via F. Paulucci

dei Calboli n. 9;

– ricorrente –

Contro

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, (C.F. (OMISSIS)) in persona del

Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via Dei

Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio

n. 804/17/17 depositata il 23/02/2017, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale

dell’11/09/2019 dal consigliere Roberto Succio.

Fatto

RILEVATO

che:

– con la sentenza di cui sopra il giudice di seconde cure ha rigettato il gravame della società contribuente, con ciò confermando la sentenza della Commissione provinciale, e sancendo per l’effetto la legittimità del diniego di rimborso emesso dall’Ufficio, per accisa sull’energia elettrica riferita al periodo 2010-2011;

– avverso la sentenza della CTR propone ricorso per cassazione la società con atto affidato a un solo motivo che illustra con memoria ex art. 378 c.p.c.; l’Amministrazione Finanziaria resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– il motivo di ricorso censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 540 del 1995, art. 14, comma, (c.d. Testo Unico sulle accise, o TUA) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR laziale ritenuto insussistente la legittimazione attiva della ricorrente a chiedere il rimborso in oggetto;

– il motivo è infondato;

– come questa Corte ha già statuito, con riferimento peraltro a vicenda analoga tra le medesime parti (Cass. Sez. V, 4 giugno 2019, n. 15199) per i prodotti sottoposti ad accisa l’obbligazione tributaria sorge al momento della loro fabbricazione ovvero della loro importazione (art. 2, comma 1); è obbligato al pagamento dell’accisa il titolare del deposito fiscale dal quale avviene l’immissione in consumo e gli altri soggetti nei cui confronti si verificano i presupposti per l’esigibilità dell’imposta (comma 4). Gli obbligati al pagamento dell’accisa sull’energia elettrica sono, tra gli altri, “i soggetti che procedono alla fatturazione dell’energia elettrica ai consumatori finali, di seguito indicati come venditori” (art. 53, comma 1, lett. a), mentre “i crediti vantati dai soggetti passivi dell’accisa verso i cessionari dei prodotti per i quali i soggetti stessi hanno assolto tale tributo possono essere addebitati a titolo di rivalsa” (art. 16, comma 3); all’art. 56, si precisa, altresì, che le società fornitrici “hanno diritto di rivalsa sui consumatori finali” (art. 56). La disposizione generale in materia di rimborso delle accise indebitamente versate è l’art. 14, che al comma 2, dispone che “l’accisa è rimborsata quando risulta indebitamente pagata” e il rimborso – previsto in via generale dalla Dir. 16 dicembre 2008, n. 2008/118/CE, art. 9, par. 2, che fa riferimento alle modalità stabilite dai singoli Stati membri – “deve essere richiesto, a pena di decadenza, entro due anni dalla data del pagamento”;

– la medesima disposizione di diritto interno prevede, inoltre, che “qualora al termine di un procedimento giurisdizionale il soggetto obbligato al pagamento dell’accisa sia condannato alla restituzione a terzi di somme indebitamente percepite a titolo di rivalsa dell’accisa, il rimborso è richiesto dal predetto soggetto obbligato, a pena di decadenza, entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza che impone la restituzione delle somme”. Deve, inoltre, farsi menzione del D.L. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19, comma 1, conv. con L. 27 novembre 1982, n. 873, secondo cui “chi ha indebitamente corrisposto diritti doganali all’importazione, imposte di fabbricazione, imposte di consumo o diritti erariali (…) ha diritto al rimborso delle somme pagate quando prova (…) che l’onere non è stato in qualsiasi modo trasferito su altri soggetti, salvo il caso di errore materiale”, norma applicabile “quando i tributi riscossi non rilevano per l’ordinamento comunitario” (L. 29 dicembre 1990, n. 428, art. 29, comma 3). Per il rimborso dei tributi rilevanti per l’ordinamento comunitario opera, invece, la L. n. 428 del 1990, art. 29, comma 2, il quale stabilisce che “i diritti doganali all’importazione, le imposte di fabbricazione, le imposte di consumo, il sovrapprezzo dello zucchero e i diritti erariali riscossi in applicazione di disposizioni nazionali incompatibili con norme comunitarie sono rimborsati a meno che il relativo onere non sia stato trasferito su altri soggetti, circostanza che non può essere assunta dagli uffici tributari a mezzo di presunzioni”;

