Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 273 del 12/01/2021

Cassazione civile sez. III, 12/01/2021, (ud. 23/11/2020, dep. 12/01/2021), n.273

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 26497 del ruolo generale dell’anno

2017 proposto da:

TESSITURE P.R. S.p.A., (C.F.: (OMISSIS)), in persona del

Presidente del consiglio di amministrazione, legale rappresentante

pro tempore, R.A., rappresentato e difeso, giusta procura a

margine del ricorso, dagli avvocati Mario Franchina, (C.F.:

FRNMRA55M16A794B) e Luisa Gobbi, (C.F.: GBBLSU59A56H501S);

– ricorrente –

nei confronti di:

ADDCONS S.r.l., (C.F.: (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore rappresentato e difeso, giusta procura in

calce al controricorso, dall’avvocato Adabella Gratani, (C.F.:

GRTDDL66A47G482F);

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Milano n.

3920/2017, pubblicata in data 12 settembre 2017;

udita la relazione sulla causa svolta alla Camera di consiglio del 23

novembre 2020 dal Consigliere Dott. Augusto Tatangelo.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Addcons S.r.l. ha promosso l’esecuzione forzata per espropriazione dei crediti vantati dalla Tessiture P.R. S.p.A. nei confronti della Banca Popolare di Bergamo S.p.A., sulla base di un titolo giudiziale (decreto ingiuntivo) non definitivo. Il giudice dell’esecuzione, dato atto della parziale estinzione delle obbligazioni poste in esecuzione, ha assegnato alla società creditrice parte delle somme pignorate, a soddisfazione del suo residuo credito. La società debitrice ha proposto contestualmente opposizione agli atti esecutivi ed all’esecuzione, rispettivamente ai sensi dell’art. 617 e dell’art. 615 c.p.c., contestando la legittimità dell’ordinanza di assegnazione ed il diritto di procedere ad esecuzione forzata della creditrice, con riguardo agli importi da questa ancora pretesi.

Entrambe le opposizioni sono state accolte dal Tribunale di Milano.

La decisione sull’opposizione agli atti esecutivi è stata definitivamente confermata da questa Corte (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 2723 del 02/02/2017).

La Corte di Appello di Milano, in riforma della decisione di primo grado, ha invece rigettato l’opposizione all’esecuzione. Ricorre Tessiture P.R. S.p.A, sulla base di cinque motivi.

Resiste con controricorso Addcons S.r.l..

Il ricorso è stato trattato in Camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis.1 c.p.c..

Le parti hanno fatto pervenire memorie ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.

Con il secondo motivo si denunzia “Violazione degli artt. 336,474 e 615 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Richiesta di decisione della causa nel merito ex art. 384 c.p.c.”.

I primi due motivi del ricorso, connessi sul piano logico, esprimono una censura sostanzialmente unitaria e possono quindi essere esaminati congiuntamente.

Essi sono infondati.

1.1 La società ricorrente deduce che, nelle more del giudizio di opposizione all’esecuzione, il titolo esecutivo posto a fondamento del pignoramento, costituito da un decreto ingiuntivo, era stato caducato, essendo stata accolta la relativa opposizione (con condanna, peraltro, dell’ingiunta al pagamento di una diversa somma). Sostiene che tale circostanza (debitamente documentata e oggetto di contraddittorio nel corso del giudizio di secondo grado) avrebbe di per sè imposto l’accoglimento dell’opposizione proposta, con assorbimento di ogni altra questione, mentre la corte di appello non l’aveva neanche presa in considerazione.

1.2 La censura, in primo luogo, risulta formulata in modo non sufficientemente specifico. La ricorrente si limita ad allegare che la propria opposizione al decreto ingiuntivo posto in esecuzione è stata accolta, sebbene con contestuale condanna al pagamento della somma di Euro 150.727,88, senza chiarire le ragioni dell’accoglimento dell’opposizione e senza precisare, in modo puntuale e dettagliato, se ed in quali esatti termini la pretesa azionata in sede monitoria fosse stata ritenuta infondata nel merito, se vi era stato un effettivo ridimensionamento dell’importo complessivo della condanna e dunque l’effettivo e concreto impatto che la decisione, tenuto anche conto dell’operatività del principio di cui all’art. 653 c.p.c., avrebbe potuto avere in relazione ai motivi posti a base dell’opposizione all’esecuzione.

