Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27293 del 05/12/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 27293 Anno 2013
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: MATERA LINA

SENTENZA

sul ricorso 12665-2012 proposto da:
DE MARTINO FULVIO DMRFLV33B16F839B, DE MARTINO ELIO
DMRLEI35H19F839Y, elettivamente domiciliati in ROMA,
VIA MUZIO CLEMENTI 51, presso lo studio dell’avvocato
ITRI GIUSEPPE, rappresentati e difesi dall’avvocato
CROCAMO STEFANO;
– ricorrente contro

GRECO

GIUSEPPE

GRCGPP48R27H485M,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEI GRACCHI, 151, presso lo
studio dell’avvocato FRANCESCO SEGRETO, rappresentato

Data pubblicazione: 05/12/2013

e difeso dall’avvocato PESCA DONATO;
– con troricorrente nonchè contro

GRECO GIOVANNA, GRECO CATERINA, GRECO ELIA;
– intimati –

di POTENZA, depositata il 17/01/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 23/10/2013 dal Consigliere Dott. LINA
MATERA;
udito l’Avvocato Crocamo Stefano difensore dei
ricorrenti che ha chiesto l’accoglineto del ricorso;
udito l’Avv. Pesca Donato difensore del
controricorrente che ha chiesto il rigetto del
ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

avverso la sentenza n. 9/2012 della CORTE D’APPELLO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 24-2-1988 Elio De Martino e

Lucania i coniugi Antonio Greco e Michelina Ventieri, assumendo
che questi ultimi da alcuni anni detenevano arbitrariamente un
appezzamento di terreno e la metà di altro terreno in Rofrano. Gli
attori deducevano che i predetti beni erano loro pervenuti per
successione della madre Maria Tosone, deceduta il 6-11-1994, la
quale a sua volta li aveva ereditati dal fratello Scipione, deceduto il
27-2-1968. Essi chiedevano, pertanto, che venisse dichiarato che i
terreni in oggetto erano di loro proprietà, con condanna dei
convenuti al loro rilascio.
11 processo, interrotto per la morte della Ventieri, veniva
riassunto dagli attori nei confronti degli eredi della convenuta.
Si costituivano Antonio Greco e i figli Giuseppe, Caterina,
Giovanna ed Elia Greco, eredi della Ventieri, contestando la
fondatezza della domanda in base al principio

-possideo (mia

possideo – ed eccependo, in via subordinata alla prova che gli attori
avessero dato della rivendita, di aver acquistato la proprietà dei beni
per usucapione. Essi deducevano, infatti, che con testamento del 1811-1966, pubblicato il 27-3-1968, Scipione Tosone aveva disposto

Fulvio De Martino convenivano dinanzi al Tribunale di Vallo della

che metà del giardino sottostante alla strada andasse a Giovanna,
Giuseppe, Caterina ed Elia Greco, figli di Domenico Antonio e di
Michelina Ventieri; aggiungevano che, già in epoca antecedente
all’apertura della successione, avvenuta il 21-10-1968, i convenuti

le particelle 333 e 324, anche tramite la congiunta Michelina
Ventieri. I convenuti, pertanto, chiedevano il rigetto della domanda
attrice e, subordinatamente, la declaratoria di acquisto della
proprietà dei predetti beni per usucapione.
Con sentenza del 23-10-2001 il Tribunale adito rigettava la
domanda attrice ed accoglieva la riconvenzionale.
Proposta impugnazione da parte degli attori, resistevano
Giuseppe, Caterina, Giovanna ed Elia Greco, anche quali eredi di
Domenico Antonio Greco.
Con sentenza del 16-4-2004 la Corte di Appello di Salerno, in
parziale accoglimento dell’appello principale, rigettava la domanda
riconvenzionale proposta dai Greco, e dichiarava inammissibile la
domanda proposta in appello dai De Martino, di declaratoria della
prescrizione del diritto dei Greco ad accettare l’eredità di Scipione
Tosone.
Avverso la predetta decisione proponevano ricorso per
cassazione Fulvio ed Elio De Martino.

