Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27302 del 05/12/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 27302 Anno 2013
Presidente: TRIOLA ROBERTO MICHELE
Relatore: CARRATO ALDO

SENTENZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 2664/08) proposto da:
GARGANI MARINA (C.F.: GRG MRN 70T51 E463M), GARGANI FULVIA (C.F.: GRG FLV
65C61 E463E), nella qualità di eredi di Cavallo Benedetta e la prima anche in proprio,
rappresentate e difese, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dagli Avv.ti
Alberto Bucolo e Guido Pottino ed elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo,
in Roma, p.zza Augusto Imperatore, n. 22; – ricorrenti contro
BOCCALI LORENZO (C.F.: BCC LNZ 31C27 D279B); PUCCI LEONIA (C.F.: PCC LNE
39D53 D279M); CASTAGNETO ALDO (C.F.: CST LDA 38CO2 F609R); COLNAGO
LAURA (C.F.: CLN LRA 63B58 F704Y); CAVALLO ANNA MARIA (C.F.: CVL NMR 35M60
F609A); BURATTI ALMA (C.F.: BRT LMA 11D41 E463U) e MALIPIERO ANTONIETTA
1

2382_// 3

Data pubblicazione: 05/12/2013

Aslo2

Avv. FRANCESCO PAIUZZA
Salita di Santa Caterina, 5/1
16123 GENOVA
Tel. 010 594943 Fax 010 594945
Partita I.V.A.: 03755210105
e-mail: francesco.paluzzaOtimit

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‘.2)

URGEN1T E

u p, CrE NYE.

ORIGINALE

ECC.MA CORTE DI CASSAZIONE
Controricorso etc art. 370 C.p.c.

Nell’interesse dei sigg.ri Boccali Lorenzo, residente in Deruta (PG), Via Tiberina n. 25,
C.F. BCCLNZ31C27D279B, Pucci Leonia, residente in Deruta (PG), Via Tiberina n.
25, C.F. PCCLNE39D53D279M, Castagneto Aldo, residente in Monterosso al Mare

Ghisallo n. 9, C.F. CLNLRA63B58F704Y, Cavallo Anna Maria, residente in La
Spezia, Viale Delle Cinque Terre n. 12, C.F. CVLNMR35M60F609A, Buratti Alma,
residente in La Spezia, Via Delle Cinque Terre n. 10, C.F. BRTLMA11D41E463U,
Malipiero Antonietta, residente in Monza, Via Ghisallo

n.

9, C.F.

MLPNNT30M41D548W, tutti rappresentati e difesi, giusta procura speciale in calce al
presente ricorso, congiuntamente e disgiuntamente dagli Avvocati Francesco Paiuzza e
Giovanni M. Cocconi, tutti elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo
sito in Roma, Via Ciro Menotti n. 1, fax 06.8082405 — in qualità di convenuti
Contro
Marina Gargani e Fulvia Gargatii, in qualità di eredi della sig.ra Benedetta Cavallo, e
la prima anche personalmente, rappresentate e difese dagli Avv.ti Alberto Bucalo e
Guido Pottino, elettivamente domiciliate presso lo studio di quest’ultimo in Roma,
Piazza Augusto bnperanne n. 22 in quauta d ricorrenti,
e contro
Cas allo Claudio, Cavp110 Claudia e per ess i suoi eredi, e Cavano Oscar.

Per resistere
Al ricorso per cassazione proposto dai sigg.ri Marina Gargani e Fulvia Gargani quali
eredi della sig.ra Benedetta Cavallo e la prima anche personalmente, con atto notificato
in data 16 gennaio 2008, avverso la sentenza della Corte d’Appello di Genova n. 1014
del 3 ottobre 2007, resa inter partes.