1.3 In sostanza, secondo la società ricorrente, il solo fatto che sia stato revocato il decreto ingiuntivo, costituente il titolo posto in esecuzione, imporrebbe l’accoglimento dell’opposizione, a prescindere dal fatto che vi sia stata una contestuale condanna al pagamento di una diversa somma.

Tale assunto è peraltro infondato, per due distinti ordini di ragioni.

1.4 In primo luogo, la semplice revoca del decreto ingiuntivo non potrebbe in nessun caso condurre all’accoglimento dell’opposizione, proposta per altre diverse specifiche ragioni, ma al più alla dichiarazione di cessazione della materia del contendere nel relativo giudizio (Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 1005 del 17/01/2020, Rv. 656589 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 30857 del 29/11/2018, Rv. 652283 – 01).

1.5 In secondo luogo, ai sensi dell’art. 653 c.p.c., gli atti di esecuzione posti in essere sulla base del decreto ingiuntivo revocato in conseguenza di un accoglimento parziale dell’opposizione, conservano la loro efficacia, nei limiti della somma ridotta.

La società debitrice non avrebbe quindi potuto limitarsi ad invocare l’avvenuta revoca del decreto ingiuntivo, ma avrebbe dovuto specificamente precisare le conseguenze che tale revoca avrebbe determinato sull’esecuzione in corso (e ciò sempre e comunque solo ai fini di una eventuale parziale o totale cessazione della materia del contendere, non certo ai fini di un accoglimento dell’opposizione sulla base di ragioni diverse da quelle poste in origine a suo fondamento).

1.6 Le censure di cui ai primi due motivi di ricorso, dunque, per come sono formulate, risultano per un verso infondate e per altro verso non sufficientemente specifiche.

Lo stesso fatto di cui la ricorrente lamenta l’omesso esame non può, per le medesime ragioni fin qui esposte, ritenersi un fatto decisivo o, comunque, la ragione della sua pretesa decisività per un verso non sussiste e per altro verso non è indicata in modo adeguatamente specifico.

1.7 E’ peraltro opportuno precisare sin d’ora che, in virtù dell’accoglimento dei successivi motivi di ricorso e della cassazione con rinvio della decisione impugnata, l’eventuale parziale o totale cessazione della materia del contendere all’esito della caducazione del titolo esecutivo conseguente al parziale accoglimento dell’opposizione al decreto ingiuntivo potrà e dovrà comunque essere presa in considerazione in sede di rinvio (anche in base agli eventuali successivi sviluppi del relativo giudizio di cognizione), essendo sempre necessario valutare la persistenza dell’interesse delle parti ad una decisione sul merito dei motivi di opposizione.

2. Con il terzo motivo si denunzia “Violazione dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Con il quarto motivo si denunzia “Violazione dell’art. 2697 c.c., artt. 115 e 615 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Con il quinto motivo si denunzia “Violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”.

Gli ultimi tre motivi del ricorso esprimono censure connesse sul piano logico e possono quindi essere esaminati congiuntamente.

Essi sono fondati.

2.1 La società ricorrente deduce che la corte di appello avrebbe ritenuto decisiva, facendone discendere l’infondatezza dell’opposizione all’esecuzione, la circostanza che la creditrice aveva depositato al giudice dell’esecuzione un prospetto nel quale era indicato il proprio residuo credito (all’esito della parziale estinzione delle pretese complessivamente azionate) e che i “dati” contenuti in tale prospetto non erano stati oggetto di specifica contestazione, di tal che il giudice dell’esecuzione aveva correttamente proceduto all’assegnazione delle somme pignorate nella corrispondente misura.

