Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27301 del 29/12/2016


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Cassazione civile, sez. trib., 29/12/2016, (ud. 13/10/2016, dep.29/12/2016),  n. 27301

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 8727/2014 R.G. proposto da:

C.M., rappresentata e difesa dall’Avv. Ettore Preziuso

del foro di Foggia ed elettivamente domiciliata in Roma, viale

Gorizia, n. 51, nello studio dell’Avv. Ferruccio Zannini, giusta

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, entrambi

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Liguria, n. 98/8/2014, depositata il 30/01/2014;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13

ottobre 2016 dal Relatore Cons. Emilio Iannello;

udito per la ricorrente l’Avv. Ferruccio Zannini;

udito l’Avvocato dello Stato Paolo Gentili per la ricorrente

incidentale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.ssa

Soldi Anna Maria, la quale ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con atto notificato nell’anno 2010 l’Agenzia delle entrate irrogava a C.M. la sanzione di Euro 1.671.208,35 per la violazione della disciplina sul monitoraggio fiscale di cui al D.L. 28 giugno 1990, n. 167, convertito, con modificazioni, in L. 4 agosto 1990, n. 227: violazione contestata per avere, negli anni d’imposta 2005 e 2006, detenuto investimenti all’estero (per un ammontare complessivamente pari, secondo l’ufficio, a Euro 5.347.866,73, in massima parte rappresentati da partecipazioni societarie conferite in trust che l’ufficio riteneva simulato) senza provvedere alla loro apposita segnalazione nella annuale dichiarazione dei redditi (quadro RW).

2. Il ricorso avverso tale atto proposto era parzialmente accolto dalla C.T.P. di Genova per effetto della riduzione (da Euro 15.000,00 a Euro 10.000,00) dell’importo della accertata partecipazione nella società estera Automobile S.A., con la conseguente riduzione delle sanzioni applicate in misura proporzionale al minor reddito accertato.

3. Con sentenza depositata in data 30/1/2014 la C.T.R. della Liguria, in parziale accoglimento dell’appello della contribuente, riduceva ulteriormente il reddito sul quale calcolare la sanzione (fissato nell’importo di Euro 4.161.814,00) oltre che la misura percentuale della stessa (determinata nel 6%, percentuale minima prevista dal D.L. n. 167 del 1990, art. 5, comma 2 come modificato dalla L. 6 agosto 2013, n. 97, art. 9, comma 4).

4. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso C.M. articolando cinque motivi; ha proposto altresì successivo ricorso l’Agenzia delle entrate, sulla base di due motivi.

Per resistere ai rispettivi ricorsi, entrambe le parti hanno depositato controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

5. Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., in quanto proposti avverso la medesima sentenza.

E’ appena il caso al riguardo di precisare che, secondo indirizzo consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, l’impugnazione proposta per prima assume caratteri ed effetti d’impugnazione principale e determina la costituzione del procedimento, nel quale debbono confluire, con natura ed effetti di impugnazioni incidentali, le successive impugnazioni proposte contro la medesima sentenza dalle altre parti soccombenti, con la conseguenza che il ricorso per cassazione, validamente ed autonomamente proposto dopo che altro ricorso sia stato già notificato ad iniziativa della controparte, si converte, riunito a questo, in ricorso incidentale, semprechè siano stati rispettati i relativi termini: condizione nel caso di specie certamente sussistente (v. da ultimo, ex multis, Cass., Sez. 5, n. 16221 del 16/07/2014, Rv. 632074; Sez. 3, n. 26723 del 13/12/2011, Rv. 620671).

6. Con il primo motivo del proprio ricorso la contribuente deduce “nullità della sentenza per totale assenza di motivazione e in subordine “motivazione del tutto insufficiente”” – in relazione alla determinazione dell’importo dei redditi di cui si contesta l’omessa indicazione nel quadro RW della dichiarazione per l’anno 2006.

