Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27289 del 29/12/2016


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Cassazione civile, sez. trib., 29/12/2016, (ud. 04/12/2015, dep.29/12/2016),  n. 27289

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma alla via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

B.L., BA.LI., M.P., B.G.,

rappresentati e difesi dall’avv. Livia Salvini e dall’avv. Giancarla

Branda, presso le quali sono elettivamente domiciliati in Roma al

viale Giuseppe Mazzini n. 11;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Toscana n. 30/09/08, depositata il 19 maggio 2008;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04

dicembre 2015 dal Relatore Cons. Antonio Greco;

udito l’avv. Gabriele Escalar per la contro ricorrente e ricorrente

incidentale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DEL CORE Sergio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

principale e l’assorbimento o il rigetto del ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana che, accogliendo l’appello di B.G., B.L., Ba.Li. e M.P., soci della snc B. Plast – la quale aveva definito la propria posizione fiscale ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 9 -, ha annullato gli avvisi di accertamento, ai fini dell’IRPEF per il 1999, del reddito di partecipazione alla compagine, con i quali si recuperava a tassazione l’importo dei canoni di leasing, computati dalla società fra i propri costi di gestione. Secondo l’Agenzia delle entrate, infatti, con l’affitto del ramo d’azienda alla società a responsabilità limitata B., era stata trasferita all’affittuaria anche l’utilizzazione dei beni oggetto del leasing dalla snc alla srl, con il conseguente venir meno del presupposto della deducibilità.

Secondo il giudice d’appello, il contratto di affitto d’azienda comprendente fra le attrezzature e macchinari anche i beni oggetto dei contratti di leasing, impegnava il concedente, secondo l’art. 8, a garantire il godimento degli enti affittati ed a sollevare l’affittuaria da ogni responsabilità per debiti, impegni e oneri relativi all’azienda affittata nascenti da cause antecedenti l’affitto. Tale fatto, come espressamente prevede l’art. 2558 cod. civ., esclude il subentro dell’affittuario nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa.

I contribuenti resistono con controricorso proponendo un motivo di ricorso incidentale condizionato, cui replica con controricorso l’Agenzia delle entrate.

I contribuenti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione di legge, assume che a fronte del recupero, a carico di una snc, delle somme portate in deduzione quali costi d’esercizio, relative ai canoni di leasing che la società affermava di aver pagato per il godimento di un bene strumentale, esclusivamente utilizzato da una diversa società, una srl affittuaria di un ramo d’azienda della società contribuente: violerebbe gli artt. 1362 e 1363 c.c. in materia di interpretazione dei contratti, dando nel contempo falsa applicazione dell’art. 2558 c.c., la sentenza della CTR che annulli l’atto impositivo sul presupposto che, per effetto di una clausola negoziale escludente la responsabilità dell’affittuario per i debiti nascenti da cause anteriori all’inizio dell’affitto quest’ultimo non sarebbe succeduto nel contratto di leasing, rimanendo quindi obbligata anche per le prestazioni successive (canoni di leasing) la snc, che quindi avrebbe legittimamente dedotto i relativi costi, anzichè prendere atto che la detta clausola prevedeva solo una garanzia di carattere obbligatorio riferita ai debiti pregressi e nulla diceva in merito alla successione nei contratti, principio ribadito da una precedente clausola negoziale che aveva già a monte escluso dal novero dei rapporti attribuiti all’affittuario i debiti e crediti aziendali fino a quel momento maturati, che per tali rimanevano a carico e/o a favore del concedente.

Con il secondo motivo, denunciando violazione dell’art. 67, commi 8 e 9, tuir, sostiene che a fronte del recupero, a carico di una snc, delle somme portate in deduzione quali costi d’esercizio, relative ai canoni di leasing che la società affermava di aver pagato per il godimento di un bene strumentale, esclusivamente utilizzato da una diversa società, una srl affittuaria di un ramo d’azienda della società contribuente: violerebbe l’art. 67, commi 8 e 9, tuir, la sentenza della CTR che annulli tale atto impositivo, sul presupposto che la snc sarebbe comunque legittimata a dedurre i corrispettivi versati al concedente il leasing, nonostante il bene venga ormai materialmente utilizzato dal solo affittuario, in quanto un utilizzo da parte sua (della snc contribuente, cioè) potrebbe ravvisarsi nel fatto di trarne dei redditi (non precisati) in ragione del ricarico di tali oneri sul complessivo canone d’affitto dell’azienda, anzichè prendere atto che l’art. 67 del tuir ammette alla deduzione solo i costi caratterizzati dal requisito dell’inerenza, ovverosia i costi dei beni materialmente strumentali per l’esercizio dell’impresa, e non altri.