Sostiene che, in realtà, la contestazione del diritto di procedere ad esecuzione forzata della creditrice, per essere stati completamente estinti (senza alcun residuo dovuto) tutti i crediti posti in esecuzione, era stata specificamente avanzata con l’opposizione all’esecuzione, come del resto espressamente sancito nella sentenza di questa Corte n. 2723 del 2017 (con la quale è stata definitivamente confermata la revoca dell’ordinanza di assegnazione emessa dal giudice dell’esecuzione sulla base dell’indicato prospetto, dandosi atto in motivazione che tale prospetto era stato contestato e che la determinazione dell’eventuale credito residuo spettante alla creditrice procedente avrebbe dovuto essere oggetto di decisione nell’ambito del giudizio di opposizione all’esecuzione).

Aggiunge che, a fondamento della propria opposizione all’esecuzione, era stata posta una serie di specifiche contestazioni di alcune voci pretese dalla creditrice, peraltro dettagliatamente richiamate nel ricorso (cfr. pag. 20 e 21) e che tali contestazioni erano state ritenute fondate ed accolte nella decisione di primo grado oggetto di gravame, ma non esaminate dai giudici di appello, i quali, invece, avevano sostanzialmente deciso la controversia ritenendo erroneamente applicabile al processo esecutivo il principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c..

2.2 Va in primo luogo osservato che, effettivamente, le argomentazioni svolte dalla corte di appello a sostegno della decisione impugnata risultano formulate con riguardo alla legittimità dell’operato del giudice dell’esecuzione (cioè con riguardo all’attività che costituisce l’oggetto dell’opposizione agli atti esecutivi, sulla quale si è peraltro ormai formato il giudicato) più che con riguardo alla fondatezza degli specifici motivi in base ai quali la debitrice aveva contestato la sussistenza di un residuo credito ancora dovuto alla società che aveva promosso l’esecuzione (cioè le ragioni poste a fondamento dell’opposizione all’esecuzione, unico oggetto del presente giudizio).

La corte territoriale ha infatti affermato che, in mancanza di una specifica contestazione dei “dati” contenuti nel prospetto depositato al giudice dell’esecuzione (cioè dei corrispondenti dei conteggi, non essendo del resto in alcun modo indicato quali fossero i predetti “dati”), quest’ultimo aveva correttamente ritenuto il prospetto stesso non oggetto di contestazione, ai sensi dell’art. 115 c.p.c. e assegnato gli importi relativi. Ne ha fatto discendere che dovevano ritenersi provati i “dati” risultanti dal suddetto prospetto, con conseguente infondatezza dell’opposizione all’esecuzione proposta dalla debitrice.

2.3 Tale decisione, oltre a violare le norme richiamate dalla ricorrente (in particolare l’art. 2909 c.c., artt. 112 e 115 c.p.c., come si dirà), è logicamente contraddittoria.

Il fatto stesso di giudicare infondata l’opposizione all’esecuzione della debitrice semplicemente in virtù della non contestazione dei “dati” risultanti dal prospetto depositato al giudice dell’esecuzione, sulla base del quale quest’ultimo aveva proceduto ad emettere l’ordinanza di assegnazione, implica necessariamente, sul piano logico, che le contestazioni di cui all’opposizione all’esecuzione dovevano avere ad oggetto proprio i “dati” contenuti in quel prospetto (in caso contrario, ovviamente, la mancata contestazione di quei “dati” non avrebbe potuto avuto alcun rilievo ai fini dell’opposizione all’esecuzione).