In fatto
Con atto di citazione ritualmente notificato, i sigg.ri Boccali, Pucci, Cavallo, Colnago,
Castagneto, Buratti, in qualità di proprietari dell’immobile sito in Monterosso al Mare,
per cui è causa – alcuni a titolo mortis causa altri per atti inter vivos – convenivano in
giudizio dinanzi al Tribunale della Spezia i proprietari di altre sette unità immobiliari

(SP), Via Fegina, C.F. CSTLDA38CO2F609R, Colnago Laura, residente in Monza, Via

(C.F.: MLP NNT 30M41 D548W), tutti rappresentati e difesi, in forza di procura speciale in
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calce al controricorso, dagli Avv.ti Francesco Paluzza e Giovanni M. Cocconi ed
elettivamente domiciliati presso lo studio del secondo, in Roma, Via Ciro Menotti, n. 1;
– controricorrentie

persone dei sigg. POLELLI TRISTANA, CAVALLO ELENA, CAVALLO DANIELA,
CAVALLO ALBERTO e CAVALLO SILVIA (come da atto di integrazione del contraddittorio
successivamente notificato dai ricorrenti); – intimati Avverso la sentenza n. 1014/07 della Corte di appello di Genova, depositata il 3 ottobre
2007 e notificata il 19 novembre 2007;
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 13 novembre 2013 dal
Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
uditi gli Avv.ti Guido Maria Pottino, per le ricorrenti, e Marco Saponara (per delega)
nell’interesse dei controricorrenti;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
Ignazio Patrone, che ha concluso per il rigetto dei primi tre motivi del ricorso e per
l’accoglimento del quarto.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione, notificato tra i mesi di luglio ed agosto 1995, i sigg. Boccali Lorenzo,
Pucci Leonia, Castagneto Aldo, Colnago Dante, Cavallo Anna Maria, Cavallo Luciana e
Buratti Alma convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di La Spezia, i sigg. Cavallo
Benedetta in Gargani, Cavallo Claudio, Gargani Marina e Cavallo Claudia esponendo che:
– erano proprietari, per acquisti rispettivamente “mortis causa” (i Cavallo-Buratti) nel 1960 e
per atti “inter vivos” (i Boccali-Pucci) nel 1972 e 1973, di cinque unità abitative costituenti,
con altre sette unità, il condominio “Villa Cavallo” sito in Monterosso al mare; – che i
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CAVALLO CLAUDIO; CAVALLO CLAUDIA, nonché gli eredi di Cavallo Oscar, nelle

proprietari delle suddette ulteriori sette unità abitative si identificavano con i sigg. Cavallo
Claudio, Cavallo Benedetta e Gargani Marina; – che l’edificio era circondato su tre lati da
area pertinenziale, adibita a giardino nella parte più ampia, antistante l’edificio stesso; che, nei richiamati titoli di acquisto, tale area era indicata come “giardino condominiale” o
“area condominiale” con riferimento alla parte posta sul davanti dell’edificio e come

dell’edificio stesso (e tali risultanze erano ricavabili anche dal titolo di proprietà del 1961 di
Cavallo Maria oltre che dalla mappa catastale); – che le aree in questione erano state, da
sempre, utilizzate da tutti i condomini, i quali corrispondevano per quota le relative spese di
manutenzione; – che nel 1986 l’allora condomina Cavallo Maria, dante causa di Cavallo
Benedetta, aveva recintato con un muretto il giardino condominiale senza l’autorizzazione
degli altri condomini giustificando l’iniziativa intrapresa con l’esigenza di garantire sicurezza
ai bambini che vi giocavano, installando, successivamente, anche un cancelletto nel
retrostante passaggio condominiale; – che l’avente causa Cavallo Benedetta, succeduta nel
1992 alla Cavallo Maria (che non aveva messo in contestazione la condominialità delle
aree), aveva sostenuto di essere proprietaria esclusiva di dette aree. Tanto premesso, i
predetti attori evocavano in giudizio i suddetti convenuti affinché venisse dichiarato che
essi avevano usucapito — ai sensi dell’art. 1159 c.c. ovvero in virtù dell’art. 1160 c.c. — le
corrispondenti quote rimaste indivise di proprietà delle aree esterne dell’edificio, chiedendo,
nel contempo, anche la condanna degli aventi causa di Cavallo Maria al ripristino dello
stato dei luoghi ed al libero accesso dell’area retrostante l’edificio. Si costituivano in
giudizio tutti i convenuti (ad eccezione di Cavallo Oscar, nei cui confronti era stata disposta
l’integrazione del contraddittorio, e di Cavallo Claudia), i quali resistevano, a vario titolo,
alla pretesa attorea, contestando, in ogni caso, che si fossero venute a configurare le
condizioni per dichiarare il dedotto acquisto delle aree controverse per usucapione.
All’udienza di precisazione delle conclusioni, gli attori limitavano la domanda, così come
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“passaggio comune” o “passaggio condominiale” in ordine alla porzione posta sul retro