– orbene, dal combinato disposto delle menzionate disposizioni emerge che il soggetto passivo del rapporto tributario è solo il fornitore di energia, tenuto verso l’Erario al pagamento dell’accisa come anche della relativa addizionale, avendo il legislatore inteso concentrare l’imposizione e il relativo controllo su pochi soggetti, ossia i produttori o gli importatori dei prodotti (Cass., Sez. V, 6 agosto 2014, n. 17627). Per costoro l’accisa è un costo sostenuto prima della cessione del bene, tale da farlo rientrare, ad esempio, nella base imponibile dell’IVA (Cass., Sez. V, 3 ottobre 2018, n. 24015), che può (e non deve, come per l’IVA) essere traslato sul consumatore finale quale componente del prezzo del bene o del servizio ceduto. Questa traslazione è effettuata giuridicamente a titolo di rivalsa (TUA, art. 16, comma 3), e non anche di sostituzione di imposta, a conferma che la traslazione dell’imposta riguarda il peso economico della stessa senza traslazione dell’obbligazione tributaria. Il rapporto di imposta rimane, pertanto, in capo al fornitore quale unico obbligato al versamento dell’imposta e ad esso si affianca il diverso rapporto civilistico di rivalsa tra fornitore e consumatore, che rimane separato dal rapporto tributario corrente tra fornitore ed Erario (Cass., Sez. V, 19 aprile 2013, n. 9567);

– peraltro, dal punto di vista sistematico, uno schema giuridico del tutto analogo è seguito dal legislatore per il versamento delle imposte addizionali di cui al D.L. n. 511 del 1988, art. 6, comma 3, (nel testo applicabile ratione temporis), secondo cui dette imposte sono dovute, dai soggetti obbligati di cui al TUA, art. 53, (società fornitrici), al momento della fornitura dell’energia elettrica ai consumatori finali e “sono liquidate e riscosse con le stesse modalità dell’accisa sull’energia elettrica”. Da queste considerazioni va tratta la conclusione che il rapporto tributario inerente al pagamento di accise e addizionali si svolge solo tra la amministrazione finanziaria ed i soggetti che forniscono direttamente l’energia elettrica ai consumatori e rispetto a tale rapporto rimane del tutto estraneo l’utente o consumatore, tenuto a pagare al fornitore il prezzo dell’energia e, con esso (in caso di rivalsa dell’imposta) il costo delle accise e addizionali quale componente del prezzo di vendita dell’energia. Ove la rivalsa si riveli illegittima per insussistenza dell’obbligo di versamento della quota parte di prezzo relativa all’accisa o alla addizionale, il consumatore ha azione nei confronti del fornitore per illegittimo esercizio della rivalsa quale azione di ripetizione di quota parte del prezzo, ma non ha azione nei confronti dell’Erario per l’imposta in tesi versata illegittimamente dal fornitore;

– le superiori conclusioni trovano puntuale conferma nella giurisprudenza di questa Corte: sia pure con riferimento alle accise dovute sul consumo di gas metano, è stato, infatti, affermato che “il rapporto tributario inerente al pagamento dell’imposta si svolge solo tra la Amministrazione finanziaria ed i soggetti che forniscono direttamente il gas metano ai consumatori e ad esso è del tutto estraneo l’utente consumatore” (Cass. Sez U., 25 maggio 2009, n. 11987), sicchè “il solo soggetto obbligato verso l’amministrazione finanziaria è l’ente comunale che immette in consumo il gas e riscuote l’accisa inglobata nel prezzo (è una peculiarità che non incide sulla natura del tributo che resta distinto dal prezzo del gas)” (Cass. Sez. U., 19 marzo 2009, n. 6589). Soggetto passivo dell’imposta dovuta per il consumo per il gas metano è quindi il fornitore, che trasla l’onere finanziario sul consumatore in virtù di un fenomeno meramente economico, al punto che l’azione del consumatore verso il fornitore per la ripetizione della quota di prezzo corrispondente al tributo non viene qualificata come azione tributaria di rimborso (Cass., Sez. U., 1 febbraio 2016, n. 1837). Il consumatore finale rimane, anche in questo caso, estraneo all’azione di rimborso nei confronti dell’Erario. Nè tale configurazione del rapporto di imposta e della conseguente azione di rimborso si pone in contrasto con la giurisprudenza dell’Unione Europea. La Corte di giustizia ha ripetutamente sottolineato (tra le tante, Corte di Giustizia UE, 27 aprile 2017, C-564/15, Farkas) che, in mancanza di disciplina dell’Unione in materia di domande di rimborso delle imposte, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire i requisiti al ricorrere dei quali tali domande possono essere presentate, purchè i requisiti in questione rispettino i principi di equivalenza e di effettività; vale a dire, non siano meno favorevoli di quelli che riguardano reclami analoghi basati su norme di natura interna e non siano congegnati in modo da rendere praticamente impossibile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (cd. principio di effettività: Corte di Giustizia UE, 14 febbraio 2019, C562/17, Nestrade, punti 40, 41; Corte di Giustizia UE, 7 novembre 2018, C-380/17, K, B, punti 56, 58; Corte di Giustizia UE, 15 marzo 2007, C-35/05, Reemtsma Cigarettenfabriken, punto 37);