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avevano posseduto pacificamente, ininterrottamente e animo domini

Con sentenza del 17-4-2009 la Corte di Cassazione, in
accoglimento del primo motivo di ricorso, cassava la sentenza
impugnata e rinviava la causa per un nuovo esame alla Corte di
Appello di Potenza. Il giudice di legittimità, nel rilevare che la

dagli attori per mancanza della prova rigorosa del diritto dai
medesimi vantato sui beni controversi, osservava che, poiché i
convenuti non avevano contestato nel giudizio di primo grado
l’originaria appartenenza dei beni ad un comune dante causa
(Scipione Tosone), l’onere probatorio a carico degli attori risultava
attenuato, riducendosi alla dimostrazione di avere acquistato i beni
in base ad un valido titolo di acquisto, alla prova dell’appartenenza
di tali beni ai loro danti causa in epoca anteriore a quella in cui i
convenuti assumevano di avere iniziato a possedere, ed alla prova
che quell’appartenenza non era stata interrotta da un possesso idoneo
ad usucapire da parte dei convenuti.
A seguito della riassunzione del giudizio da parte di Fulvio ed
Elio Di Martino, con sentenza in data 17-1-2012 la Corte di Appello
di Potenza rigettava l’appello.
Il giudice di rinvio, in particolare, rilevava che, relativamente
all’acquisto della proprietà per successione ereditaria di Maria
Tosone dal fratello Scipione, occorreva provare il rapporto di
parentela tra i predetti e la mancanza di altri eredi legittimi che, ai

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sentenza gravata aveva rigettato la domanda di rivendica proposta

sensi dell’art. 570 c.c., avrebbero potuto, in ipotesi, precedere Maria
Tosone nell’ordine di successibili. Aggiungeva che occorreva altresì
la prova dell’effettivo acquisto della qualità di erede, non essendo a
tal fine sufficiente la semplice delazione che segue l’apertura della

fornito la prova richiesta e che, pertanto, l’esame ad essa demandato,
teso ad accertare in primo luogo se gli istanti avessero acquisito i
beni in base ad un valido titolo di proprietà, doveva trovare esito
negativo.
Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso
Fulvio ed Elio Di Martino, sulla base di tre motivi.
Ha resistito con controricorso il solo Giuseppe Greco, mentre
gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.
I ricorrenti hanno depositato una memoria ex art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e
falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c., nonché
l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in ordine alla
ritenuta mancanza di prova della dedotta relazione di parentela tra la
loro dante causa Maria Tosone e il fratello Scipione. Deducono, in
particolare, che tale rapporto di parentela non è mai stato contestato
dai convenuti e, comunque, risulta comprovato dalla documentazione
prodotta dagli attori (nota di trascrizione del 31-12-1926, relativa al

successione. La Corte territoriale riteneva che gli attori non avevano

testamento pubblico con cui Nicoletta De Licteriis disponeva in
favore dei suoi figli, tra i quali risultano indicati Scipione e Maria
Tosone, certificato storico catastale dell’UTE di Salerno relativo agli
immobili per cui è causa). Sostengono che tale documentazione è

ritenuto che la prova del rapporto di parentela potesse essere fornita
solo in base agli atti di stato civile.
Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione
dell’art. 948 c.c., nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione, in relazione all’affermazione secondo cui i ricorrenti
non hanno offerto la prova della mancanza di altri eredi legittimi di
Scipione Tosone. Nell’evidenziare che neanche la questione
dell’esistenza di altri eredi legittimi di Scipione Tosone è stata mai
sollevata dalla controparte, sostengono che l’accertamento
dell’inesistenza di altri eredi è del tutto irrilevante, in quanto
l’azione di rivendicazione può essere proposta anche dal semplice
comproprietario del bene, senza che ricorra un’ipotesi di
litisconsorzio necessario nei confronti degli altri partecipanti alla
comunione.
Con il terzo motivo i ricorrenti si dolgono della violazione
degli artt. 475, 476 c.c., 115 c.p.c., nonché dell’omessa, insufficiente
e contraddittoria motivazione, in relazione all’affermazione secondo
cui i ricorrenti non hanno dato la prova dell’accettazione

stata del tutto ignorata dal giudicante, il quale ha erroneamente

dell’eredità. Sostengono che tale affermazione, se riferita a Maria
Tosone, è erronea, risultando dalla lettera del 2-6-1980, prodotta in
primo grado, che la predetta ha espressamente accettato l’eredità del
germano Scipione. Se, poi, si volesse discutere dell’accettazione

l’introduzione del presente giudizio valga come accettazione tacita
dell’eredità di Maria Tosane da parte degli odierni ricorrenti
2) Preliminarmente si osserva che non può accedersi alla tesi
prospettata dai ricorrenti nella memoria ex art. 378 c..p.c. e in
udienza dal Procuratore Generale, secondo cui il giudice del rinvio
non avrebbe potuto estendere la propria indagine alla verifica della
qualità di erede di Maria Tosone nei confronti di Scipione Tosone,
trattandosi di questione che, benché non esaminata espressamente nel
giudizio di legittimità, costituiva il presupposto stesso della
pronuncia di annullamento della sentenza della Corte di Appello di
Salerno e sulla quale, pertanto, si era formato il giudicato implicito
interno.
Si osserva, al riguardo, che nella sentenza del 17-4-2009 la
Corte di Cassazione, nel premettere che gli attori avevano dedotto di
aver acquistato la proprietà dei beni per cui è causa in virtù di
successione della madre Maria Tosone, la quale a sua volta li aveva
ricevuti per successione dal fratello Scipione Tosone, ha rilevato che
i convenuti, nell’affermare di avere acquistato la proprietà degli