originariamente proposta, qualificandola come accertamento della proprietà comune e
chiedevano che il giudice adito dichiarasse il diritto dei condomini ad accedere al
retrostante cortile ai sensi dell’art. 843 c.c. .
Con sentenza n. 804 del 2002, il Tribunale di La Spezia respingeva le domande degli attori
e, per l’effetto, dichiarava che le aree dedotte in controversia erano di proprietà di Cavallo

spese processuali.
Interposto appello da parte di Boccali Lorenzo, Pucci Leonia, Castagneto Aldo, Colnago
Laura (quale coerede di Colnago Dante), Cavallo Anna Maria, Cavallo Luciana e Buratti
Alma (sul presupposto che, alla stregua delle risultanze dei titoli dei vari passaggi
dominicali, alle aree in questione si sarebbe dovuto applicare l’art. 1117 c.c. in tema di
presunzione di condominialità), nella resistenza dei soli appellati Cavallo Claudio (che
formulava, a sua volta, anche appello incidentale), Cavallo Benedetta e Gargani Marina, la
Corte di appello di Genova, con sentenza n. 1014 del 2007 (depositata il 3 ottobre 2007),
respingeva l’appello incidentale, accoglieva — per quanto di ragione — quello principale e, di
conseguenza, in parziale riforma della decisione impugnata, dichiarava di proprietà
comune dei condomini di Villa Cavallo (sita in Monterosso al Mare, in catasto al foglio 11
mappale 572) l’area antistante l’edificio condominiale quale indicata nella planimetria
catastale acquisita e condannava la Cavallo Benedetta a rimettere detta area a
disposizione di tutti i condomini, eliminando ogni ostacolo al godimento comune dell’area
stessa; condannava, altresì, la medesima Cavallo Benedetta a rifondere, in favore degli
appellanti principali, la metà delle spese del doppio grado di giudizio, dichiarando
compensate le spese stesse con riferimento ad ogni altro rapporto intercorso tra le
rimanenti parti in causa.
A sostegno dell’adotta pronuncia la Corte ligure rilevava che, sulla scorta delle prove
testimoniali e della documentazione acquisita, era emerso — al di là della qualificazione
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Benedetta e Gargani Maria, con le conseguenti statuizioni relative alla regolazione delle

come condominiali delle aree controverse — l’utilizzazione comune delle stesse (donde
l’illegittimità delle opere sulle stesse eseguite nell’interesse di Cavallo Benedetta), con
particolare riguardo al giardino così come era stata accertata l’avvenuta ripartizione per
plurimi anni tra tutti i condomini delle spese di manutenzione delle medesime aree, senza
che, in proposito, potesse avere influenza contraria la circostanza che negli atti traslativi

essendone stata affermata la natura condominiale, la vendita “pro quota” si sarebbe dovuta
considerare come conseguente di diritto. Inoltre, la Corte territoriale osservava che pur
dovendosi riconoscere il carattere condominiale anche al cortile retrostante, la relativa
domanda era stata rinunciata dagli originari attori in sede di precisazione delle conclusioni
in primo grado, onde non poteva qualificarsi come ammissibile nel giudizio di appello, né la
stessa si sarebbe potuta ricondurre al richiamo operato, in sede di gravame, all’art. 843 c.c.
(della fondatezza della cui azione, in ogni caso, non ricorrevano i presupposti).
Avverso la suddetta sentenza di secondo grado hanno proposto ricorso per cassazione le
signore Marina Gargani e Fulvia Gargani, quali eredi di Cavallo Benedetta (e la prima
anche in proprio), articolato in quattro motivi.
Hanno resistito con controricorso gli intimati Boccali Lorenzo, Pucci Leonia, Castagneto
Aldo, Colnago Laura, Cavallo Anna Maria e Buratti Alma, mentre le altre parti (ivi comprese
quelle nei cui riguardi è stato successivamente esteso il contraddittorio con atto del 22
maggio 2008) non hanno svolto attività difensiva in questa sede di legittimità. Entrambi i
difensori delle parti costituite hanno depositato memoria difensiva ex art. 378 c.p.c. .
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo le ricorrenti hanno denunciato — ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. – la
violazione e falsa applicazione degli artt. 1542 e segg. c.c., nonché il vizio di omessa,
insufficiente e contraddittorietà della motivazione sul fatto controverso e decisivo della
controversia relativo alla natura (di vendita di eredità o di quota di eredità) degli atti di
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non fosse stata specificata la vendita “pro quota” delle suddette aree, dal momento che,

