Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27296 del 29/12/2016


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Cassazione civile, sez. trib., 29/12/2016, (ud. 09/09/2016, dep.29/12/2016),  n. 27296

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. ZOSO Liana M. T. – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21371-2015 proposto da:

COMUNE DI FARRA DI SOLIGO in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIALE GIULIO CESARE 21, presso lo

studio dell’avvocato LORENZO SCIUBBA, rappresentato e difeso dagli

avvocati ANTONIO MOLLO, RUGGERO MOLLO giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

LATTERIA DI SOLIGO SAC in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI MONTI PARIOLI 48,

presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MARINI, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato CARLO AMATO giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 312/2015 della COMM.TRIB.REG. di VENEZIA,

depositata il 09/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/09/2016 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI;

udito per il ricorrente l’Avvocato RUGGERO MOLLO che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato RENATO MARINI per delega

dell’Avvocato GIUSEPPE MARINI che si riporta agli atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata che ha concluso per la riunione con il n. 7 r.g.

14966/11, accoglimento per quanto di ragione del 1 motivo di

ricorso.

Fatto

IN FATTO

La Latteria di Soligo s.a.c. impugnava l’avviso di accertamento per omessa denuncia Ici emesso dal Comune di Farra di Soligo, per l’anno d’imposta 2007, in relazione ad un fabbricato sociale originariamente accatastato in categoria D/1, sostenendo la non assoggettabilità al tributo del cespite immobiliare, in possesso dei requisiti necessari per essere considerato rurale trattandosi di bene strumentale all’attività agricola dei soci della Cooperativa, essendo ininfluente la categoria catastale ad esso attribuita in quanto, alla luce della Circolare Ministero delle Finanze 9 aprile 1998 n. 96/T, parificata alla categoria D/10, e stante l’intervenuta presentazione di domanda di variazione catastale, ai sensi del D.L. n. 70 del 2011, art. 7, comma 2 bis, convertito, con modificazioni, in L. n. 214 del 2011, con efficacia a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della predetta domanda. Lamentava, altresì, la nullità degli avvisi per mancanza di motivazione e la violazione della normativa in materia di comminazione delle sanzioni tributarie.

Resisteva il Comune di Farra di Soligo, contestando la fondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.

La Commissione Tributaria Provinciale di Treviso, con la sentenza n. 78 del 24/9/2013, non condividendo le tesi esposte dal contribuente, respingeva il ricorso ma la decisione veniva riformata dalla Commissione Tributaria Regionale di Venezia-Mestre che, con sentenza n. 312 del 20/1/2015, depositata il 9/2/2015, accoglieva l’appello proposto dalla Cooperativa.

Rilevavano i giudici di appello l’illegittimità dell’impugnato avviso di accertamento in ragione dell’intervenuto classamento in categoria D/10 dell’immobile de quo, la cui consistenza e destinazione alla manipolazione, trasformazione, conservazione, valorizzazione e commercializzazione dei prodotti agricoli conferiti dai soci – donde il carattere di ruralità del fabbricato – erano rimasti sostanzialmente immutati nel tempo; compensava tra le parti le spese di giudizio.

Il Comune ricorre per la cassazione della sentenza d’appello con tre motivi.

Resiste l’intimata Cooperativa con controricorso.