Lamenta che la C.T.R. ha considerato “valida la ricostruzione di cui al prospetto n. 3, effettuata sulla base della documentazione societaria presentata in Agenzia delle entrate in data 10/11/2010” senza spiegare le ragioni per cui ha invece escluso l’attendibilità della più favorevole ricostruzione della base imponibile dedotta da essa ricorrente in altro prospetto (n. 4), nel quale era esclusa da tale base quanto conferito tramite intermediario abilitato.

7. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 16 nonchè “difetto di motivazione e/o motivazione insufficiente”, in relazione alla omessa indicazione nell’atto di contestazione dei fatti attribuiti al trasgressore, degli elementi probatori, delle norme applicate, dei criteri che l’ufficio ha ritenuto di seguire per la determinazione delle sanzioni e della loro entità.

8. Con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, artt. 5 e 7 nonchè “difetto di motivazione e/o motivazione insufficiente”, per avere la C.T.R. omesso di spiegare le ragioni per cui ha ritenuto di non applicare nel caso di specie le invocate norme di favore contenute nelle succitate disposizioni, tali da escludere l’applicabilità delle sanzioni ovvero consentirne la riduzione fino alla metà del minimo.

9. Con il quarto motivo la contribuente deduce ancora violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6 nonchè “difetto di motivazione e/o motivazione insufficiente”, in relazione al mancato riconoscimento della sussistenza dei presupposti per l’esenzione dalle sanzioni applicate, in considerazione della incertezza normativa oggettiva all’epoca dei fatti sussistente circa i redditi da indicare nel quadro RW della dichiarazione.

10. Con il quinto motivo la contribuente, infine, deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost.; manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione; violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 2, lett. u, dell’allegato tecnico del D.Lgs. n. 231 del 2007; nonchè violazione e falsa applicazione della L. 6 agosto 2013, n. 97, art. 9, per avere la C.T.R. confermato la legittimità delle sanzioni, sebbene ridotte al minimo, pur avendo in premessa riconosciuto che il conferimento in trust di alcune proprie partecipazioni non era un negozio simulato, così omettendo di considerare che in tal caso essa contribuente, non avendo più la titolarità dei beni conferiti, non poteva considerarsi tenuta alla esposizione dei medesimi nel quadro RW e che il relativo obbligo ricadeva sui beneficiari.

5.1. Lamenta inoltre la ricorrente, in via gradata, l’omessa considerazione della documentazione versata in atti dalla quale emergeva che i beneficiari avevano assolto l’obbligo della indicazione dei beni esteri e che questi erano posseduti dal trustee in Lussemburgo e non in Liechtenstein come erroneamente ed immotivatamente ritenuto dai giudici a quibus.

Richiama al riguardo la circolare n. 38/E del 23 dicembre 2013 a mente della quale, nel caso di trust che gestisce attivamente partecipazioni in società, dal punto di vista fiscale la sede del trust va individuata in quella delle società partecipate (nel caso di specie tutte lussemburghesi), discendendone da ciò che, non essendo il Lussemburgo paese inserito nella c.d. black list dei Paesi a fiscalità privilegiata, l’eventuale sanzione applicabile sarebbe stata quella ridotta compresa tra il 3% e il 15%, in vigore dal 4 settembre 2013.

11. Con il primo motivo del ricorso incidentale l’Agenzia delle entrate denuncia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, – carenza assoluta di motivazione e violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36 nonchè violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la C.T.R. ridotto la sanzione al minimo per la ritenuta sussistenza di un rapporto collaborativo della contribuente che, però: da un lato, non è in alcun modo illustrato nella motivazione, da ritenersi sul punto, pertanto, secondo la ricorrente, meramente apparente; dall’altro non era stato nemmeno dedotto dalla contribuente, che aveva diversamente giustificato la propria domanda di riduzione della sanzione affermando l’assenza di dolo.