cessione di diritti ereditari del 15 febbraio e del 6 marzo 1961 e al loro oggetto (quote di
eredità e non porzioni di singoli cespiti immobiliari).
Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. (ratione temporis applicabile alla fattispecie, risultando la
sentenza impugnata pubblicata il 3 ottobre 2007), è stato formulato — quanto alla dedotta
violazione di legge – il seguente quesito di diritto: “dica la Suprema Corte se nella vendita di

o la quota di tutti i cespiti, ereditari appartenuti al de cuius, e se la elencazione di tali cespiti
assolva, di regola, a funzioni di garanzia e pubblicità immobiliare e non di limitazione
dell’oggetto della vendita”.

1.1. Rileva il collegio che tale motivo è da qualificarsi inammissibile poiché con esso le
ricorrenti hanno, in effetti, dedotto una questione del tutto nuova, in quanto esulante dal
“thema decidendum” oggetto della instaurata controversia.
Infatti, per quanto è dato evincere dalla stessa sentenza impugnata, la Corte territoriale non
era stata affatto investita del compito di individuare la natura giuridica del titolo della
intervenuta cessione dei beni in favore delle parti in causa (e se, quindi, potesse discorrersi
di “vendita di eredità” o di quote ereditarie), essendo stato incentrato l’oggetto della causa —
per quanto desumibile anche dalla riportata narrativa del giudizio — soltanto
sull’accertamento della natura condominiale o meno di alcune parti ricomprese nel
complessivo edificio in questione, i cui singoli appartamenti erano stati venduti, nel corso
del tempo, a terze persone.
Deve, perciò, trovare conferma il principio per cui non sono prospettabili, per la prima
volta, in sede di legittimità le questioni non appartenenti al tema del decidere dei
precedenti gradi del giudizio di merito, né rilevabili di ufficio (cfr., ad es., Cass. n.

7981 del 2007 e, da ultimo, Cass. n. 17041 del 2013, ord.).
2. Con il secondo motivo le ricorrenti hanno prospettato la violazione e falsa applicazione
degli artt. 1117, 922, 1350 e 817 c.c., nonché il vizio di omessa, contraddittoria ed
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eredità o di quota ereditaria siano compresi — salvo specifico patto contrario — tutti i cespiti,

incongrua motivazione sul fatto controverso e decisivo della causa relativo all’esistenza di
soggetti (Emilio Cavallo ed i suoi successori) titolari di quota di proprietà indivisa dei
cortiletti oggetto del giudizio, ma non proprietari di unità immobiliari nella villa Cavallo, alla
loro partecipazione alla decisione ed accordo di imprimere ai cortiletti stessi il controverso
vincolo pertinenziale, in favore di immobili appartenenti a terzi soggetti. Con riferimento

Suprema Corte se l’accordo — e i vincoli che ne promanano — con il quale il proprietario di
una quota indivisa di bene immobile assoggetti il predetto immobile a vincolo pertinenziale
in favore di unità immobiliari di terzi non debba rivestire la forma scritta, e se, a seguito di
tale accordo, lo stesso diritto di proprietà, per la quota indivisa, sia “eo ipso” trasferita in
quota millesimale ai soggetti terzi proprietari dei beni principali, in favore dei quali è stabilito
il

vincolo

pertinenziale”.