– pertanto, venendo più da vicino al profilo introdotto dal ricorso, soltanto se e ove il rimborso risulti impossibile o eccessivamente difficile, il principio di effettività può imporre che l’acquirente del bene in questione sia legittimato ad agire eccezionalmente per il rimborso nei confronti delle autorità tributarie (come nel caso di fallimento del venditore: Corte di Giustizia UE, 27 aprile 2017, C-564/15, cit.; Corte di Giustizia UE, 31 maggio 2018, C-660 e 661/16, KollroB e Wirti, punto 66). Secondo la giurisprudenza dell’Unione Europea, il fruitore dei beni o dei servizi può, dunque, ottenere il rimborso dell’imposta illegittimamente versata esperendo ordinariamente nei confronti del cedente o del prestatore un’azione di ripetizione d’indebito di rilevanza civilistica (vedi, in tema di IVA, Corte di Giustizia UE, 15 dicembre 2011, C-427/10, Banca popolare antoniana veneta, punto 42; in tema di accise, Corte di Giustizia UE, 20 ottobre 2011, C- 94/10, Danfoss) ed eccezionalmente una azione diretta nei confronti dell’Erario, ove venga dedotta in relazione all’azione nei confronti del fornitore la violazione del principio di effettività. Sotto quest’ultimo profilo, non è fondato anche l’ulteriore eventuale argomento che può introdursi secondo il quale il presupposto normativo che consentirebbe al consumatore di chiedere al fornitore la restituzione di parte del prezzo corrispondente alle accise indebitamente versate è l’applicazione nei rapporti tra privati della Dir. 2008/118/CE, costituirebbe presupposto per la disapplicazione della disciplina di diritto interno in materia di addizionali sulle accise per contrasto con il diritto unionale e per l’emersione dell’indebito oggettivo. La disapplicazione conseguirebbe alla cd. “efficacia orizzontale” tra privati delle direttive dell’Unione, profilo sul quale si insiste anche in memoria a sostegno dell’istanza ivi formulata di remissione alle Sezioni Unite; efficacia orizzontale che, tuttavia, viene esclusa dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia (CGUE, 7 agosto 2018, C-122/17, Smith, punti 42 – 45 e giurisprudenza ivi richiamata, punto 49). Il consumatore finale non potrebbe, quindi, invocare nei confronti del fornitore la disapplicazione della norma di diritto interno posta a fondamento giuridico del diritto alla ripetizione di indebito nei suoi confronti della quota parte di prezzo corrispondente alla rivalsa dell’imposta versata dal fornitore all’Erario. A sua volta questa conclusione indurrebbe l’ulteriore conclusione, implicita, secondo cui la richiesta del consumatore di rimborso nei confronti del fornitore risulterebbe impossibile per ragioni di mero diritto, con conseguente legittimazione straordinaria dell’acquirente dell’energia elettrica all’esercizio dell’azione diretta per il rimborso direttamente nei confronti delle autorità tributarie in rispetto del principio unionale di effettività, come nel menzionato caso del fallimento del venditore – cedente (Corte di Giustizia UE, 27 aprile 2017, cit.);

– infine, questa Corte ritiene poi di discostarsi dall’orientamento espresso in altra vicenda (Cass., Sez. V, 12 settembre 2008, n. 23518, ripresa da Cass., Sez. U., 19 marzo 2009, n. 6589), sul quale il ricorrente si diffonde nel proprio atto, ove si afferma – facendo leva sulla formulazione ellittica del TUA, art. 14, comma 2, (“l’accisa è rimborsata quando risulta indebitamente pagata”) – che la norma non contiene alcuna indicazione specifica con riferimento ai soggetti legittimati; con la conseguenza che detta disposizione debba ritenersi applicabile a tutti coloro che dimostrino di avere indebitamente pagato l’imposta;