degli attori all’eredità materna, non potrebbe dubitarsi del fatto che

immobili rivendicati dai De Martino per successione testamentaria
dello stesso Tosone Scipione, non hanno contestato l’originaria
appartenenza dei beni ad un comune dante causa. Il giudice di
legittimità, di conseguenza, ha ritenuto applicabile nella specie il

cui, allorché il convenuto non contesta l’originaria appartenenza del
bene conteso ad un comune dante causa, l’onere probatorio a carico
dell’attore in rivendicazione si riduce alla dimostrazione di avere
acquistato i beni in base ad un valido titolo di acquisto,
dell’appartenenza di tali beni ai loro danti causa in epoca anteriore a
quella in cui i convenuti assumevano di avere iniziato a possedere,
ed alla prova che quell’appartenenza non era stata interrotta da un
possesso idoneo ad usucapire da parte dei convenuti.
Orbene, le affermazioni contenute nella citata pronuncia
riguardo alla mancata contestazione, da parte dei convenuti, della
originaria titolarità dei beni in oggetto in capo al soggetto indicato
dagli attori come proprio dante causa, non presuppongono affatto
l’implicito accertamento dell’effettiva trasmissione per successione
ereditaria degli immobili in questione da Scipione Tosone a Maria
Tosone:. Infatti, nel cassare la sentenza della Corte di Appello di
Salerno, la Corte di legittimità ha richiesto in primo luogo al giudice
di rinvio di verificare, alla luce del principio di diritto enunciato, la
sussistenza di un valido titolo di acquisto in capo ai De Martino. E,

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principio, già in precedenza affermato dalla giurisprudenza, secondo

poiché questi ultimi avevano dedotto che i beni erano stati loro
trasmessi in virtù di successione

ah intestato

dalla madre Maria

Tosone, la quale li aveva a sua volta acquistati per successione
ereditaria del fratello Scipione, l’indagine richiesta non poteva non

prospettazione dei De Martino, i beni in questione erano pervenuti ai
medesimi dal

dominus

originario.

Né appare sostenibile l’assunto del Procuratore Generale,
secondo cui la sentenza della Corte di Appello di Salerno del 26-42004, nel disattendere la domanda degli appellanti di declaratoria di
prescrizione del diritto dei Greco ad accettare l’eredità di Scipione
Tosone, avrebbe implicitamente riconosciuto la legittimazione attiva
dei De Martino, con conseguente formazione del giudicato implicito
circa l’effettiva qualità di eredi dai medesimi dedotta.
Nessuna statuizione implicita contiene, in proposito, la
sentenza citata, avendo la stessa dichiarato inammissibile, ex art.
345 c.p.c., la domanda degli appellanti, in quanto proposta per la
prima volta con l’atto di appello. Deve, anzi, rilevarsi che nella
medesima sentenza la Corte di Appello di Salerno, dopo aver
affermato (v. pag. 14-15) che gli appellanti avrebbero dovuto
dimostrare che loro dante causa Maria Tosone

“avesse in qualche

modo acquisito la proprietà dei detti beni loro trasmessi ah
intestato”

ed avere escluso che la stessa avesse mai avuto il possesso

estendersi ad entrambi i titoli in base ai quali, secondo la

dei beni in questione, ha espressamente affermato (v. pag. 17) che i
De Martino “non hanno nemmeno dinto.s . trato che Tosone Maria fosse
erede legittima, in mancanza di altri chiamati in grado anteriore,
dei fratelli Scipione e Giuseppe”.

prioritaria, deve essere disatteso.
Come si è rilevato, con la sentenza di rinvio la Corte di
Cassazione ha affermato che, poiché i convenuti non avevano
contestato nel giudizio di primo grado l’originaria appartenenza dei
beni ad un comune dante causa (Scipione Tosone), l’onere probatorio
a carico degli attori risultava attenuato, riducendosi alla
dimostrazione di avere acquistato i beni in base ad un valido titolo di
acquisto, alla prova dell’appartenenza di tali beni ai loro danti causa
in epoca anteriore a quella in cui i convenuti assumevano di avere
iniziato a possedere, ed alla prova che quell’appartenenza non era
stata interrotta da un possesso idoneo ad usucapire da parte dei
convenuti.
La Corte di Appello di Potenza, nel procedere alla prima delle
verifiche richiestele, ha ritenuto non fornita dai De Martino la prova
dell’esistenza di un valido titolo di acquisto degli immobili in
contestazione, non avendo gli attori dimostrato che tali beni siano
pervenuti alla madre (e loro diretta dante causa) Maria Tosone in
virtù di successione ah intestato di Scipione Tosone.

