Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27291 del 07/10/2021

Cassazione civile sez. III, 07/10/2021, (ud. 31/03/2021, dep. 07/10/2021), n.27291

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 32558/2018 proposto da:

C.M.V.M., elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA MONTE DELLE GIOIE 13, presso lo studio dell’Avvocato CAROLINA

VALENSISE, che lo rappresenta e difende unitamente all’Avvocato

FRANCESCO SCAGLIONE;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI REGGIO CALABRIA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 650/2018 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 28/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

31/03/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. M.C.V.M., quale erede di M.R., ricorre, sulla base di quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 650/18, del 28 settembre 2018, della Corte di Appello di Reggio Calabria, che – accogliendo solo parzialmente il gravame esperito dalla M. avverso l’ordinanza del 9 gennaio 2015, del Tribunale di Reggio Calabria – ha condannato l’Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria (d’ora in poi, “ASP”) a pagare all’odierno ricorrente, subentrato alla defunta genitrice nel corso del giudizio di appello, le somme ulteriori di Euro 7.527,40 e di Euro 1.297,00, oltre tre mensilità dell’ultimo canone di locazione versato (più interessi legali dalla domanda al saldo), in aggiunta a quella di Euro 224.227,09, più interessi legali dal 9 giugno 2011 al saldo effettivo, già riconosciuta alla M. dal primo giudice.

2. In punto di fatto, il ricorrente riferisce che la M.’ concluse, in data 20 aprile 1996, un contratto di locazione immobiliare ad uso non abitativo con l’Azienda Sanitaria Locale n. (OMISSIS) (poi divenuta ASP di Reggio Calabria), contratto rinnovatosi alla scadenza del primo seennio, in assenza di disdetta. In vista, invece, della scadenza del secondo seennio, la locatrice M. inviava disdetta alla conduttrice, con raccomandata della 2 aprile 2007, dicendosi, però, disponibile a trattare il rinnovo per un maggior canone di Euro 14.000,00 mensili. In relazione a tale richiesta, la conduttrice, con nota del 30 gennaio 2009, nel domandare un differimento del rilascio fino al 31 luglio 2009 (differimento al quale faceva poi seguito un’ulteriore proroga trimestrale), chiedeva anche sulla base di quali parametri fosse stato domandato, per il periodo di detenzione extracontrattuale, o per il rinnovo del contratto, il suddetto canone di Euro 14.000,00 mensili. In risposta a tale richiesta, la M. spiegava che tale canone mensile, al quale ragguagliare la differenza con quello corrente, a titolo di maggior danno ex art. 1591 c.c., era stato calcolato sulla base di Euro 6,00 al metro quadro, chiedendo un cenno di accettazione in ordine a tale offerta, in mancanza del quale avrebbe intimato lo sfratto per finita locazione.

Con successiva nota del 24 novembre 2019, l’ASP, in risposta a tale invito, proponeva alla M., per il periodo di proroga extracontrattuale, un canone mensile di Euro 11.000,00, tanto che la locatrice non solo accettava il canone proposto, ma si dichiarava disponibile a rinnovare, per quello stesso importo, il contratto di locazione, sollecitando, tuttavia, con missiva del 9 dicembre 2009, il pagamento della differenza rispetto a quanto ancora contrattualmente previsto. Nondimeno, la conduttrice ASP continuava a pagare il vecchio canone, senza neppure procedere agli aggiornamenti Istat e al pagamento delle spese per le utenze, pur dichiarando, con nota del 15 dicembre 2009, di avere già attivato la procedura per l’aggiornamento e per il pagamento delle differenze.

Non essendo stata, però, mantenuta tale promessa, nonostante i ripetuti solleciti effettuati dalla M., la stessa, a mezzo del suo legale, con missiva del 26 marzo 2011, chiedeva all’ASP avendo avuto sentore che la conduttrice si apprestava a rilasciare l’immobile – di indicare un tecnico, per procedere, in contraddittorio con altro da essa nominato, alla costatazione dello stato dell’immobile, alla stima dei danni, nonché dei costi e dei tempi per il ripristino, reiterando pure la richiesta di assicurare la disponibilità al pagamento del maggior danno, ex art. 1591 c.c., sulla base del canone di Euro 11.000,00 mensili, che era stato proposto dalla stessa conduttrice e dalla locatrice accettato.

Essendo rimasta senza riscontro anche tale richiesta, la M. avviava, nel giugno 2001, la procedura di media-conciliazione, nel corso della quale – dopo che il tecnico di parte ricorrente aveva proceduto ad un rilievo fotografico delle condizioni dell’immobile, alla redazione di schede relative tanto ai danni riscontrati quanto ai ripristini occorrenti, nonché alla redazione di un computo metrico dei lavori da eseguire ed al calcolo dei costi e dei tempi minimi per i lavori di ripristino – avveniva la riconsegna dell’immobile, in data 15 settembre 2011.

