Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27301 del 07/10/2021

Cassazione civile sez. VI, 07/10/2021, (ud. 16/03/2021, dep. 07/10/2021), n.27301

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7925-2020 proposto da:

G.C., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’Avvocato GIUSEPPE AIELLO;

– ricorrente –

contro

INTESA SAN PAOLO SPA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, V. SILVIO PELLICO 24,

presso lo studio dell’Avvocato FEDERICO TELA, rappresentata e difesa

dall’Avvocato ERMANNO SANTAMARIA AMATO;

– controricorrente –

contro

B.C.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2118/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 06/11/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata 16/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. STEFANO GIAIME

GUIZZI.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

– che G.C. ricorre, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 2118/19, del 6 novembre 2019, della Corte di Appello di Catanzaro, che – respingendo il gravame dallo stesso esperito, in via di principalità, contro la sentenza n. 992/17, del 27 giugno 2017, del Tribunale di Catanzaro ed accogliendo, invece, quello incidentale di B.C., che lamentava la disposta compensazione delle spese del primo grado di giudizio ha rigettato la domanda, proposta dall’odierno ricorrente, di condanna della società Neos Finance S.p.a. (poi divenuta Intesa San Paolo S.p.a) e della B. a risarcirgli il danno da indebita segnalazione alla Centrale Rischi di Intermediazione Finanziaria;

– che il ricorrente riferisce, in punto di fatto, di aver agito, ai sensi dell’art. 2043 c.c., per vedere condannati la società Neos Finance e la B. al risarcimento del danno morale e patrimoniale cagionatogli dall’avvenuta segnalazione del suo nominativo alla CRIF, in relazione ad un finanziamento concesso dalla predetta società per l’acquisto di un elettrodomestico effettuato falsamente a suo nome presso l’esercizio commerciale della donna;

– che il giudice di prime cure rigettava la domanda, rilevando sia l’assenza di prova del danno lamentato, sia del nesso di causa tra le condotte imputate alle convenute e i pregiudizi asseritamente subiti;

– che il giudice di appello – pur affermando che non costituiva oggetto di specifica contestazione l’illegittimità delle informazioni fornite da Neos Finance alla CRIF – rigettava l’appello principale dell’attore soccombente (accogliendo, invece, quello incidentale della B., in relazione alle spese di lite);

– che avverso la sentenza della Corte catanzarese ricorre per cassazione il G., sulla base – come detto – di tre motivi;

– che il primo motivo denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – omessa pronuncia su un motivo di gravame, con il quale era stato fatto valere il fraudolento utilizzo di documenti falsificati, e ciò quantunque la B. avesse, nella propria comparsa di risposta, ammesso “candidamente la propria responsabilità, sia pure in concorso con Neos Finance”, riconoscendo di essersi messa in sospetto dopo la firma del contratto di finanziamento, giacché i documenti di riconoscimento del sedicente G. apparivano irregolari;

– che il secondo motivo denuncia – sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – “violazione ed omessa applicazione” degli artt. 2043 e 2059 c.c., censurando la sentenza impugnata sia nella parte in cui afferma che, in presenza di fraudolento utilizzo di dati personali e di illegittima iscrizione nei sistemi di informazione creditizia, un imprenditore – come si qualifica il G. – “debba provare il “quantum” del danno alla reputazione personale e commerciale”, sia nella parte in cui sostiene “l’assurda pretesa che l’illegittima iscrizione personale negativa” non abbia “avuto ripercussioni su tutta l’attività commerciale” dell’odierno ricorrente;

– che il terzo motivo denuncia “violazione ed omessa applicazione” dell’art. 2056 c.c., “pur sussistendone i presupposti”, lamentando che la liquidazione equitativa del danno sarebbe potuta avvenire sulla base dei “documenti elencati ai nn. 2 e 7 del fascicolo di parte ed illustrati ai punti a) c) e) dell’atto di appello”;

– che ha resistito all’impugnazione, con controricorso, la società Intesa San Paolo chiedendo che lo stesso venga dichiarato inammissibile o comunque rigettato;

– che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio per il 16 marzo 2021;

– che la controricorrente ha depositato memoria, insistendo nelle proprie argomentazioni.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

– che il ricorso è inammissibile in ciascuno dei tre motivi in cui si articola;

– che a tale esito conduce, innanzitutto, la constatazione che nessuno di essi coglie e contrasta efficacemente la “ratio decidendi” della sentenza impugnata, che è il difetto di prova non del cd. C” quantum debeatur”, bensì dell’esistenza stessa del danno risarcibile, circostanza, comunque, da provarsi – anche quando sia acclarata l’illiceità della condotta – da parte della vittima dell’indebita segnalazione;

– che deve, pertanto, farsi applicazione del principio secondo cui la “proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al “decisum” della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., n. 4), con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio” (cfr. Cass. Sez. 6-1, ord. 7 settembre 2017, n. 20910, Rv. 645744-01, in senso conforme, Cass. Sez. 6-3, ord. 3 luglio 2020, n. 13735, Rv. 658411-01);

– che, in ogni caso, ciascun motivo presenta ulteriori profili di inammissibilità;

