Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2730 del 06/02/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 2730 Anno 2014
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: MIGLIUCCI EMILIO

SENTENZA

sul ricorso 20250-2011 proposto da:
CARLINO FRANCESCA CRLFNC31M541725D, elettivamente
domiciliata in ROMA, V.GIACOMO BONI 1, presso lo
studio dell’avvocato BELLOCCO FRANCESCA, rappresentata
e difesa dagli avvocati PIRROTTINA CARMELA, VITTORIA
DENARO;
– ricorrente –

2013
2586

contro

FRAGOMENI GIUSEPPA, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA CARLO MIRABELLO 26, presso lo studio dell’avvocato
ANTICO GIUSEPPE, rappresentata e difesa dall’avvocato

Data pubblicazione: 06/02/2014

ROMEO ANNA MARIA;

controricorrente

avverso la sentenza n. 395/2010 della CORTE D’APPELLO
di REGGIO CALABRIA, depositata il 02/12/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

MIGLIUCCI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. VINCENZO GAMBARDELLA che ha concluso
per l’accoglimento del terzo motivo del ricorso per
quanto di ragione.

udienza del 11/12/2013 dal Consigliere Dott. EMILIO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- Il tribunale di Locri rigettava la domanda con la quale
Giuseppa Fragomeni, comproprietaria di un immobile concesso in
comodato alla convenuta Francesca Carlino, ne aveva chiesto il

riconvenzionale con la quale quest’ultima aveva chiesto la
declaratoria di acquisto per usucapione sul rilievo che, pur
essendo emerso il possesso della convenuta, la domanda era
stata proposta nei confronti soltanto di uno dei
comproprietari.
Con sentenza dep. il 2 dicembre 2010 la Corte di appello di Reggio
Calabria, in riforma della decisione impugnata dall’attrice,
accoglieva la domanda proposta da quest’ultima.
I Giudici premettevano che era passata in giudicato, perché non
impugnata dalla convenuta, rimasta contumace in appello, la sentenza,
laddove aveva rigettato la domanda di usucapione, pur evidenziando la
erroneità della decisione che avrebbe dovuto disporre l’integrazione del
contraddittorio nei confronti degli altri comproprietari che non avevano
partecipato al giudizio; ritenevano provata la esistenza di un contratto
di comodato sulla base delle dichiarazioni rese dai testimoni indicati
dall’attrice che – in relazione al thema decidendum e al passaggio in
giudicato della decisione di rigetto della domanda di usucapione – erano
ritenuti maggiormente credibili rispetto a quelli indicati dalla
convenuta, i quali avevano riferito di un possesso esclusivo del fondo
dalla medesima utilizzato per tenervi il gregge : i primi avevano fatto

rilascio, oltre al risarcimento dei danni; rigettava la

riferimento a un rapporto di comodato nel contesto del quale la convenuta
forniva una volta all’anno formaggio e ricotta, mentre nessun titolo per
giustificare la detenzione del bene poteva opporre la predetta
all’attrice .

Carlino sulla base di sei motivi.
Resiste con controricorso l’intimata.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. – Il primo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione
degli artt.100 e 116 cod.proc. civ. nonché omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione su un fatto decisivo della controversia,
deduce che la sentenza impugnata aveva omesso di pronunciarsi sulla
denunciata carenza di legittimazione attiva della Fragomeni, che era
stata eccepita dalla convenuta e che era comunque rilevabile di ufficio,
posto che la attrice non aveva provato un titolo originario di acquisto,
necessario per ottenere la restituzione del fondo.
1.2. – Il motivo è infondato.
Occorre innanzitutto chiarire che la legittimazione ad agire ed a
contraddire che, peraltro, neppure costituisce un presupposto
processuale ma una condizione dell’azione – si risolve nell’accertare
se, secondo la prospettazione dell’attore, quest’ultimo ed il convenuto
assumano la veste – rispettivamente – di soggetto che ha il potere di
chiedere la pronunzia giurisdizionale e di soggetto tenuto a subirla;
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2.- Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione Francesca

mentre attiene invece al merito della lite la questione relativa alla
reale titolarità attiva o passiva del rapporto sostanziale dedotto in
giudizio, che si risolve nell’accertamento di una situazione di fatto
favorevole all’accoglimento o al rigetto della pretesa azionata. Ne