12. Con il secondo motivo la ricorrente incidentale deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 7 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. attribuito rilievo, ai fini del riconoscimento del beneficio predetto, alla risposta data al questionario, nonchè ai dati e alle informazioni forniti in sede di contraddittorio ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32 e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51 che invece costituivano l’assolvimento di un preciso onere posto a carico del contribuente nel corso della verifica fiscale e non certo, secondo la ricorrente, elemento ulteriore e specifico suscettibile di essere valorizzato ai fini della determinazione della sanzione.

13. I motivi tutti dedotti con il ricorso principale sono inammissibili laddove deducono vizio motivazionale con riferimento alla previsione – e in relazione dunque ai requisiti contenutistici – di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione previgente alla modifica introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1 lett. b),convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134: norma – quella previgente – non applicabile nel caso in esame, essendo questo soggetto, ratione temporis, alla nuova disciplina.

Difetta invero in ciascuno dei detti motivi, e con riferimento ai diversi temi da ciascuno di essi trattati, la specifica indicazione del “fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, il cui “esame” sarebbe stato “omesso” dal giudice a quo; tanto meno sono individuabili nelle critiche svolte i requisiti al riguardo richiesti da Cass., Sez. U, n. 8054 del 2014, inammissibilmente richiedendosi, infatti, dalla ricorrente, l’esame o la nuova valutazione di elementi istruttori (motivi primo e quinto, seconda parte), ovvero denunciandosi la mera insufficienza o contraddittorietà dell’apparato argomentativo (motivi secondo, terzo, quarto e quinto, prima parte).

14. Le restanti censure, con le quali, sia nel ricorso principale che in quello incidentale, si prospettano errores in procedendo o in iudicando, si appalesano infondate.

14.1. Palesemente infondate sono anzitutto le censure svolte da ambo le parti – con riferimento a diversi temi e con intenti ovviamente contrapposti – di nullità della sentenza per mancanza di motivazione (primo motivo del ricorso principale e primo motivo di quello incidentale).

Sotto entrambi i profili trattati una motivazione invero esiste e non è meramente apparente, consentendo la stessa di comprendere il percorso logico seguito dai giudici d’appello nel giungere alla decisione impugnata.

In entrambi i casi invero la C.T.R. indica le ragioni in fatto e in diritto poste a fondamento della propria decisione (attendibilità del prospetto n. 3 prodotto dalla stessa ricorrente ai fini della ricostruzione dei redditi non dichiarati; “collaborazione prestata all’ufficio da parte della contribuente” ai fini della riduzione al minimo delle sanzioni applicate), mentre le censure su entrambi i punti svolte attengono esclusivamente alla adeguatezza della giustificazione di tale convincimento, ossia alla sufficienza e logicità della motivazione, come detto non più suscettibile di sindacato in cassazione ai sensi della novellata previsione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Con riferimento alla commisurazione delle sanzioni varrà peraltro rammentare che, secondo incontrastato indirizzo di questa Corte, cui si intende qui dare continuità, ove la norma indichi un minimo e un massimo della sanzione, spetta al potere discrezionale del giudice determinarne l’entità entro tali limiti, allo scopo di commisurarla alla gravità del fatto concreto, globalmente desunta dai suoi elementi oggettivi e soggettivi. Peraltro, il giudice non è tenuto a specificare nella sentenza i criteri adottati nel procedere a detta determinazione, nè la Corte di cassazione può censurare la statuizione adottata ove tali limiti siano stati rispettati e dal complesso della motivazione risulti che quella valutazione è stata compiuta (v. Sez. 5, n. 9255 del 17/04/2013, Rv. 626333; Sez. 1, n. 5877 del 24/03/2004, Rv. 571480).

14.2. Manifestamente infondata è, poi, ancora con riferimento alla operata riduzione al minimo delle sanzioni applicate, la censura di ultrapetizione (primo motivo, seconda parte, del ricorso incidentale), ricavandosi dalla trascrizione delle conclusioni dell’atto d’appello della contribuente, contenuta nel ricorso della stessa Agenzia, la richiesta di “riduzione della sanzione ai sensi e per gli effetti del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 7 alla luce dell’esemplare atteggiamento assunto dal contribuente…”.