Con il terzo motivo denuncia insufficiente motivazione in ordine all’asserito “ricarico” delle somme corrisposte dalla snc contribuente (affittante il ramo d’azienda) ad un terzo soggetto, concedente il bene in leasing, bene concretamente utilizzato dalla srl (affittuaria) nello svolgimento della propria attività imprenditoriale.

Con l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato la società contribuente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2558 cod. civ., “per avere la sentenza impugnata erroneamente ritenuto applicabile la norma in rubrica nonostante i contratti di leasing dei beni appartenenti all’azienda affittata fossero stati interamente eseguiti da una delle relative parti contrattuali”.

Il ricorso principale, i cui motivi vanno esaminati congiuntamente in quanto legati, è fondato.

A norma dell’art. 2558 cod. civ., “se non è pattuito diversamente, l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale”: tale disposizione si applica “anche nei confronti dell’usufruttuario e dell’affittuario per la durata dell’usufrutto e dell’affitto”.

Questa Corte ha chiarito come per “l’affitto d’azienda, l’art. 2558 cod. civ. considera come effetto naturale dell’affitto, salvo patto contrario, il subingresso dell’affittuario nei contratti inerenti all’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale, e tale effetto esclude (con conseguente mancata liberazione del locatore d’azienda e contraente originario) solo in presenza di una specifica manifestazione di opposizione dell’altro contraente. Ne consegue che, in presenza dei detti presupposti (inerenza del contratto all’azienda; carattere non personale dello stesso), affinchè si realizzi la successione dell’affittuario nel contratto, non è necessario dimostrare il consenso del terzo contraente” (Cass. n. 11618 del 2004, costituente applicazione del generale principio ribadito da Cass. n. 3312 del 2001 e n. 4301 del 1999).

Una siffatta “diversa pattuizione”, un tale patto contrario non è dato ravvisare nella specie, non potendosi essi ricavare dalla previsione (all’art. 8) del contratto di affitto dell’azienda, previsione su cui è imperniata la sentenza impugnata, secondo cui “la concedente garantisce il pieno e pacifico godimento degli enti affittati. In particolare si impegna a sollevare l’affittuaria da ogni e qualsiasi responsabilità per debiti, impegni e oneri relativi all’impresa affittata, nascenti da cause antecedenti l’affitto (ovvero anteriori all’inizio dell’affitto)”, clausola che quindi erroneamente il giudice d’appello ha ritenuto “espressa precisazione contrattuale derogatoria della regola generale come disposta dall’art. 2558 c.c.”.

Non sembra pertanto corretto ricondurre la figura dell’utilizzatore nel rapporto di leasing non già all’imprenditore affittuario dell’azienda, ma al concedente, quale è nella specie la società in none collettivo contribuente (“nel caso l’utilizzazione sussiste per il fatto che i beni danno luogo ad attività ed operazioni da cui (si) ricavano ricavi e proventi che concorrono a formare il reddito d’impresa della snc. Nella fattispecie è pacifico che l’affitto del ramo d’azienda comprendente i beni in leasing ha prodotto un reddito per la snc-).

Poichè l’inerenza dei costi va riferita all’attività svolta dall’impresa, la deduzione dei canoni per i beni concessi in locazione finanziaria è ammessa, a norma dell’art. 67, comma 8, tuir, “da parte dell’impresa utilizzatrice”, come è del resto per le altre componenti negative, secondo il successivo comma 9 “Per le aziende date in affitto o in usufrutto le quote di ammortamento sono deducibili nella determinazione del reddito dell’affittuario o dell’usufruttuario”.

In proposito questa Corte ha affermato che per la determinazione del reddito d’impresa, “le quote di ammortamento delle aziende date in affitto (o in usufrutto), ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, comma 9 e del D.P.R. n. 42 del 1988, art. 14, comma 2 sono deducibili dal reddito dell’affittuario (o dell’usufruttuario), non da quello del concedente, tranne che quest’ultimo, all’atto della concessione in affitto, abbia pattuito con l’affittuario una deroga convenzionale degli artt. 2561 e 2562 cod. civ.” (Cass. n. 18537 del 2010); e che “nell’ipotesi di affitto di ramo d’azienda al proprietario non può competere alcuna deduzione delle quote di ammortamento fino a quando i beni restano nella libera disponibilità dell’affittuario” (Cass. n. 997 del 2001).

In conclusione, i primi due motivi vanno accolti, con assorbimento dell’esame del terzo motivo e del ricorso incidentale condizionato, la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto del ricorso introduttivo dei contribuenti.

Le spese del processo seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

La Corte accoglie il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta il ricorso introduttivo dei contribuente.

Condanna i contribuenti al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 5.000 oltre alle spese prenotate a debito, nonchè a quelle per il primo ed il secondo grado, liquidate rispettivamente in Euro 600 ed in Euro 800.

Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2016

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