2.1. Questa censura — supportata da un idoneo assolvimento del requisito di ammissibilità
ex art. 366 bis c.p.c. (“ratione temporis” applicabile nella specie, risultando la sentenza
impugnata pubblicata il 3 ottobre 2007) — è infondata e deve, pertanto, essere rigettata.
In sostanza, con tale doglianza, le ricorrenti assumono che la Corte genovese sarebbe
incorsa nella dedotta violazione di legge e nel prospettato vizio motivazionale nella parte in
cui, rilevata la omessa menzione dei “cortiletti” nell’elenco dei beni oggetto di cessione dei
diritti di Cavallo Angela in favore di Cavallo Maria, aveva ritenuto che gli eredi di Cavalb
Angela avessero deciso di destinare le due aree, oggetto di controversia, a “pertinenze
condominiali” e, sulla scorta di tale ricostruzione, aveva considerato che l’area antistante
“Villa Cavallo” fosse di proprietà comune ed avesse, quindi, natura condominiale.
Diversamente dalla rappresentata ricostruzione delle ricorrenti, occorre evidenziare che,
con motivazione congrua e logica, la Corte di secondo grado, ripercorrendo i vari passaggi
di trasferimento delle proprietà, ha rilevato come fosse stata univocamente significativa
della comune volontà dei proprietari degli appartamenti la circostanza che in tutti i contratti
7

alla denunciata violazione di legge risulta posto il seguente quesito di diritto: “dica la

ri

di provenienza (ivi compreso quello in cui la Cavallo Maria ricopriva la qualità di venditrice)
le aree controverse erano state definite come condominiali e che tale circostanza era
rimasta confermata anche dalle risultanze della complessiva prova orale espletata e
dall’ulteriore produzione documentale, oltre che dall’accertato riscontro dell’effettuata
ripartizione, per plurimi anni, tra tutti i condomini di varie spese riguardante la

In tal senso risulta logicamente giustificata la consequenziale affermazione della Corte
ligure in virtù della quale l’univoco e concorde comportamento dei condomini di “Villa
Cavallo” ed, in particolare, degli eredi di Cavallo Angela, compatibile con le risultanze dei
numerosi contratti stipulati e per come emergente dalla destinazione in concreto impressa
alle aree in discorso, stava a dimostrare che queste ultime, già dal 1961, avevano assunto,
per “facta concludentia” (non essendo necessaria, in proposito, l’adozione di un forma
solenne: cfr., ad es., Cass. n. 3574 del 1999 e Cass. n. 6230 del 2000), la natura giuridica
di parti comuni pertinenziali del complesso condominiale. Così argomentando, al di là delle
oggettive risultanze documentali verificate negli atti di alienazione degli immobili, il giudice
di appello si è conformato al condivisibile principio già espresso dalla giurisprudenza di
questa Corte (cfr. Cass. n. 14528 del 2000), alla stregua del quale deve considerarsi
ammissibile una pertinenza in comunione al servizio di più immobili appartenenti in
proprietà esclusiva ai condomini della pertinenza stessa, dal momento che
l’asservimento reciproco del bene comune (accessorio) consente di ritenere
implicitamente sussistente la volontà dei comproprietari di vincolare i beni accessori
comuni a favore delle rispettive proprietà esclusive (beni principali).

3. Con il terzo motivo le ricorrenti hanno dedotto un ulteriore vizio di omessa, insufficiente
ed incongrua motivazione della sentenza impugnata circa il fatto controverso e decisivo ai
fini del giudizio relativo alla situazione possessoria e all’utilizzazione dell’area antistante la
villa Cavallo.
8

manutenzione delle aree ritenute comuni.

3.1. Anche questa censura non è meritevole di pregio e va disattesa.
In primo luogo deve evidenziarsi che manca l’indicazione di una congrua ed autonoma
sintesi delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renderebbe
inidonea a giustificare la decisione, onde, per questo verso, la doglianza si profila — ai sensi
dell’art. 366 bis c.p.c. — propriamente inammissibile.

