Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 273 del 10/01/2017

Cassazione civile, sez. I, 10/01/2017, (ud. 14/10/2016, dep.10/01/2017),  n. 273

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. BERNABAI Renato – rel. Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21822-2011 proposto da:

G.L., (c.f. (OMISSIS)), GU.GI. (c.f.

(OMISSIS)), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA SILVIO PELLICO

24, presso l’avvocato CESARE ROMANO CARELLO, rappresentati e difesi

dall’avvocato ALBERTO VALENTINI, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

BANCA DI CREDITO COOPERATIVO DI VIGNOLE SOCIETA’ COOPERATIVA A R.L.,

in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA CELIMONTANA 38, presso l’avvocato PAOLO

PANARITI, rappresentata e difesa dall’avvocato TOMMASO STANGHELLINI,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 572/2011 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 28/04/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/10/2016 dal Consigliere Dott. RENATO BERNABAI;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato ALBERTO VALENTINI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato TOMMASO STANGHELLINI che

ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine per il rigetto dei motivi di ricorso da uno a quattro,

ferma l’inammissibilità del sesto motivo, assorbimento del quinto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Su ricorso della Banca del Credito Cooperativo di Vignole, il Tribunale di Pistoia ingiungeva, con decreto emesso il 19 febbraio 2001, ai sigg. G.L. e Gu.Gi. il pagamento della somma di Lire 411.998.855, a titolo di saldo passivo di un rapporto di conto corrente per corrispondenza intestato alla G., con fideiussione del Gu., e di rimborso di un contratto di mutuo stipulato dal Gu., risolto per omesso rimborso di due rate.

Avverso il provvedimento, proponevano opposizione, con atto di citazione notificato il 26 aprile 2001, gli ingiunti, che, eccepita l’illegittimità dell’applicazione di interessi ultralegali, con anatocismo, chiedevano in via riconvenzionale la condanna della banca alla restituzione dell’indebito, nonchè al risarcimento dei danni derivati dall’illegittimo recesso dai contratti, senza il rispetto di un adeguato termine dilatorio.

Costituitasi ritualmente, la banca chiedeva il rigetto dell’opposizione.

Con sentenza 17 novembre 2004 il Tribunale di Pistoia, ritenuta l’illegittimità degli interessi addebitati, revocava il decreto ingiuntivo e condannava gli opponenti, in solido, al pagamento della minor somma di Euro 209.976,24, con gli interessi legali e la rifusione delle spese di giudizio.

Il successivo gravame della G. e del Gu. era respinto dalla Corte d’appello di Firenze con sentenza 28 aprile 2011.

La corte territoriale motivava:

– che l’obbligazione del Gu. discendeva dal contratto di mutuo acceso per pagare il debito portato dal saldo di un rapporto di conto corrente: onde, era estraneo al thema decidendum l’accertamento dell’illegittimità degli interessi addebitati sul conto corrente estinto;

– che era inammissibile la censura relativa alla ritenuta legittimità del recesso operato dalla banca, priva di una contestazione puntuale della motivazione resa, sul punto, dal primo giudice;

– che era preclusa l’istanza di ammissione dei mezzi istruttori disattesi dal primo giudice, non reiterata in sede di precisazione delle conclusioni, in primo grado;

– che non vi era alcun nesso di causalità fra la condotta della banca e i danni lamentati.

Avverso la sentenza, notificata il 27 maggio 2011, i sigg. G. e Gu. proponevano ricorso per cassazione, articolato in sei motivi e notificato il 26 luglio 2011.

Deducevano:

1) la violazione degli artt. 112, 113, 163, 164 e 342 c.p.c., nonchè la carenza di motivazione nella ritenuta inammissibilità del motivo di appello volto a contestare l’illegittimità del recesso della banca;

2) la violazione degli artt. 1175, 1176, 1186, 1375, 1833 e 1845 c.c., ed inoltre il vizio di motivazione sulla legittimità del recesso dalla banca, con riferimento al saldo passivo esposto;

3) la violazione di legge e l’insufficiente motivazione sull’irrilevanza della prova testimoniale dedotta;

4) la violazione di legge e la carenza di motivazione in ordine all’omessa pronuncia sull’assenza di un termine congruo per l’adempimento;

5) la violazione di legge ed il vizio di motivazione sulla ritenuta insussistenza del nesso causale tra la condotta della banca e i danni lamentati;

6) l’inosservanza dell’art. 112 c.p.c. e la carenza di motivazione sull’omessa pronunzia di nullità della capitalizzazione trimestrale degli interessi in ordine ai conti correnti estinti.

Resisteva con controricorso la Banca di Credito Cooperativo di Vignole.

Entrambe le parti depositavano, nei termini, memoria illustrativa, ex art. 378 c.p.c..

All’udienza del 14 ottobre 2016 il Procuratore generale e i difensori precisavano le rispettive conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo è infondato.

Si legge nella sentenza impugnata che “il tema della legittimità del recesso dalla banca è stato trattato dal tribunale in termini assai chiari, oltre che corretti. A quella motivazione non viene portata un’esplicita e specifica censura, limitandosi gli appellanti a riformulare una narrazione della vicenda e dei principi che avrebbero dovuto governarla, cosicchè il terzo motivo è inammissibile”.