caso in cui si faccia valere in via giurisdizionale un diritto
rappresentato come altrui od oggetto della propria sfera di azione e di
tutela, al di fuori del relativo modello legale tipico; laddove attiene
viceversa al merito della causa la controversia concernente la reale
titolarità del diritto sostanziale del diritto fatto valere in giudizio,
come appunto è avvenuto nella specie.
Ciò posto, la sentenza ha accertato il diritto dell’attrice,
comproprietaria iure hereditario dell’immobile de quo, ad ottenerne il
rilascio, avendo la medesima agito per la declaratoria di cessazione del
contratto di comodato in virtù del quale la convenuta deteneva il fondo
de quo: l’attrice ha in tal modo esperito un azione personale fondata sul
venir meno del rapporto contrattuale intercorso fra le parti; onere
dell’attrice era quello di dimostrare tale rapporto e non certo la
probatio diabolica

prevista per la diversa azione reale di

rivendicazione.
Qui occorre ricordare che il proprietario, il quale intenda ottenere
il rilascio del bene dato in comodato, può esperire sia l’azione di
rivendica sia quella contrattuale, dovendo peraltro la controversia
essere decisa con esclusivo riferimento al titolo dedotto
dall’interessato : in caso di azione contrattuale, l’attore ha l’onere di
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consegue che trattasi di questione di “legitimatio ad causam” nel (solo)

provare non la proprietà del bene, ma l’esistenza del contratto di
comodato, anche se il convenuto abbia sollevato un’eccezione di
usucapione in proprio favore, tale pretesa non essendo idonea a
trasformare in reale l’azione personale esercitata.

degli artt. 101,102 e 112 cod.proc. civ. nonché omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione su un fatto decisivo della controversia,
censura la sentenza per non avere dichiarato la nullità del giudizio,
posto che la rilevata non integrità del contraddittorio relativa alla
domanda riconvenzionale si estendeva alla domanda proposta dall’attrice,
attesa la interdipendenza fra le azioni e la identità di questioni.
2.2. – Il motivo è infondato.
Deve escludersi che la connessione esistente fra la domanda principale e
quella riconvenzionale desse luogo a un rapporto di interdipendenza o di
pregiudizialità tecnica atteso che la domanda principale che aveva
oggetto il diritto alla restituzione preteso dal comodante era basata su
presupposti autonomi e distinti (esistenza del comodato)tpoteva essere
decisa separatamente rispetto a quella, con cui la convenuta aveva
invocato l’acquisto ( a titolo originario) per usucapione e che non
aveva a oggetto un accertamento che costituisse anche l’antecedente
logico-giuridico indispensabile per decidere la domanda principale : una
volta che la domanda di usucapione non era stata coltivata – perché non
impugnata dalla interessata la sentenza che l’aveva rigettata –

2.

Giudici ben potevano limitarsi a verificare le sussistenza delle
condizioni richieste per l’accoglimento della domanda dell’attrice ovvero
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2.1. – Il secondo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione

del diritto azionato.
3.- Il terzo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione degli
artt. 112 e 346 cod. proc. civ., deduce che in ogni caso la sentenza
avrebbe dovuto esaminare l’eccezione di usucapione formulata dalla

l’esistenza del possesso esercitato dalla convenuta era stato accertato
dal tribunale.
3.2. Il motivo è infondato.
Qualora l’eccezione di usucapione sollevata in primo grado non sia stata
riproposta dall’appellato rimasto contumace, la questione non è
rilevabile d’ufficio dal giudice del gravame, atteso che, alla luce del
principio di parità delle parti nel processo e dell’effetto devolutivo
dell’appello, non può attribuirsi all’appellato contumace una posizione
di maggiore favore rispetto all’appellante ( Cass. 10236/2007).
4.1.- Il quarto motivo, lamentando violazione e falsa applicazione
degli artt. 184 nella formulazione vigente all’epoca e 247 cod. proc.
civ. nonchè omessa motivazione, censura la sentenza che aveva omesso di
considerare come i testimoni dell’attrice erano stati indicati per la
prima volta nel verbale del 18-11-1989 cioè successivamente all’udienza
per l’ammissione dei mezzi istruttori tenutasi ex art. 184 cod. pro civ.
Denuncia il rapporto di affinità e di parentela rispettivamente della
Cherubino e del Bagetta e che la prima era stata presente alla
precedente deposizione.
4.2.-

Il motivo va rigettato.

