Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27305 del 30/11/2020

Cassazione civile sez. II, 30/11/2020, (ud. 27/10/2020, dep. 30/11/2020), n.27305

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso (iscritto al N. R.G. 10022/’16) proposto da:

AVV. I.M.C., (C.F.: (OMISSIS)) rappresentata e

difesa, ai sensi dell’art. 86 c.p.c., da se stessa ed elettivamente

domiciliata presso il suo studio, in Roma, v. Maria Adelaide, n. 12;

– ricorrente principale e controricorrente al ricorso incidentale –

contro

CONGREGAZIONE PER L’EVANGELIZZAZIONE DEI POPOLI, (P.I. (OMISSIS)), in

persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e

difesa, in virtù di procura per notar L. di (OMISSIS) (rep.

(OMISSIS), racc. (OMISSIS)), dagli Avv.ti Francesco Luigi Braschi e

Gianmichele Fadda ed elettivamente domiciliata presso lo studio del

primo, in Roma, viale Parioli, n. 180;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso l’ordinanza del Tribunale di Roma, in composizione

collegiale, rep. 1624/16, depositata il 22 febbraio 2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27 ottobre 2020 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

lette le memorie difensive depositate nell’interesse di entrambe le

parti ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c..

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. L’avv. I.M.C., con ricorso ex art. 702-bis c.p.c. depositato in data 10 gennaio 2014, chiedeva la liquidazione dei compensi e delle spese per la rappresentanza ed assistenza in giudizio nei procedimenti civili iscritti ai nn. 1575/1995 e 959/1999 dinanzi alla Corte di appello di Roma, poi riuniti, promossi per conto della propria assistita Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli nei confronti del Comune di Roma, riguardanti la determinazione delle indennità di occupazione e di espropriazioni di immobili alla stessa spettanti.

La predetta Congregazione si costituiva in giudizio, resisteva al ricorso e deduceva di aver saldato il vantato credito professionale con il versamento della somma di Euro 300.000,00, risultante da apposita quietanza prodotta agli atti, la cui sottoscrizione in calce alla stessa veniva disconosciuta dall’Avv. I. con dichiarazione resa all’udienza del 1 dicembre 2014.

Il difensore della citata Congregazione, pur dichiarando di volersi avvalere della quietanza di cui era stata disconosciuta la sottoscrizione, non chiedeva, ai sensi dell’art. 216 c.p.c., che si procedesse alla verificazione giudiziale della stessa. L’adita Corte di appello, con ordinanza depositata il 22 febbraio 2016, preso atto che la resistente aveva contestato soltanto l’ammontare delle spettanze dovute alla professionista legale per l’attività giudiziale prestata fino alla conclusione della transazione della complessiva controversia e ritenuto che lo scaglione da applicare ai fini della determinazione dei compensi era corrispondente al valore (per Euro 11.000.000,00) delle indennità spettanti e consensualmente quantificate dalle parti, liquidava in favore dell’avv. I. – in base alla tariffa professionale “ratione temporis” applicabile – l’importo di Euro 17.833,00 per onorari e di Euro 3.350,00 per diritti, oltre esborsi ed accessori legge, condannando la suddetta Congregazione anche al pagamento delle spese del procedimento.

2. Avverso la menzionata ordinanza, pronunciata ai sensi dell’art. 702-ter c.p.c., ha formulato ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, l’avv. I.M.C..

L’intimata Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli ha resistito con controricorso, contenente anche ricorso incidentale riferito a cinque motivi.

La ricorrente principale ha, a sua volta, formulato controricorso al ricorso incidentale.

Le difese di entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1. Con il primo motivo la ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 14 c.p.c., nonchè del D.M. n. 127 del 2004, art. 6, commi 2 e 4, poichè la Corte di appello, nel determinare i compensi dovuti, aveva erroneamente considerato, ai fini della determinazione del valore della causa presupposta, quello coincidente con l’importo individuato nell’atto di transazione, nel mentre avrebbe dovuto porre riferimento all’effettivo valore della controversia.

1.2. Con la seconda doglianza la ricorrente ha dedotto la violazione della L. n. 794 del 1942, art. 28 in combinato disposto con l’art. 702-bis c.p.c., siccome la Corte laziale aveva illegittimamente escluso di poter liquidare apposito compenso per le attività professionali da correlare alla conciliazione della lite sull’erroneo presupposto che l’accordo non era stato raggiunto in sede giudiziale, pur dovendosi ritenere che le attività professionali eseguite per pervenire alla correlata transazione in via extragiudiziale avrebbero dovute qualificarsi come attività equiparabili a quelle giudiziali.

1.3. Con il terzo motivo la ricorrente ha prospettato la violazione dell’art. 2233 c.c. e del D.M. Giustizia n. 127 del 2004 e del cap. I, artt. 1 e 2 e delle relative tabelle A e B, sul presupposto che, con l’impugnata ordinanza, la Corte capitolina aveva illegittimamente liquidato unitariamente l’attività svolta separatamente per i due giudizi, fino alla loro riunione, in ragione della supposta unicità del rapporto sostanziale dedotto.