Ad essa faceva seguito una proposta di conciliazione, con cui la ASP si impegnava a versare, a titolo di adeguamento del canone di locazione, ex art. 1590 c.c., la somma necessaria a ragguagliare il canone stesso a Euro 11.000,00 mensili, differenza da computare per tutte le mensilità decorrenti dal 1 agosto 2009 fino al rilascio dell’immobile. Di fronte a tale proposta, la M. si dichiarava disponibile ad accettarla, ancorché la stessa non riconoscesse il pagamento del canone anche per i tre mesi di tempo necessari all’effettuazione dei lavori di ripristino.

Nondimeno, trasmessa l’accettazione a tale proposta, l’ASP, a propria volta, trasmetteva dichiarazioni di rifiuto della stessa, sicché l’istituto di mediazione verbalizzava il fallimento del tentativo di definizione stragiudiziale della vertenza.

2.1. La M., quindi, adiva il Tribunale di Reggio Calabria, ai sensi dell’art. 702-bis c.p.c., per chiedere un risarcimento commisurato al costo per riportare l’immobile allo “status quo ante”, mediante eliminazione delle modifiche apportate dalla locataria e degli ammaloramenti dovuti ad uso improprio del bene o a mancanza di manutenzione. L’attrice, inoltre, chiedeva, per il tempo successivo al rilascio (destinato ad includere quello necessario al compimento delle opere di ripristino), non soltanto il pagamento del canone contrattuale, ma anche l’integrazione dello stesso, a titolo di maggior danno ex art. 1591 c.c. e ciò fino all’importo del canone che la locatrice avrebbe conseguito in forza di una nuova locazione stipulata al momento della scadenza del contratto, danno che deduceva fosse da liquidare in un importo non minore rispetto a quello di Euro 11.000,00 mensili, già accettato dalla ASP, chiedendo, infine anche il rimborso delle spese per le utenze e dei costi per la procedura di media-conciliazione.

Si costituiva in giudizio l’ASP, contestando esclusivamente secondo l’odierno ricorrente – i costi per riportare l’immobile allo “status quo ante” (essendo, a suo dire, il degrado dell’immobile dovuto al logoramento d’uso e a carenza di interventi spettanti alla proprietà), riconoscendo, pertanto, di dover pagare il canone anche per il tempo, successivo al rilascio dell’immobile, resosi necessario all’esecuzione dei lavori di ripristino, nessuna contestazione formulando, infine, in relazione alle altre richieste dell’attrice.

Nondimeno, l’adito giudicante accoglieva solo parzialmente la domanda, riconoscendo alla M. la già indicata somma di Euro 224.227,09, più interessi legali dal 9 giugno 2011 al saldo effettivo, nulla disponendo in ordine alla domanda di rimborso di Euro 7.527,40, per spese, sia condominiali che di utenze, tutte documentate (e comunque non contestate dalla controparte), nonché di Euro 2.115,00, per spese di mediazione, oltre che di Euro 1.056,00 per il contributo unificato. Rimaneva, inoltre, fuori dalla condanna al risarcimento dei danni la somma di Euro 146.900,00, chiesti per l’integrazione dei canoni dalla data di scadenza del contratto fino ad agosto 2009 compreso, nonché l’importo di Euro 33.000,00, richiesto per l’indisponibilità dell’immobile nei tre mesi successivi al ripristino dello “status quo ante”.

2.2. Esperito gravame dalla M., il giudice d’appello provvedeva nei termini sopra indicati, omettendo, però, di provvedere, senza motivazione alcuna, “sulla richiesta di rimborso delle spese relative alla procedura obbligatoria di mediazione, documentate in Euro 2.115,00”, e non riconoscendo “l’integrazione, a titolo di maggior danno ex art. 1591 c.c., del canone contrattuale ad Euro 11.000,00 mensili”.

3. Avverso la sentenza della Corte reggina ricorre per cassazione il M.C., sulla base – come detto – di quattro motivi.

3.1. Con il primo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – è denunciata violazione dell’art. 112 c.p.c..

Si lamenta che la Corte territoriale avrebbe dovuto pronunciarsi su tutta la domanda, mentre ha omesso di considerare le richieste di rimborso per spese di mediazione (Euro 2.115,00), da porre a carico dell’ASP a norma della L. 4 marzo 2010, n. 28, art. 13, nonché quella di “pagamento dei canoni dalla data fino alla quale era indicato dal conduttore fossero stati calcolati con l’ultimo pagamento (9.6.2011) alla data dell’effettivo rilascio (verbale 15.9.2011)”.