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3) Il secondo motivo di ricorso, da esaminarsi in via

La pronuncia resa sul punto si basa su un triplice ordine di
argomentazioni, ciascuno di per sé idoneo a sorreggere la decisione:
a) la mancanza di prova del dedotto rapporto di parentela tra
Scipione Tosone e Maria Tosone; b) la mancanza di prova della

avrebbero potuto, in ipotesi, precedere Maria Tosone nell’ordine di
successibili; c) la mancanza di prova di un’effettiva accettazione,
espressa o tacita, dell’eredità.
Ciò posto, si osserva che con il secondo motivo i ricorrenti,
mostrando di non aver compreso il senso delle argomentazioni svolte
sub b) e le implicazioni che, secondo la Corte territoriale, dovevano
ritenersi connesse alla mancanza di prova della sussistenza di una
effettiva chiamata di Maria Tosone all’eredità di Scipione Tosone
per assenza di altri eredi legittimi che, ai sensi dell’art. 570 c.c., la
precedessero nell’ordine di successibili, hanno dedotto che il giudice
di rinvio ha erroneamente preteso l’accertamento della inesistenza di
altri eredi, atteso che, nel giudizio di rivendicazione, la
legittimazione attiva compete anche al mero comproprietario.
Le censure mosse pertanto, non si confrontano con la seconda
ratio decidendi, basata sulla ritenuta necessità, ai fini dell’effettiva

delazione ereditaria in favore di Maria Tosone, della mancanza di
altri chiamati di grado anteriore.

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inesistenza di altri eredi legittimi che, ai sensi dell’art. 570 c.c.,

Né, ad integrare le argomentazioni svolte con il motivo in
esame, possono valere le deduzioni proposte nella memoria
depositata dai ricorrenti ai sensi dell’art. 378 c.p.c., con le quali si
sostiene che, in ipotesi di successione legittima, qualora sussista una

all’art. 570 c.c., la delazione si realizza in modo simultaneo a favore
di tutti i chiamati; con la conseguenza che l’accettazione dell’eredità
da parte dei chiamati ulteriori è perfettamente valida, ma suscettibile
di venir meno nell’ipotesi in cui i primi chiamati manifestino nei
termini la volontà di conseguire quanto loro devoluto.
Come è noto, infatti, nel giudizio civile di legittimità, con le
memorie di cui all’art. 378 c.p.c., destinate esclusivamente ad
illustrare ed a chiarire i motivi della impugnazione, ovvero alla
confutazione delle tesi avversarie, non possono essere dedotte nuove
censure ne’ venire sollevate questioni nuove, che non siano rilevabili
d’ufficio, e neppure può essere specificato, integrato o ampliato il
contenuto dei motivi originari di ricorso (tra le tante v. Cass. 28-82007 n. 18195; Cass. S.U. 15-5-2006 n. 11097; Cass. 30-7-2004 n.
14570; Cass. 7-7-2003 n. 10683).
4) Dal rigetto del secondo motivo di ricorso consegue
l’inammissibilità degli altri due motivi, che investono le ulteriori
rationes decidendi della sentenza gravata.

11

pluralità di chiamati in ordine successivo, come nell’ipotesi di cui

Secondo un principio affermato dalla giurisprudenza, infatti,
nel caso in cui, come nella specie, venga impugnata con ricorso per
cassazione una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su più
ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per

esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il
ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di
tutte le censure, affinché si realizzi lo scopo proprio di tale mezzo di
impugnazione, il quale deve mirare alla cassazione della sentenza,
“in toto” o nel suo singolo capo, per tutte le ragioni che
autonomamente l’una o l’altro sorreggano. Ne consegue che è
sufficiente che anche una sola delle dette ragioni non abbia formato
oggetto di censura, ovvero, pur essendo stata impugnata, sia respinta,
perché il ricorso o il motivo di impugnazione avverso il singolo capo
di essa, debba essere respinto nella sua interezza, divenendo
inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre
ragioni poste a base della sentenza o del capo impugnato (v. per tutte
Cass. S.U. 8-8-2005 n. 16602).
5) Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato con
conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese
sostenute dal resistente Greco Giuseppe nel presente grado di
giudizio, liquidate come da dispositivo.

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giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di

Nei confronti degli altri intimati, che non hanno svolto attività
difensive, non vi è pronuncia sulle spese
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento

4.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 23-10-2013
Il Consigliere estensore

Il Presidente

delle spese in favore della parte resistente, che liquida in euro

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