1.4. Con la quarta censura la ricorrente ha denunciato la violazione del D.M. n. 127 del 2004, cap. I, artt. 13 e 4, per non aver la Corte di appello indicato specificamente i criteri utilizzati per addivenire alla liquidazione effettuata, comunque non corrispondenti a quelli previsti dalla citata tabella A.

1.5. Con il quinto ed ultimo motivo l’avv. I. ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti, avuto riguardo alla circostanza della mancata contestazione e all’accettazione da parte della sua assistita delle parcelle già inviatele in data 3 ottobre 2007 in relazione agli onorari relativi ai giudizi nn. 1575/95 e 959/99, donde la conseguente produzione dell’effetto di cui all’art. 115 c.p.c., relativamente alla prova del credito che ne aveva formato oggetto.

2.1. La controricorrente Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli ha, con il suo primo motivo del ricorso incidentale, denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – l’omesso esame di documenti decisivi (tre fatture, la n. (OMISSIS) e le nn. (OMISSIS)) dai quali emergeva che essa Congregazione aveva pagato la somma di Euro 28.405,12, e, quindi, superiore a quella determinata dalla Corte di appello con l’ordinanza impugnata.

2.2. Con la seconda censura articolata nel ricorso incidentale, detta Congregazione ha dedotto la violazione degli artt. 88,91 e 92 c.p.c. sul presupposto che, nel caso di specie, la Corte laziale l’aveva illegittimamente condannata al pagamento delle spese giudiziali, malgrado avesse quasi del tutto respinto la domanda avversa, senza considerare la rilevanza del comportamento dell’Avv. I. nel non avere accettato la proposta transattiva che avrebbe consentito alla stessa di ottenere un compenso maggiore, con la conseguenza che era il citato legale che avrebbe dovuto essere considerato soccombente.

2.3. Con la terza doglianza dedotta a sostegno del ricorso incidentale la citata Congregazione ha – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – prospettato l’omissione di un fatto decisivo ai fini della controversia, avuto riguardo alla rilevanza della ricevuta di Euro 300.000,00 versata in atti, che, invece, la Corte di appello aveva ritenuto di non poter valutare essendo stata disconosciuta la sottoscrizione da parte dell’avv. I., malgrado non dovesse rilevarsi la necessità di dar luogo al giudizio di verificazione, spettando, invero, una volta ammesso di aver ricevuto un adeguato compenso a titolo stragiudiziale, al legale di fornire la prova del “quantum”.

2.4. Con il quarto motivo la ricorrente incidentale ha dedotto la violazione e falsa applicazione delle relative norme concernenti l’esatta individuazione del valore della controversia, che avrebbe dovuto considerarsi corrispondente all’importo di Euro 11.000.000,00, come ritenuto nell’impugnata ordinanza.

2.5. Con la quinta ed ultima censura la ricorrente incidentale ha denunciato la mancata applicazione dell’art. 96 c.p.c. dipendente dal frazionamento del credito professionale, pur essendosi in presenza di un unico rapporto sostanziale che si riferiva alla legale determinazione e pagamento delle indennità di occupazione ed esproprio.

3. Cominciando dall’esame dei motivi dedotti con il ricorso principale, osserva il collegio che il primo è fondato.

Deve, infatti, osservarsi che secondo la giurisprudenza di questa Corte – a fronte di un valore dichiarato nella domanda introduttiva (nella specie per lire 110.000.000.000) – la Corte di appello non avrebbe potuto attribuire alla causa un diverso valore quale quello derivante dallo sviluppo del giudizio, e ciò anche in base alla prospettata transazione sopravvenuta.

Si è, in proposito, affermato (cfr. Cass. SU n. 5615/1998 e Cass. n. 8660/2010) che, in tema di liquidazione degli onorari professionali a favore dell’avvocato, l’art. 6 della tariffa trova applicazione soltanto in riferimento alle cause per le quali si proceda alla determinazione presuntiva del valore in base a parametri legali, e non pure allorquando il valore della causa sia stato in concreto dichiarato, dovendosi utilizzare in tale situazione, il disposto dell’art. 10 c.p.c., senza necessità di motivare in ordine alla mancata adozione di un diverso criterio.

Pertanto, nel caso di specie, la Corte laziale non avrebbe potuto prendere in considerazione il valore asseritamente ritenuto congruo dalle parti con riferimento all’ammontare complessivo delle indennità spettanti all’odierna controricorrente (e ricorrente incidentale), così come scaturente dall’intervenuta transazione, ai fini della determinazione del computo complessivo del compenso professionale da riconoscere alla ricorrente per le prestazioni giudiziali rese fino alla formalizzazione della transazione stessa.