Diritto

IN DIRITTO

Con un primo motivo il Comune ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., commi 3 e 5, l’omesso esame, da parte della Commissione Tributaria Regionale del Veneto, del dato testuale della domanda di variazione catastale presentata ai sensi del D.L. n. 70 del 2011, art. 7, comma 2 bis, convertito nella L. n. 106 del 2011, indicato quale fatto decisivo, per non avere i giudici di appello rilevato che l’avviso di accertamento si riferisce al fabbricato individuato al foglio 5, mappale 283, sub 5, categoria D/1, rendita Euro 67.684,84, mentre la richiesta di riconoscimento di ruralità – con effetto retroattivo quinquennale – riguarda esclusivamente l’unità immobiliare censita al foglio 5, particella 283, sub 6. Evidenzia che il bene individuato in catasto al foglio 5, mappale 283, sub 5 risulta soppresso, a seguito della variazione catastale annotata il 16/3/2011, insieme alle distinte unità immobiliari censite sub 3 e sub 4 della medesima particella, per “divisione, ampliamento, diversa distribuzione degli spazi interni”, che dalla soppressione dell’unità sub 3, è sorta l’unità ora censita con il sub 6, iscritta in categoria D/8 ed oggetto della domanda D.L. n. 70 del 2011, ex art. art. 7, comma 2 bis e dalle unità sub 4 e 5 sono sorte le unità ora censite con i sub 7, 8, 9 e 10, mediante ordinaria procedura DOCFA. Ad avviso del ricorrente l’unica unità immobiliare che, per quanto qui interessa, è stata oggetto della predetta procedura D.L. n. 70 del 2011, ex art. 7, comma 2 bis avente effetto retroattivo quinquennale, è quella individuata sub 6 (originariamente censita sub 3 ed estranea all’avviso di accertamento) vale a dire proprio “il piccolo spaccio” che, secondo impugnata decisione, “comunque, dalle planimetrie citate, non è sostanzialmente mutato sin dalla sua prima iscrizione” e che non escluderebbe “l’attribuzione della categoria D/10 a tutto il compendio”.

Con un secondo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione di norme di diritto, segnatamente, D.L. n. 201 del 2011, art. 13, comma 14, lett. d) conv. con L. n. 214 del 2011, che ha abrogato la norma di interpretazione autentica (D.L. n. 207 del 2008, art. 23, comma 1 bis conv. con L. n. 14 del 2009) e D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 1, 2 e 5, per avere i giudici di appello fondato la decisione esclusivamente sull’ attribuzione all’immobile della categoria D/10, a seguito della domanda presentata dalla contribuente dopo l’entrata in vigore del D.L. n. 70 del 2011, applicando l’esenzione da tributo ai sensi del D.L. n. 207 del 2008, art. 23, comma 1 bis senza considerare che con l’abrogazione di tale ultima disposizione è venuta meno l’estraneità all’Ici dei fabbricati rurali, i quali, essendo fabbricati iscritti in catasto, vengono assoggettati a tassazione giusta il disposto del D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 1, 2 e 5.

Con un terzo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione del D.L. n. 70 del 2011, art. 7, comma 2 bis e D.L. n. 102 del 2013, art. 2, comma 5 ter atteso che, quand’anche la domanda di variazione catastale presentata dalla Cooperativa in data 29/9/2011 avesse riguardato lo stesso compendio immobiliare a suo tempo accertato dal Comune, la retroattività quinquennale del riconoscimento della ruralità del fabbricato sociale riguarderebbe soltanto l’anno d’imposta 2006, e non anche l’anno d’imposta 2005, atteso che il quinquennio coperto dall’efficacia retroattiva dell’annotazione negli atti catastali della predetta variazione comprende soltanto gli anni 2006, 2007, 2008, 2009 e 2010 (Cass. 5, n. 24020 del 2015; Cass. Sez. 6-5, ordinanza, n. 422 del 2014).

Il primo motivo è fondato.

Esso investe la decisione della Commissione Tributaria Regionale del Veneto nella parte in cui i giudici del gravame hanno fatto discendere l’esenzione dal tributo dall’attribuzione al cespite immobiliare della categoria D/10, in luogo di quella precedente (D/1), a seguito di domanda presentata, in data 16/3/2011, dalla Cooperativa ai sensi del D.L. n. 70 del 2011, art. 7, comma 2 bis convertito, con modificazioni, dalla L. n. 106 del 2011, che aveva sancito la retroattività delle variazioni annotate negli atti catastali a seguito delle domande presentate ai sensi della suddetta normativa, i cui effetti, in forza del D.L. n. 102 del 2013, art. 2, comma 5 ter, convertito con L. n. 124 del 2013, quindi, vanno fatti decorrere dal quinquennio antecedente alla presentazione della domanda stessa.