contraddittorietà della motivazione, poiché — per quanto già esplicitato in ordine alla
seconda censura — la Corte territoriale ha idoneamente e logicamente giustificato il proprio
percorso argomentativo sulla scorta delle illustrate risultanze documentali e degli esiti
complessivi delle prove orali, dai quali ha tratto ulteriore conforto circa la condominialità
delle aree controverse in virtù dell’esercizio di fatto realizzato da parte dei condomini stessi.
Del resto è risaputo che il vizio di omessa o errata motivazione deducibile in sede di
legittimità sussiste solo se nel ragionamento del giudice del merito, quale risulti dalla
sentenza, sia riscontrabile il deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può,
invece, consistere in un apprezzamento in senso difforme da quello preteso dalla parte
perché l’art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c. non conferisce alla Corte di legittimità il potere
di riesaminare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logicoformale e della correttezza giuridica, l’analisi e la valutazione fatte dal giudice del merito al
quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento e, in proposito, valutare
le risultanze processuali, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliendo, tra le
stesse, quelle ritenute più idonee per la decisione.
4. Con il quarto ed ultimo motivo le ricorrenti hanno denunciato la supposta violazione e
falsa applicazione degli artt. 112 e 346 c.p.c., congiuntamente al vizio di omesso esame del
fatto controverso e decisivo della causa riguardante la pluriventennale situazione
possessoria delle aree in questione, in capo a Cavallo Maria e, poi, a Cavallo Benedetta, e
alla conseguente intervenuta usucapione delle aree medesime. Quanto alla dedotta
9

Il motivo si prospetta, invece, infondato con riferimento all’assunta omissione o

violazione di legge risulta formulando il seguente quesito di diritto: “dica la Suprema Corte
se il mancato esame da parte della Corte di appello di Genova della domanda (di
usucapione) formulata dalla parte in primo grado, e richiamata nella comparsa di risposta di
appello, viola le disposizioni di cui agli artt. 112 e 346 c.p.c.”.

4.1. Anche quest’ultima censura è priva di fondamento e deve essere rigettata.

ritualmente riproposto in appello la domanda (o, comunque, l’eccezione) di usucapione,
essendosi la stessa limitata — con la comparsa di risposta e di costituzione depositata in
secondo grado (esaminabile anche in questa sede in virtù della natura processuale del
vizio denunciato) — a richiedere il rigetto dell’appello, con vittoria di spese, diritti e d onorari
del giudizio (senza, peraltro, formulate propriamente alcun appello incidentale).
A tal proposito bisogna sottolineare (cfr., ad es., Cass. n. 10796 del 2009 e Cass. n. 5735
del 2011) che, in materia di procedimento civile, in mancanza di una norma specifica
sulla forma nella quale l’appellante che voglia evitare la presunzione di rinuncia ex
art. 346 c.p.c. deve reiterare le domande e le eccezioni non accolte in primo grado
(così come la parte vittoriosa in primo grado con riferimento alle domande od
eccezione respinte, anche implicitamente, con la sentenza impugnata), se è pur vero
che queste possono essere riproposte in qualsiasi forma idonea ad evidenziare la
volontà di riaprire la discussione e sollecitare la decisione su di esse, è altrettanto
vero che, ancorché libera da forme, la riproposizione deve essere fatta in modo
specifico, non essendo al riguardo sufficiente un generico richiamo alle difese
svolte ed alle conclusioni precisate davanti al primo giudice (come verificatosi nel

caso di specie laddove, nel corpo dell’atto costitutivo della Cavallo Benedetta, si legge
“richiamate tutte le difese esposte in primo grado…” e, al termine dello stesso, si conclude

nel seguente modo: “voglia la Corte respingere l’appello proposto con vittoria di spese,
diritti ed onorai-f’).
10

Invero, la Corte territoriale ha correttamente ritenuto che la Cavallo Benedetta non aveva

5. In definitiva, alla stregua delle complessive ragioni esposte, il ricorso deve essere
integralmente respinto, con la conseguente condanna delle soccombenti ricorrenti (con
vincolo solidale) al pagamento — in favore delle parti controricorrenti, in via fra loro solidale
– delle spese della presente fase di legittimità, che si liquidano nei sensi di cui in
dispositivo sulla scorta dei nuovi parametri previsti per il giudizio di legittimità dal D.M.

stesso D.M.: cfr. Cass., S.U., n. 17405 del 2012).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti, con vincolo solidale, al pagamento – in
favore della parti controricorrenti, in via fra loro solidale – delle spese del presente giudizio
di legittimità, liquidate in complessivi euro 3.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre
accessori nella misura e sulle voci come per legge.

Così deciso nella camera di consiglio della 2” Sezione civile in data 13 novembre 2013.

Giustizia 20 luglio 2012, n. 140 (applicabile nel caso di specie in virtù dell’art. 41 dello

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