In termini più specifici e calzanti alla fattispecie di cui trattasi è stato più recentemente affermato – e a tale principio dovrà conformarsi il giudice di rinvio – che, ai fini della liquidazione degli onorari professionali dovuti dal cliente in favore dell’avvocato, nel caso di transazione di una causa introdotta con domanda di valore determinato e, pertanto, non presunto in base ai criteri fissati dal codice di procedura civile, il valore della causa si determina avendo riguardo soltanto a quanto specificato nella domanda, considerata al momento iniziale della lite, restando irrilevante la somma realizzata dal cliente a seguito della transazione (cfr. Cass. n. 1666/2017).

4. Ritiene il collegio che anche il secondo motivo del ricorso principale è fondato.

Va, invero, osservato che pur essendo – in linea generale – i compensi legali richiesti con la procedura di cui alla L. n. 794 del 1942, artt. 28-30 riconoscibili per le attività giudiziali, essi possono essere, tuttavia, invocati anche per le prestazioni giudiziali svolte in funzione strumentale o collaterale all’espletamento dell’assistenza e rappresentanza giudiziale, come, in effetti, dedotte dalla ricorrente nel caso di specie (tanto è vero che, in virtù della sua attività, si era giunti anche ad una transazione extragiudiziale). Pertanto, l’impugnata ordinanza è giuridicamente errata anche nella parte in cui è stato stabilito che all’avvocato I. (odierna ricorrente) non spettava alcun compenso per l’accordo raggiunto siccome non era stato concretizzato mediante una conciliazione in sede giudiziale.

Sul punto la giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. n. 13847/2007 e Cass. n. 20269/2014) è univoca nel ritenere – e pure a tale principio di diritto dovrà uniformarsi il giudice di rinvio – che la procedura camerale prevista dalla L. 13 giugno 1942, n. 794, artt. 29 e 30 (nella specie, applicabile “ratione temporis”), per la liquidazione degli onorari e diritti di avvocato, pur essendo dettata solo per le prestazioni giudiziali civili, va ammessa – con applicazione, perciò, dei medesimi criteri di quantificazione – anche per le prestazioni stragiudiziali che siano risultate realizzate in funzione strumentale o complementare all’attività propriamente processuale.

5. Per effetto dell’accoglimento delle prime due censure l’esame dei restanti tre dipendenti motivi del ricorso principale deve ritenersi assorbito.

Infatti, il terzo attiene all’aspetto della liquidazione dei compensi in relazione alla contestata valutazione unitaria dei giudizi di riferimento.

Il quarto motivo involge la specifica considerazione dei criteri tabellari di liquidazione dei compensi richiesti.

Il quinto motivo inerisce il profilo dell’accertamento o meno della mancata contestazione di apposite parcelle, incidente, quindi, potenzialmente sulla determinazione dei compensi complessivamente spettanti all’avv. I.. Restano assorbiti anche tutti i motivi prospettati con il ricorso incidentale, ad eccezione del terzo che presenta una propria autonomia, ovvero che non risulta condizionato dall’esito di ritenuta fondatezza dei primi due motivi del ricorso principale.

In particolare, il primo va assorbito perchè la sua cognizione dipende dall’accertamento del valore delle cause riunite e dall’individuazione delle spettanze legali effettivamente da riconoscere alla ricorrente principale.

Il secondo è da assorbire perchè concerne le spese del procedimento e, quindi, una pronuncia accessoria.

Il quarto deve ritenersi assorbito perchè – come il primo – è condizionato dall’esatta individuazione del valore delle cause riunite. Il quinto pure è da assorbire perchè riguarda l’eventuale applicabilità dell’art. 96 c.p.c. per il supposto abuso del processo, e, quindi, un profilo accessorio, che presuppone l’accertamento della sussistenza effettiva dell’illegittimo frazionamento dell’intero credito professionale.

Il terzo motivo del ricorso incidentale – da considerarsi, come detto, autonomo – è infondato in quanto la quietanza cui esso si riferisce è stata esaminata dalla Corte di appello ed è stata ritenuta non utilizzabile quale prova scritta per effetto del tempestivo disconoscimento della sottoscrizione da parte dell’avv. I., senza che la Congregazione abbia poi richiesto la relativa verificazione giudiziale, con la sua conseguente inefficacia sul piano probatorio.

6. In definitiva, vanno accolti i primi due motivi del ricorso principale e rigettato il terzo di quello incidentale, mentre devono dichiararsi assorbiti tutti gli altri motivi formulati con entrambi i ricorsi.

L’ordinanza impugnata va, quindi, cassata in relazione ai motivi accolti, con il rinvio della causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che ai atterrà ai principi di diritto precedentemente enunciati.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso principale e rigetta il terzo del ricorso incidentale. Dichiara assorbiti tutti gli altri motivi di entrambi i ricorsi. Cassa l’ordinanza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2 Sezione civile, il 27 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2020

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