3.2. Con il secondo motivo è denunciata violazione degli artt. 167 e 122 c.p.c..

Si denuncia che, come “le domande di cui al motivo che precede”, anche “quella di riconoscimento del “maggior danno” ex art. 1591 c.c., mediante adeguamento di quello contrattuale all’importo di Euro 11.000,00 mensili”, non erano state in alcun modo contestate e resistite dall’ASP, sicché la Corte territoriale avrebbe violato il principio di non contestazione.

3.3. Il terzo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – denuncia violazione dell’art. 1591 c.c., sul presupposto che, prevedendo tale norma l’obbligo del locatore di pagare il canone contrattuale fino al rilascio del bene locato, la mancata condanna dell’ASP al pagamento dei canoni dal 9 giugno 2011 al 15 settembre 2011 integrerebbe la violazione di legge denunciata.

3.4. Il quarto motivo denuncia falsa applicazione dell’art. 1591 c.c., oltre alla mancata considerazione di una circostanza decisiva ai fini della decisione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Il ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale abbia respinto la sua domanda di adeguamento dei canoni dall’agosto 2009 (primo mese successivo alla scadenza, 31 luglio 2009, della proroga richiesta per il rilascio), fino al terzo mese successivo al rilascio effettivo, motivando tale diniego richiamandosi alla giurisprudenza che nega il risarcimento del “maggior danno”, ex art. 1591 c.c., in difetto di prova della possibilità di rilocare a terzi l’immobile ove fosse stato consegnato alla scadenza.

Pervenendo a tale conclusione, però, la Corte territoriale avrebbe ignorato che questa prova può essere anche presuntiva ed indiziaria, obliterando il fatto allegato dall’attrice, che era invece rilevante a tal fine, costituito dall’offerta di integrazione del canone, nella misura di Euro 11.000,00, proveniente proprio dalla conduttrice, e ciò sul rilievo che essa fosse priva di forma scritta. In questo modo, la sentenza impugnata non avrebbe considerato che, se tale offerta fosse stata accompagnata da atti deliberativi idonea a renderla vincolante, l’accettazione della stessa da parte della locatrice (fatto del quale non può dubitarsi) avrebbe legittimato la M. a far valere un inadempimento della conduttrice, finanche con ricorso per ingiunzione ex art. 633 c.p.c., e non una pretesa risarcitoria.

4. L’ASP di Reggio Calabria è rimasta solo intimata.

5. In data 13 novembre 2018, il M.C. ha notificato all’ASP un ulteriore ricorso (in relazione al quale essa è rimasta nuovamente intimata), affermando che lo stesso “integra, presuppone e specifica quanto esposto” in quello precedente.

6. Il Procuratore della Repubblica presso questa Corte, in persona di un suo sostituto, ha rassegnato conclusioni scritte nel senso del rigetto del ricorso.

7. Il ricorrente ha presentato memoria, insistendo nelle proprie argomentazioni.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

8. In via preliminare occorre delimitare l’ambito entro il quale si svolgerà lo scrutinio di questa Corte, chiarendo che il secondo ricorso del M.C. non può essere preso in esame.

8.1. Ha infatti ribadito, di recente, questa Corte – nella sua più autorevole composizione (cfr., in motivazione, Cass. Sez. Un., ord. 9 marzo 2020, n. 6691, Rv. 657220- 01) – che “nel processo civile vige il principio di consumazione dell’impugnazione, in forza del quale la parte rimasta in tutto o in parte soccombente, esercitando il potere di impugnazione, consuma la facoltà di critica e di contestazione della decisione che la pregiudica, per cui non può proporre in prosieguo altri motivi o ripetere, specificare o precisare quelli già dedotti”, sicché “il ricorso per cassazione deve essere proposto, a pena di inammissibilità, con unico atto avente i requisiti di forma e contenuto indicati dalla pertinente normativa di rito, con la conseguente radicale ed insanabile inammissibilità di un nuovo atto successivamente notificato a modifica od integrazione del ricorso originario” (l’arresto citato richiama anche Cass. Sez. Un., sent. 11 novembre 1994, n. 9409, Rv. 488518-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 20 luglio 2012, n. 12739, non massimata), “essendo solo possibile – ove non siano decorsi i termini – la proposizione di un nuovo ricorso in sostituzione del primo, ma non anche ad integrazione o correzione di un ricorso, viziato o meno, che non sia ancora stato dichiarato inammissibile”.