La sentenza del Tribunale di Pistoia conteneva, in effetti, una motivazione articolata, sia in fatto che in diritto; in particolare esaminando, di fronte all’eccezione di illegittimità del recesso per mancata concessione di un termine adeguato, le due ipotesi contrattuali alternative di conto corrente e di apertura di credito: così da pervenire alla conclusione che i termini minimi rispettivamente previsti agli artt. 1833 (10 giorni) e 1845 c.c. (15 giorni) fossero stati rispettati entrambi, con riferimento ad un dies ad quem coincidente con la notificazione del decreto ingiuntivo ai debitori.

Il principio di diritto appare esatto, dal momento che quest’ultima determina la pendenza della lite (art. 643 c.p.c., u.c.): laddove, il previo deposito del ricorso, seppur seguito dalla conforme emissione del provvedimento monitorio, non incide ancora sulla situazione sostanziale degli obbligati, potendo anche diventare inefficace per omessa notifica nel termine di cui all’art. 644 c.p.c..

Ed in punto di fatto non sono contestate le rispettive date della lettera di recesso e di notificazione riportate nella sentenza di primo grado.

Ne consegue che la semplice riproposizione, in sede di gravame, dell’inadeguatezza del termine concesso dalla banca, senza farsi carico delle precise argomentazioni addotte in parte qua dal giudice di primo grado, non risponde, in effetti, al requisito di specificità dei motivi previsto dall’art. 342 c.p.c., comma 1, n. 2, nel testo ratione temporis vigente.

Il secondo motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.

Nella sentenza impugnata non si chiarisce se il conto corrente della signora G. fosse assistito, o no, da apertura di credito. Analoga incertezza esisteva già nella sentenza del Tribunale di Pistoia: come dimostrato dal fatto che si siano ivi presi in considerazione, in via alternativa, i termini legali per il recesso nelle rispettive ipotesi.

In questa sede, i ricorrenti affermano l’esistenza dell’apertura di credito; che, in effetti, se non superata, nel suo tetto, dall’esposizione maturata, darebbe luogo ad un credito, e non ad un debito della correntista.

Ma tale circostanza non emerge, come detto, dalla parte motiva del provvedimento, nè è ammessa dalla Banca di credito cooperativo di Vignole (cfr. controricorso, pag.18).

Pertanto, le allegazioni in fatto, volte a dimostrare l’inesistenza della giusta causa di recesso – ravvisata dalla sentenza di primo grado nel forte saldo passivo, pur dopo il ricalcolo degli interessi dovuti – si traducono nella richiesta di un inammissibile accertamento di merito, che non può trovare ingresso in questa sede.

Il terzo motivo è infondato.

Come si legge nella parte narrativa della sentenza di primo grado, il giudice istruttore ha respinto le istanze istruttorie (genericamente indicate); e non risulta, dal testo delle conclusioni formulate dagli opponenti, che esse siano state poi puntualmente reiterate.

La parte è incorsa, quindi, nella decadenza da tali mezzi istruttori, non essendo ammissibile la loro riproposizione in appello, fuori dell’ipotesi e dei requisiti di cui all’art.345 cod. proc. civ. (Cass., sez.6-2, 27 giugno 2012 n.10.748; Cassazione, sez. 3, 14 ottobre 2008 n.25.157; Cass., sez.1, 31 gennaio 2007 n.2095).

Il quarto ed il quinto motivo restano assorbiti dal rigetto delle due prime censure sulla legittimità del recesso.

E’ invece fondato l’ultimo motivo, relativo all’inosservanza dell’art. 112 c.p.c. ed alla carenza di motivazione sull’omessa pronunzia di nullità della capitalizzazione trimestrale degli interessi in ordine ai conti correnti estinti.

L’avvenuta chiusura dei conti correnti non preclude, in linea di principio, l’accertamento della lamentata illegittimità degli interessi passivi addebitati con anatocismo. Nè appare corretta, con riferimento all’obbligazione a carico del Gu., l’argomentazione, addotta dal giudice di primo grado e dalla pronuncia d’appello, che il decreto ingiuntivo da lui opposto si fondava sul contratto di mutuo. Al riguardo, si osserva come il debitore abbia interesse, infatti, ad accertare la corretta entità del saldo passivo, al fine di recuperare le somme eventualmente pagate in eccedenza per estinguerlo – in ipotesi, mediante la provvista di un contratto di mutuo – a titolo di ripetizione di indebito.

Infondata, sul punto, si palesa la statuizione che la domanda si ponesse fuori del thema decidendum, dal momento che questa era stata proposta già con l’atto di opposizione a decreto ingiuntivo:

valendo, in sostanza, a prospettare una domanda riconvenzionale dipendente dal titolo fatto valere ex adverso.

La sentenza dev’essere dunque cassata in relazione alla censura accolta, con rinvio alla Corte d’appello di Firenze per un nuovo giudizio ed anche per il regolamento delle spese della fase di legittimità.

PQM

– Accoglie il sesto motivo del ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta, con rinvio alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese della fase di legittimità.

Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2017

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