– che, difatti, il primo motivo – lamentando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1), n. 5), che il giudice di appello non si sarebbe pronunciato su uno specifico motivo di gravame (con il quale era stato fatto valere il fraudolento utilizzo di documenti falsificati) – è comunque inammissibile, in ragione del fatto che “l’omessa pronuncia su un motivo di appello integra la violazione dell’art. 112 c.p.c. e non già l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, in quanto il motivo di gravame non costituisce un fatto principale o secondario, bensì la specifica domanda sottesa alla proposizione dell’appello, sicché, ove il vizio sia dedotto come violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nel testo riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, il motivo deve essere dichiarato inammissibile” (così, tra le altre, Cass. Sez. 6-3, ord. 16 marzo 2017, n. 6835, Rv. 643679-01; in senso analogo anche Cass. Sez. 6-1, ord. 12 ottobre 2017, n. 23930, Rv. 646046-01);

– che pure il secondo motivo è inammissibile, dal momento che la sentenza impugnata si è conformata ai principi enunciati dalla giurisprudenza di questa Corte;

– che, infatti, in “materia di responsabilità civile, il danno all’immagine ed alla reputazione (nella specie, “per illegittima segnalazione alla Centrale Rischi”), in quanto costituente “danno conseguenza”, non può ritenersi sussistente “in re ipsa”, dovendo essere allegato e provato da chi ne domanda il risarcimento” (Cass. Sez. 6-3, ord. 28 marzo 2018, n. 7594, Rv. 648443-01);

– che, analogamente, deve formare oggetto di specifica dimostrazione anche il danno patrimoniale da segnalazione indebita, sebbene esso sia suscettibile anche di prova presuntiva (che, nel caso di un imprenditore – ma, nel giudizio di merito, non vi è stata allegazione e prova che il G. lo sia – può investire “un peggioramento della sua affidabilità commerciale, essenziale anche per l’ottenimento e la conservazione dei finanziamenti, con lesione del diritto ad operare sul mercato secondo le regole della libera concorrenza”; così, in motivazione, Cass. Sez. 1, sent. 9 luglio 2014, n. 15609, Rv. 631843-01; in senso analogo anche Cass. Sez. 3, ord. 10 febbraio 2020, n. 3133, Rv. 657144-01), potendo, invece, consistere, per un qualsiasi altro soggetto, anche nella dimostrazione della maggiore difficoltà nell’accesso al credito;

– che, nondimeno, la verifica dell’esistenza dell’uno come dell’altro tipo di danno (quello “reputazionale” e quello propriamente patrimoniale), forma oggetto di apprezzamento devoluto al giudice di merito, non suscettibile di sindacato in sede di legittimità, allorché si censuri la sentenza impugnata – come ha inteso ribadire il ricorrente anche nella memoria ex art. 380-bis c.p.c. – per “l’omessa valutazione dei documenti allegati”;

– che, pertanto, tale essendo il contenuto della censura che investe la sentenza impugnata per aver escluso l’esistenza del danno (e ciò assumendo il ricorrente di aver documentato il diniego di almeno un finanziamento in proprio favore), essa non può nemmeno astrattamente integrare “violazione ed omessa applicazione” degli artt. 2043 e 2059 c.c.;

– che deve, invero, ribadirsi che il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) “consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità” (da ultimo, “ex multis”, Cass. Sez. 1, ord. 13 ottobre 2017, n. 24155, Rv. 645538-03; Cass. Sez. 1, ord. 14 gennaio 2019, n. 640, Rv. 65239801; Cass. Sez. 1, ord. 5 febbraio 2019, n. 3340, Rv. 652549-02; cfr. anche, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 26 febbraio 2021, n. 5442), e ciò in quanto il vizio di sussunzione “postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso, sicché è estranea alla denuncia del vizio di sussunzione ogni critica che investa” – come nel caso che occupa – la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito” (Cass. Sez. 3, ord. 13 marzo 2018, n. 6035, Rv. 648414-01);

– che, infine, l’inammissibilità del terzo motivo – che lamenta violazione dell’art. 1226 c.c. – discende dal fatto che “l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., espressione del più generale potere di cui all’art. 115 c.p.c., dà luogo non già ad un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa; esso, pertanto, da un lato è subordinato alla condizione che per la parte interessata risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, provare il danno nel suo ammontare, e dall’altro non ricomprende l’accertamento del pregiudizio della cui liquidazione si tratta, presupponendo già assolto l’onere della parte di dimostrare la sussistenza e l’entità materiale del danno” (da ultimo, Cass. Sez. 2, sent. 22 febbraio 2018, n. 4310, Rv. 647811-01; in senso conforme Cass. Sez. 3, sent. 30 luglio 2020, n. 16344, Rv. 658986-01), onere che la sentenza ha ritenuto, invece, non assolto, donde, nuovamente, l’inammissibilità della censura che lamenta l’omessa considerazione di documenti che avrebbero, invece, consentito tale liquidazione in via di equità;

– che il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile;

– che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;

– che in ragione della declaratoria di inammissibilità del ricorso va dato atto – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso, condannando G.C. a rifondere alla società Intesa San Paolo S.p.a. le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 3.000,00, più Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2021

 

 

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