14.3. L’infondatezza poi delle restanti censure ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, discende dalle seguenti considerazioni.

Quella di cui al quinto motivo del ricorso principale, di rilievo preliminare e potenzialmente assorbente, è infondata in quanto l’affermazione (contenuta in sentenza) della natura non fittizia ma reale del conferimento in trust delle partecipazioni societarie non esclude di per sè che la conferente rimanga comunque beneficiaria effettiva delle partecipazioni medesime e come tale tenuta, ai sensi del D.L. n. 167 del 1990, art. 4 alla loro segnalazione nella dichiarazione dei redditi.

Secondo la citata disposizione, comma 1, nel testo vigente ratione temporis, “le persone fisiche, gli enti non commerciali, e le società semplici ed equiparate ai sensi del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5 residenti in Italia che al termine del periodo d’imposta detengono investimenti all’estero ovvero attività estere di natura finanziaria, attraverso cui possono essere conseguiti redditi di fonte estera imponibili in Italia, devono indicarli nella dichiarazione dei redditi”.

L’interpretazione di tale norma nella giurisprudenza di legittimità è sempre stata nel senso che tale obbligo ricada non solo sugli intestatati formali di investimenti o attività di natura finanziaria all’estero, ma anche sul “beneficiario effettivo” nonchè “tenuto conto della ratio della previsione normativa, (su) colui che, all’estero, abbia la disponibilità di fatto di somme di danaro non proprie, con il compito fiduciario di trasferirle all’effettivo beneficiario” (v. Sez. 5, n. 9320 del 11/06/2003, Rv. 564119; Sez. 5, n. 10332 del 07/05/2007, Rv. 599038; Sez. 5, n. 17051 del 21/07/2010, Rv. 614445; Sez. 5, n. 26848 del 18/12/2014, Rv. 633711).

Tale interpretazione ha trovato peraltro ancor più chiara conferma nel dato positivo, per effetto della modifica apportata alla citata norma dalla L. 6 agosto 2013, n. 97, art. 9, comma 1 lett. c (in parte qua pertanto non avente portata innovativa), attraverso l’aggiunta del seguente periodo: “sono altresì tenuti agli obblighi di dichiarazione i soggetti indicati nel precedente periodo che, pur non essendo possessori diretti degli investimenti esteri e delle attività estere di natura finanziaria, siano titolari effettivi dell’investimento secondo quanto previsto dall’allegato tecnico del D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231, art. 1, comma 2, lett. u)”.

La nozione di titolare effettivo prescinde dal carattere simulato del conferimento in trust, potendo benissimo sussistere anche in caso di negozio reale e ricavandosi solo dalle modalità con le quali il trust è configurato, da come sono pattiziamente disciplinati i poteri delle parti e dagli interessi sottostanti.

Ne discende che non è ravvisabile la denunciata violazione di legge per il solo fatto che la stessa sia stata applicata in una fattispecie in cui le partecipazioni in società estere sono state conferite in trust, ciò di per sè non valendo ad escludere il presupposto dell’obbligo violato, rappresentato come detto della detenzione (effettiva) in capo alla conferente dei conferimenti medesimi.

Le contestazioni afferenti alla natura di detto negozio (trust) e agli effetti che esso nel caso di specie avrebbe prodotto con riferimento alla effettiva disponibilità o meno in capo alla conferente dei beni, attengono evidentemente alla ricognizione della fattispecie e sfuggono pertanto al sindacato di legittimità per debordare piuttosto sul merito o sulla motivazione in punto di fatto addotta in sentenza, temi preclusi in questa sede tanto più in considerazione dei visti più incisivi limiti al riguardo dettati dalla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

14.4. Le censure (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) di cui ai motivi secondo e terzo del ricorso principale e secondo del ricorso incidentale sono poi inammissibili.