Ma, avendo la stessa corte di merito dato atto che era ormai divenuta definitiva la sentenza che aveva accolto l’opposizione agli atti esecutivi avverso l’ordinanza di assegnazione, emessa sulla base del prospetto in questione, annullandola (tra l’altro anche sul rilievo che “la qualificazione – resa a verbale dal g.e. e contestata con l’opposizione conclusa con la qui gravata sentenza – dell’insussistenza di una contestazione da parte del debitore implica una vera e propria svista sul contenuto della memoria con cui questo ha mosso invece numerose ed ampie contestazioni alle pretese poste a base delle molteplici istanze della creditrice e comunque proprio al risultato finale dell’azionamento del credito” e che la ricorrente avrebbe dovuto “fare valere le sue pretese sulla persistenza o meno del credito e soprattutto sul suo esatto ammontare a seguito del sovrapporsi di adempimenti parziali e di interventi o di richieste o precetti successivi – e secondo le imputazioni da essa operate – appunto nella sede dell’opposizione ad esecuzione che la qui gravata sentenza ha, comunque e contestualmente, risolto in senso ad essa sfavorevole”, come si legge testualmente nella motivazione di Cass. n. 2723 del 2017), essa non avrebbe potuto certo ritenere infondata l’opposizione all’esecuzione proprio (ed esclusivamente, in realtà) sulla base della circostanza che il prospetto cui aveva fatto riferimento l’ordinanza di assegnazione non era stato contestato e quindi i “dati” in esso contenuti erano da ritenersi provati (il che implica necessariamente che l’ordinanza di assegnazione era da ritenersi correttamente emessa), senza porsi in conflitto con il giudicato sull’opposizione agli atti esecutivi e senza cadere in una palese contraddizione logica.

In buona sostanza, la corte di appello ha finito per rigettare l’opposizione all’esecuzione senza esaminarne in alcun modo i motivi, esclusivamente sulla base della ritenuta correttezza dell’assegnazione operata dal giudice dell’esecuzione in base al prospetto prodotto dalla creditrice, pur avendo dato atto che detta assegnazione era stata invece annullata con sentenza ormai definitiva, ribaltando l’ordine logico di un eventuale vincolo derivante dagli accertamenti in ordine alla sussistenza o insussistenza di un credito residuo della società opposta (eventuale vincolo che dovrà, comunque, essere nuovamente oggetto di valutazione in sede di rinvio).

2.4 Operando nel modo descritto, la corte di appello ha comunque anche violato l’art. 112 c.p.c., perchè non ha di fatto adottato alcuna decisione sugli specifici motivi di opposizione all’esecuzione avanzati dalla debitrice, nonchè l’art. 115 c.p.c., comma 1, perchè ha applicato al processo esecutivo una disposizione dettata esclusivamente per il processo di cognizione e che, comunque, non può certamente disciplinare l’attività di liquidazione dei crediti da parte del giudice dell’esecuzione, per la quale vale l’opposto principio in base al quale il giudice dell’esecuzione ha il potere/dovere di verificare di ufficio, e a prescindere da una opposizione del debitore, l’esistenza del titolo esecutivo e la corrispondenza degli importi pretesi dal creditore con quelli dovuti in base al titolo stesso (giurisprudenza costante; cfr. ad es. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 11021 del 19/05/2011, Rv. 617431 – 01; Sez. L, Sentenza n. 16610 del 28/07/2011, Rv. 618698 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 4491 del 26/03/2003, Rv. 561469 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 9293 del 09/07/2001, Rv. 548027 – 01; Sez. L, Sentenza n. 8559 del 23/06/2000, Rv. 537956 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 8215 del 10/09/1996, Rv. 499547 – 01).

2.5 In definitiva, la sentenza impugnata va cassata, affinchè in sede di rinvio siano esaminati nel merito (previa valutazione della persistenza dell’interesse delle parti ad una decisione di merito) gli specifici motivi posti dalla società ricorrente a base della sua opposizione all’esecuzione, con riguardo alla sussistenza di un residuo importo ancora dovuto alla società creditrice.

3. Sono rigettati i primi due motivi del ricorso, accolti gli altri.

La sentenza impugnata è cassata in relazione ai motivi accolti,

con rinvio alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta i primi due motivi del ricorso, accoglie gli altri, cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 23 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2021

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