La eccezione relativa alla inosservanza delle norme per la indicazione
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convenuta per paralizzare l’azione proposta dall’attrice, quando

dei mezzi istruttori così come quella sull’assunzione

della prova

avrebbero dovuto essere riproposte in sede di appello ex art. 346 cod.
pro civ., dovendo per quest’ultima essere stata già proposta nel termine
di cui all’art. 157 cod. proc. civ.

di parentela o di affinità – che evidentemente non influisce sulla loro
capacità a testimoniare – è riservato al prudente apprezzamento del
giudice di merito.
5.1.- Il quinto motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 116
cod. proc. civ. e 1803 cod. civ. nonché omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione su un fatto decisivo della controversia)
denuncia la contraddittorietà della motivazione nella valutazione della
prova : a) la sentenza aveva affermato che era risultata la piena
prova dell’inesistenza di un qualsiasi rapporto eccezione fatta per
il mero comodato ma, proprio i testi di controparte avevano fornito
la prova del contrario; infatti, il teste Antico, consuocero
dell’attrice, il quale era ben a conoscenza dei luoghi, all’udienza
del 16.12.99 aveva dichiarato che tra le parti non esisteva alcun
rapporto dagli anni 50 dando così la prova piena che da tale data
in poi, certamente non era esistito alcun rapporto, perciò nemmeno di
comodato; b) in violazione dell’art.1803 cod. civ. aveva omesso di
considerare che il comodato è un contratto essenzialmente gratuito,
e, ciò nonostante aveva dato rilevanza decisiva alla deposizione della
Cherubino, la quale aveva riferito che la convenuta aveva portato
formaggio e ricotta per pagare in natura ;
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Il giudizio di attendibilità o meno dei testimoni legati da un rapporto

c)l’attrice avrebbe dovuto fornire la prova della scadenza del comodato
e dell’uso per il quale era stato concesso; il che non era avvenuto ;
d) era emerso ancora un possesso pubblico e pacifico in via esclusiva
esercitato dal 1949 prima dai genitori della Carlino alla avevano

ventennio.
5.2.- Il motivo è infondato.
La sentenza ha ritenuto, in base alla valutazione delle prove escusse,
che la relazione di fatto intrattenuta dalla convenuta con il fondo de
quo era iniziata a titolo di detenzione nel contesto della quale la
convenuta forniva all’attrice, comproprietaria del bene, una volta
all’anno formaggio e ricotta, escludendo che alcun titolo potesse essere
opposto dalla Carlino per giustificare un diritto sul bene.
Ciò posto, in primo luogo va ricordato che la naturale gratuità del
comodato non è esclusa dalla effettuazione da parte del comodatario di
prestazioni che, come quelle alle quali ha fatto riferimento la sentenza
impugnata, abbiano carattere accessorio ( c.d. comodato modale) .
La predeterminazione di un termine non è evidentemente necessaria nel
contratto di comodato mentre l’uso per il quale il bene viene concesso
in comodato è quello inerente alla sua naturale destinazione e al
godimento che da esso può essere tratto.
Orbene, l’esame e la valutazione delle risultanze della prova
testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla
credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie
risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la
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lasciato in dote il fondo de quo, per cui era certamente maturato il

motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del
merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una
fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che
quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere

difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e
circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente
incompatibili con la decisione adottata. D’altra parte, va osservato che
il vizio deducibile ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. deve
consistere in un errore intrinseco al ragionamento del giudice che deve
essere verificato in base al solo esame del contenuto

del provvedimento

impugnato e non può risolversi nella denuncia della difformità della
valutazione delle risultanze processuali compiuta dal giudice di merito
rispetto a quella a cui, secondo il ricorrente, si sarebbe dovuti
pervenire: in sostanza, ai sensi dell’art. 360 n. 5 citato, la (
dedotta) erroneità della decisione non può basarsi su una ricostruzione
soggettiva del fatto che il ricorrente formuli procedendo a una diversa
lettura del materiale probatorio, atteso che tale indagine rientra
nell’ambito degli accertamenti riservati al giudice di merito ed è
sottratta al controllo di legittimità della Cassazione.
6.1.- Il sesto motivo, lamentando violazione e falsa applicazione
degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. nonchè omessa motivazione, denuncia
che erroneamente e senza che fossero state indicate le ragioni essa
ricorrente, benchè vittoriosa in primo grado e contumace in appello, era
stata condannata al pagamento delle spese processuali.
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tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni

6.2.- Il motivo è infondato
Qui è appena il caso di ricordare che la regolamentazione delle spese
processuali deve essere compiuta secondo l’esito finale della lite, che
nella specie ha visto soccombente la convenuta la quale è stata

decisione di primo grado era stata travolta e caducata dalla sentenza di
appello, con cui è stata accolta la domanda di rilascio proposta
dall’attrice.
Il ricorso va rigettato.
Le spese della presente fase vanno poste a carico della ricorrente,
risultata soccombente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento in favore del resistente delle spese
relative alla presente fase che liquida in euro 2.700,00 di cui euro
200,00 per esborsi ed euro 2.500,00 per onorari di avvocato oltre
accessori di legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell’il dicembre 2013
Il Cons. estensore

Il PrRiVente

condannata al relativo pagamento (artt. 91 cod. proc. civ.) : la

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