Non viene infatti indicata, nè è dato desumere, l’affermazione in diritto contenuta nella sentenza gravata – o comunque la regula iuris applicata – che si assume in contrasto con le norme che si pretendono violate.

Anche in tal caso, a ben vedere, le contestazioni mosse afferiscono più propriamente alla giustificazione offerta in sentenza della commisurazione delle sanzioni applicate e, sotto tale profilo, vanno incontro pertanto agli stessi motivi di inammissibilità già sopra evidenziati.

14.5. Quanto infine al quarto motivo del ricorso principale, occorre rammentare che, secondo costante indirizzo, in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, l’incertezza normativa oggettiva che, ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 8, D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, comma 2 e della L. 2 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 3, costituisce causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, richiede una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazione normativa, riferibile non già ad un generico contribuente, o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata (studiosi, professionisti legali, operatori giuridici di elevato livello professionale), e tanto meno all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione (cfr. Cass. Sez. 5, n. 24670 del 28/11/2007; Sez. 5, n. 2192 del 16/02/2012; Sez. 5, n. 18434 del 26/10/2012; Sez, 6 – 5, Ord. n. 3245 del 11/02/2013; Sez. 5, n. 4522 del 22/02/2013).

In altre parole, come è stato detto, “l’incertezza normativa oggettiva tributaria”, che consente di non applicare le sanzioni, “è la situazione giuridica oggettiva, che si crea nella normazione per effetto dell’azione di tutti i formanti del diritto, tra cui in primo luogo, ma non esclusivamente, la produzione normativa, e che è caratterizzata dall’impossibilità, esistente in sè ed accertata dal giudice, d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie ultima o, se si tratta del giudice di legittimità, del fatto di genere già categorizzato dal giudice di merito”, quindi in “senso oggettivo” (con conseguente esclusione di “qualsiasi rilevanza sia delle condizioni soggettive individuali sia delle condizioni soggettive categoriali” atteso che “l’incertezza normativa, in quanto esiste in sè, opera nei confronti di tutti”): “l’incertezza normativa oggettiva”, pertanto, “non ha il suo fondamento nell’ignoranza giustificata, ma nell’impossibilità, abbandonato lo stato d’ignoranza, di pervenire comunque allo stato di conoscenza sicura della norma giuridica tributaria” (Cass., Sez. 5, n. 19638 del 11/09/2009).

Inoltre, trattandosi di un’esimente prevista dalla legge a favore del contribuente, l’onere di allegare la ricorrenza di siffatti elementi di confusione, qualora effettivamente esistenti, grava sul contribuente secondo le regole generali in materia di onere della prova (art. 2697 c.c.).

Nel caso di specie non sono individuabili contrasti giurisprudenziali – nè la ricorrente ne fa specifica menzione – in ordine alla interpretazione delle norme applicabili alla fattispecie e, segnatamente, in ordine alla individuazione dei soggetti tenuti alla indicazione, in dichiarazione, delle attività detenute all’estero (potendosi anzi far riferimento al riguardo, come s’è visto, a un indirizzo interpretativo costante e radicato nel tempo, almeno a far data dal 2003).

15. In definitiva, entrambi i ricorsi vanno rigettati.

La reciproca soccombenza giustifica l’integrale compensazione delle spese processuali.

A norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 applicabile nel presente procedimento ratione temporis, “quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.

Di tanto, nella specie, va dato atto con riferimento alla ricorrente principale, non anche invece con riferimento all’amministrazione ricorrente incidentale, ancorchè anch’essa soccombente.

Come chiarito, infatti, da questa Corte, con ferma giurisprudenza, nei casi di impugnazione respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile, l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. cit., un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (Sez. 6 – L, Ord. n. 1778 del 29/01/2016, Rv. 638714; v. anche Sez. U, n. 9938 del 08/05/2014; Sez. 3, n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550).

PQM

La Corte rigetta entrambi i ricorsi e compensa per intero tra le parti le spese processuali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2016

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