Nella specie, il nuovo ricorso non sostituisce il precedente, ma – per espressa dichiarazione del ricorrente – “integra, presuppone e specifica quanto esposto” in quello originario, sicché esso, per le ragioni illustrate, non può essere preso in esame.

8. Ciò premesso, il primo ricorso va esaminato e rigettato.

8.1. Il primo motivo è in parte inammissibile e in parte non fondato.

8.1.1. Non fondata e’, in particolare, la censura che lamenta omessa pronuncia sulla richiesta di rimborso per spese di mediazione (Euro 2.115,00), dal momento che la sentenza impugnata riconosce il diritto al rimborso, ancorché per un minore importo rispetto a quello indicato dalla ricorrente, affermando che “per la procedura di mediazione” risulta “allegata copia dell’assegno non trasferibile di Euro 1.297,00 pagato all’ISMED dalla ricorrente”, soggiungendo che il gravame andava “quindi accolto” in relazione a tale importo, come attesta anche il dispositivo della sentenza. La ricorrente, dunque, avrebbe dovuto al più contestare tale “decurtazione”, e non certo un’omessa pronuncia che, sul punto, non sussiste.

Inammissibile, invece, è la censura di omessa pronuncia sulla richiesta di “pagamento dei canoni dalla data fino alla quale era indicato dal conduttore fossero stati calcolati con l’ultimo pagamento (9.6.2011) alla data dell’effettivo rilascio (verbale 15.9.2011)”. Non si comprende, per vero, a quale importo il ricorrente faccia riferimento con tale locuzione (poco intellegibile già sul piano lessicale), specie se si considera che a pag. 18 del ricorso si individuano le “omissioni” in cui sarebbe incorso il giudice di appello facendo riferimento, oltre che alle spese della procedura di conciliazione, solo alla “integrazione, a titolo di maggior danno ex art. 1591 c.c., del canone contrattuale ad Euro 11.000,00 mensili” (ovvero il profilo oggetto del terzo motivo). Pertanto, in relazione a tale censura va rilevato un difetto di autosufficienza, ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), in “applicazione del principio secondo cui “la deduzione con il ricorso per cassazione di “errores in procedendo”” (tale è il caso anche dell’omessa pronuncia), “in relazione ai quali la Corte è anche giudice del fatto, potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito, non esclude che preliminare ad ogni altro esame sia quello concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando ne sia stata positivamente accertata l’ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali”; principio affermato proprio con riferimento alla denuncia del vizio di omissione di pronuncia, in relazione al quale si è chiarito che il ricorrente “ha comunque l’onere di riprodurre gli atti e documenti del giudizio di merito nei loro passaggi essenziali alla decisione e di precisare l’esatta collocazione dei documenti nel fascicolo d’ufficio al fine di renderne possibile l’esame nel giudizio di legittimità” (Cass. Sez. 3, ord. 13 marzo 2018, n. 6014, Rv. 648411-01).

8.2. Anche il secondo motivo è inammissibile, sempre ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6).

8.2.1. Si legge nell’atto di impugnazione in esame (pag. 13) che il ricorrente ha ritenuto di dover allegare allo stesso la “comparsa 17.5.2012” dell’ASP, “perché il contenuto è essenziale ai fini di questo ricorso”, precisando, di seguito, quali fossero le domande della M. che, a dire dell’odierno ricorrente, non avrebbero formato oggetto di contestazione da parte della convenuta.

Siffatta allegazione, tuttavia, non è sufficiente perché l’odierno ricorrente possa censurare la sentenza impugnata perché non avrebbe dato rilievo a tale dedotta “non contestazione”, giacché il ricorrente avrebbe dovuto “indicare specificamente il contenuto della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori atti difensivi, evidenziando in modo puntuale la genericità o l’eventuale totale assenza di contestazioni sul punto” (cfr. Cass. Sez. 6-3, ord. 22 maggio 2017, n. 12840, Rv. 644383-01). Inoltre, l’inammissibilità della censura, sempre ai sensi della norma sopra richiamata, deriva (almeno per quanto riguarda la domanda sul “maggior danno”, in relazione alla quale il Tribunale ha ritenuto di dove dare corso ad una CTU) dal rilievo che “l’accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero d’una non contestazione” – in quanto operazione rientrante “nel quadro dell’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza dell’atto della parte” – è una “funzione del giudice di merito, sindacabile in cassazione solo per vizio di motivazione”, sicché ove esso “abbia ritenuto “contestato” uno specifico fatto e, in assenza di ogni tempestiva deduzione al riguardo, abbia proceduto all’ammissione ed al conseguente espletamento di un mezzo istruttorio in ordine all’accertamento del fatto stesso” (nel caso di specie, la CTU), “la successiva allegazione di parte, diretta a far valere l’altrui pregressa “non contestazione”, diventa inammissibile” (Cass. Sez. 2, ordin. 28 ottobre 2019, n. 27490, Rv. 655681-01).