– per vero, la suddetta statuizione, da un lato, si pone in contrasto con la separazione tra il rapporto di imposta (corrente tra erario e fornitore) e il rapporto di rivalsa (corrente tra fornitore e consumatore), dall’altro non considera che la stessa Disp. Del TUA, art. 14, comma 2, ratione temporis applicabile, prevede implicitamente la possibilità per il consumatore di far valere l’illegittima traslazione del tributo nei confronti del fornitore. La disposizione, difatti, prevede che “qualora al termine di un procedimento giurisdizionale il soggetto obbligato al pagamento dell’accisa sia condannato alla restituzione a terzi di somme indebitamente percepite a titolo di rivalsa dell’accisa, il rimborso è richiesto dal predetto soggetto obbligato, a pena di decadenza, entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza che impone la restituzione delle somme”. Nella sostanza, una volta esercitata vittoriosamente da parte del consumatore finale l’azione di rimborso nei confronti del fornitore, è quest’ultimo che ha novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza per far valere il diritto al rimborso nei confronti dell’amministrazione finanziaria. La norma attribuisce, quindi, espressamente l’azione di rimborso al fornitore che abbia traslato l’imposta sul consumatore all’esito dell’azione da questi vittoriosamente esercitata nei suoi confronti. Nè può considerarsi dirimente il fatto che la traslazione dell’imposta dal fornitore al consumatore sterilizzerebbe le richieste di rimborso da parte del fornitore, in quanto la prova della traslazione rientra nell’onere, gravante sull’amministrazione finanziaria (per effetto di Corte Cost., sent. 9 luglio 2002, n. 332), di evitare un ingiustificato arricchimento in favore del fornitore (Cass., Sez. V, 1 ottobre 2015, n. 19618; Cass., Sez. V, 16 maggio 2007, n. 11224; Cass., Sez. V, 24 maggio 2005, n. 10939); tanto che il TUA, art. 14, comma 2, considera l’azione di rimborso, in questo caso, come un posterius della vittoriosa azione proposta nei confronti del fornitore dal consumatore definitivamente inciso dal peso economico dell’imposta;

– nè, infine, tale orientamento pare contrastato dalle pronunce che hanno sì affermato (con l’eccezione di Cass., Sez. U., n. 1837/2016, cit.) la giurisdizione tributaria, ma ben si sono guardate dall’entrare nel merito della questione della legittimazione del consumatore finale, in materia di azione di rimborso proposta dal consumatore finale nei confronti dell’Erario (Cass., 31 dicembre 2018, n. 33687; Cass., Sez. UU., 19 marzo 2009, n. 6589);

– conclusivamente, quindi va nuovamente affermato, con specifico riferimento alla materia delle accise e delle addizionali, che: 1) obbligato al pagamento delle accise nei confronti dell’Amministrazione doganale è unicamente il fornitore; 2) il fornitore può addebitare integralmente le accise pagate al consumatore finale; 3) i rapporti tra fornitore e Amministrazione doganale e fornitore e consumatore finale sono autonomi e non interferiscono tra loro; 4) in ragione della menzionata autonomia, il consumatore finale, anche in caso di addebito del tributo da parte del fornitore, non ha diritto a chiedere direttamente all’Amministrazione finanziaria il rimb9ro delle accise indebitamente corrisposte; 5) il diritto al rimborso spetta unicamente al fornitore, che può esercitarlo nei confronti dell’Amministrazione finanziaria: a) nel caso in cui non abbia addebitato l’imposta al consumatore finale, entro due anni dalla data del pagamento; b) nel caso in cui il consumatore finale abbia esercitato vittoriosamente nei suoi confronti azione di ripetizione di indebito, entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza; 6) nel caso di addebito delle accise al consumatore finale (come anche delle relative addizionali), quest’ultimo può esercitare l’azione civilistica di ripetizione di indebito direttamente nei confronti del fornitore, salvo chiedere eccezionalmente il rimborso anche nei confronti dell’Amministrazione finanziaria allorquando alleghi che l’azione esperibile nei confronti del fornitore si riveli oltremodo gravosa (come accade, ad esempio, nell’ipotesi di fallimento del fornitore); La sentenza della CTR si è conformata a tali principi, per cui il ricorso va rigettato, non sussistendo la legittimazione attiva della contribuente a esercitare l’azione diretta di rimborso dell’imposta nei confronti dell’amministrazione finanziaria. Le spese del giudizio legittimità sono soggette a integrale compensazione per parziale novità della questione. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato a termini del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 -quater.

PQM

rigetta il ricorso; dichiara integralmente compensate le spese processuali del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, il 11 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2019

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