Deduce il Comune di Farra di Soligo che l’applicabilità del novum legato allo ius superveniens (D.L. n. 70 del 2011, art. 7) venne fatto oggetto di specifiche contestazioni, in sede di giudizio di appello, anche in punto di identità dell’unità immobiliare di cui alla predetta domanda, rispetto a quella oggetto degli avvisi di accertamento, in quanto riferibile a bene non esistente nell’anno d’imposta 2007, sicchè la questione era ricompresa tra quelle da decidere e che i giudici di secondo grado hanno ritenuto “incontestata l’attribuzione della categoria D/10 a tutto il compendio, avvenuta con la domanda di variazione catastale di cui alla L. n. 106 del 2011, art. 7 (tranne il piccolo spaccio che comunque, dalle planimetrie già citate, non è sostanzialmente mutato dalla sua prima iscrizione)” trascurando del tutto di considerare che, secondo quanto obiettato dall’allora appellante Consorzio, “risulta per tabulas… che l’unica unità immobiliare interessata dalla predetta procedura avente effetto retroattivo (D.L. n. 70 del 2011, ex art. 7, comma 2 bis) – per quanto qui interessa – è stata quella individuata con il “sub 6” (vale a dire proprio il “piccolo spaccio” di cui in sentenza), originariamente censita con il sub 3 ed estranea all’avviso di accertamento in esame” mentre per le altre unità immobiliari censite ora con i sub 7, 8, 9 e 10 – sorte, come detto, dalla soppressione del sub 5 oggetto dell’ avviso de quo, e sub 4 – invece, la categoria D/10 è stata attribuita con la variazione del 16/3/2011 mediante ordinaria “docfa” (priva di effetto retroattivo) a seguito di ampliamento e diversa distribuzione degli spazi”. Ciò sarebbe confermato dalla circostanza “che nelle visure catastali in atti (docc. 5, 6 e 8 delle controdeduzioni in appello) il riconoscimento della ruralità con effetto retroattivo ai sensi del D.L. n. 70 del 2011, art. 7, comma 2-bis (e implicitamente il D.L. n. 102 del 2013, art. 2, comma 5-ter convertito con L. n. 124 del 2013) – richiamato in sentenza – è annotato esclusivamente per l’opificio di cui al sub 6 (ex sub 3)” a differenza che per le restanti unità censite con gli attuali sub 7-8-9-10 prive, invece, di tale annotazione “perchè iscritte alla Categoria D/10 solo nell’anno 2011 con l’ordinaria procedura Do.C.Fa., priva di effetti retroattivi”.

Il dedotto vizio di motivazione può dirsi sussistente in quanto nel ragionamento dei giudici di merito è evidentemente mancato l’esame di un punto decisivo della controversia prospettato da una delle parti, ma rilevabile anche d’ufficio, e neppure è dato comprendere il procedimento logico-giuridico seguito nell’ impugnata decisione per giungere alla affermazione, illogica e intrinsecamente contraddittoria, secondo cui sarebbe “incontestata l’attribuzione della categoria D/10 a tutto il compendio… tranne il piccolo spaccio”.

Non v’è dubbio, infatti, che gli elementi di dissonanza presenti nella descrizione catastale del compendio immobiliare prima e dopo la variazione D.L. n. 70 del 2011, art. 7 avrebbero meritato di essere composti mediante una tranquillante statuizione, supportata da un corpo motivazionale adeguato rispetto alla specificità delle deduzioni del Comune, trattandosi di un punto controverso ed in grado di condurre ad una diversa decisione.

In conclusione, non potendo la causa essere decisa nel merito, si impone l’accoglimento del motivo, con assorbimento delle ulteriori doglianze, e la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Veneto, che provvederà al riesame della controversia tributaria applicando i principi sopra espressi; anche la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità va rimessa al giudice del rinvio.

Infine, atteso il tenore della decisione, che è di accoglimento, non può trovare applicazione il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: ai sensi di tale disposizione, il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che la definisce, a dare atto – senza ulteriori valutazioni discrezionali – della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante totalmente soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da lui proposta, a norma del medesimo art. 13, comma 1-bis.

PQM

Accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Commissione tributaria regionale di Venezia – Mestre anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 – quater come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 9 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2016

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