8.3. Il terzo motivo è inammissibile, invece, per difetto di specificità, ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4).

8.3.1. Difatti, tale norma “esige l’illustrazione del motivo, con esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza” (da ultimo, Cass. Sez. Lav., ord. 18 agosto 2020, n. 17224, Rv. 65853901; nello stesso senso, tra le più recenti, Cass. Sez. Lav., sent. 26 settembre 2016, n. 18860, non massimata; Cass. Sez. 6-5, ord. 22 settembre 2014, n. 19959, Rv. 632466-01 ed altre).

Principi che valgono, vieppiù, nel caso in cui il vizio denunciato sia (come nell’ipotesi che occupa) quello di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), giacché “il vizio della violazione o della falsa applicazione della legge, (…), “giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), deve essere dedotto, a pena d’inammissibilità, mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla Corte di Cassazione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione” (da ultimo, in tal senso, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 28 ottobre 2020, n. 23745, Rv. 659448-01).

8.4. Il quarto motivo, infine, non è fondato, in relazione a ciascuna delle due censure in cui si articola.

8.4.1. Non fondata e’, in primo luogo, la censura di “omesso esame” del fatto costituito dall’invio, da parte della ASP, della proposta di modifica del canone (mai, peraltro, formalizzata e poi trasfusa in una pattuizione contrattuale) nella misura di Euro 11.000,00, e ciò perché la Corte territoriale lo ha preso in considerazione, ma vi ha negato rilievo sul presupposto che si trattava “di impegno assunto in violazione degli obblighi di forma scritta e di copertura finanziaria, necessari per ritenervi vincolata la RA.”.

8.4.2. Non fondata, del pari, è la censura di falsa applicazione dell’art. 1591 c.p.c., che il ricorrente formula contestando alla sentenza impugnata di avere erroneamente negato a quella proposta valore “presuntivo” dell’esistenza del danno consistito, per la locatrice, nella perdita della possibilità di locare il bene a terzi, se esso fosse ritornato nella disponibilità della locatrice allorché ne era stato intimato il rilascio. E’ vero, infatti, che questa Corte – con pronuncia, peraltro, rimasta isolata – ha enunciato, in passato, il principio secondo cui, “in materia di responsabilità del conduttore per il ritardato rilascio di immobile locato, ed in particolare per il maggior danno, di cui all’art. 1591 c.c., la specifica e seria proposta di nuova locazione che il giudice può valutare come prova idonea dell’effettiva lesione del patrimonio del locatore, consistente nel non aver potuto dare in locazione il bene per un canone più elevato per il tempo di ritardata restituzione dell’immobile, è anche quella proveniente dallo stesso conduttore” (Cass. Sez. 3, sent. 13 giugno 2006, n. 13653, Rv. 591118-01). Nondimeno, nel caso che qui occupa, la Corte reggina, nell’affermare – con valutazione tipicamente spettante al giudice di merito – che la proposta dell’ASP era dotata di “scarsissimo valore indiziario” dell’esistenza del maggior danno ex art. 1590 c.c., lamentato dalla locatrice, ha ritenuto, nella sostanza, carente proprio quel requisito della “serietà” della proposta previsto dall’arresto di questa Corte sopra citato. La sentenza impugnata, infatti, ha ritenuto che la generica disponibilità manifestata dall’ASP ad accettare la fissazione di un nuovo canone di locazione nella misura di Euro 11.000,00 mensili, proprio perché mai trasfusa in alcun atto formale, non potesse ritenersi espressiva di un’effettiva volontà di accettare, a quelle condizioni, il rinnovo del contratto; in tali termini, dunque, va intesa l’affermazione della Corte territoriale secondo cui quella proposta costituiva un “impegno assunto in violazione degli obblighi di forma scritta e di copertura finanziaria, necessari per ritenervi vincolata la P.A.”.

In conclusione, anche questa censura – e con essa l’intera impugnazione – va rigettata.

8. Nulla è dovuto quanto alle spese del presente giudizio, essendo rimasta solo intimata l’ASP di Reggio Calabria.

9. A carico del ricorrente, infine, stante il rigetto del ricorso, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, se dovuto, a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, all’esito di pubblica udienza della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, svoltasi – in forma camerale, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito in L. 18 dicembre 2020, n. 176, il 31 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2021

 

 

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