Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27285 del 29/12/2016


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Cassazione civile, sez. trib., 29/12/2016, (ud. 27/11/2015, dep.29/12/2016),  n. 27285

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

ELETTROTECNICA FOSSATI srl, rappresentata e difesa dall’avv. Giuseppe

Maria Cipolla, presso il quale è elettivamente domiciliata in Roma

al viale Giuseppe Mazzini n. 11;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma alla via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 40/37/08, depositata il 2 maggio 2008;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27

novembre 2015 dal Relatore Cons. Antonio Greco;

uditi l’avv. Giuseppe Maria Cipolla per la ricorrente e l’avvocato

dello Stato Giancarlo Caselli per la controricorrente;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La srl Elettronica Fossati unipersonale in liquidazione propone ricorso per cassazione, sulla base di sei motivi, illustrati con successiva memoria, nei confronti della sentenza della CTR della Lombardia che, accogliendo parzialmente l’appello dell’Agenzia delle entrate, rideterminava in Euro 326.515 la somma ripresa a tassazione ai fini dell’IRPEG e dell’IRAP per l’anno 2003 – che l’ufficio aveva determinato in Euro 553.515 -, iscritta nel bilancio dell’esercizio fra le passività dello stato patrimoniale quale saldo del conto “clienti conto anticipi”.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo del ricorso la società contribuente lamenta che l’appello dell’ufficio sia stato ritenuto ammissibile benchè non fosse stata prodotta l’autorizzazione all’appello di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 52, comma 2.

Il motivo è infondato, ove si consideri che “nel processo tributario, la disposizione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 52, comma 2, secondo la quale gli uffici periferici del dipartimento delle entrate del Ministero delle finanze e gli uffici del territorio devono essere previamente autorizzati alla proposizione dell’appello principale, rispettivamente, dal responsabile del servizio del contenzioso della competente direzione generale delle entrate e dal responsabile del servizio del contenzioso della competente direzione compartimentale del territorio, non è più suscettibile di applicazione una volta divenuta operativa – in forza del D.M. Economia 28 dicembre 2000 – la disciplina recata dal D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, art. 57 che ha istituito le agenzie fiscali, attribuendo ad esse la gestione della generalità delle funzioni in precedenza esercitate dai dipartimenti e dagli uffici del Ministero delle finanze, e trasferendo alle medesime i relativi rapporti giuridici, poteri e competenze, da esercitarsi secondo la disciplina dell’organizzazione interna di ciascuna agenzia. A seguito della soppressione di tutti gli uffici ed organi ministeriali ai quali fa riferimento il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 52, comma 2, infatti, da tale norma non possono farsi discendere condizionamenti al diritto delle agenzie di appellare le sentenze ad esse sfavorevoli delle commissioni tributarie provinciali” (Cass. sez. un., 14 gennaio 2005, n. 604).

Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell’art. 1666 cod. civ. e art. 75, comma 2, lett. b), del tuir per avere la sentenza impugnata ritenuto che essa contribuente “avrebbe dovuto rilevare nel bilancio di esercizio come ricavi relativi ai contratti annuali di appalto ad esecuzione frazionata, per espressa volontà contrattuale, oggetto dell’accertamento, pur in assenza dell’ultimazione dei lavori e dell’accettazione della relativa partita da parte del committente, le fatture da essa invece contabilizzate come acconti mediante iscrizione nel conto clienti c/ anticipi”.

Con il terzo motivo si duole dell’omessa motivazione della sentenza “allorchè, per confermare la pretesa dell’ufficio, ha dichiarato di essersi basata sull’esame di elementi di prova (costituiti, nel caso di specie” dalle fatture relative ai contratti richiamati nel pvc e solo genericamente indicate in un prospetto allegato) mai acquisiti agli atti del processo.

Il secondo motivo è inammissibile in quanto, sotto la veste di una denuncia di violazione di legge, si risolve a ben vedere nella contestazione di accertamenti di fatto, mentre il terzo motivo si palesa inammissibile come denuncia di omessa motivazione, configurandosi eventualmente come denuncia di un vizio revocatorio.

Con il quarto motivo lamenta la violazione dell’art. 2697 cod. civ. e dei principi generali in tema di distribuzione degli oneri probatori per avere il giudice d’appello “posto a fondamento della decisione prove documentali (le fatture emesse dalla società nei confronti dei propri committenti) della propria pretesa ma dallo stesso ufficio mai prodotte in giudizio”.

Il motivo è infondato, entro i limiti in cui assegna all’amministrazione l’onere della prova di componenti negative, onere che grava invece sul contribuente.

Con il quinto motivo si duole, sotto il profilo dell’omessa motivazione, che la CTR, “in presenza di una ricostruzione analitico induttiva operata dalla società sulla scorta di un ampio apparato documentale da cui risulti che la ripresa a tassazione operata dall’A.F. è incongruente rispetto alla propria effettiva capacità economico produttiva (intesa anche come capacità di fatturare un determinato monte ore lavorate sulla base dei lavori dipendenti a propria disposizione), abbia fornito una motivazione non adeguata allorchè ha pretermesso, senza spiegarne le ragioni, l’esame di tale ricostruzione e di tale documentazione”.

Il motivo è infondato, in quanto nella sostanza con esso si oppone una ricostruzione dei fatti diversa da quella compiuta dal giudice di merito sulla base degli elementi e fatti ritenuti rilevanti, senza denunciarne adeguatamente alcun vizio logico.

Con l’ultimo motivo denuncia violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. assumendo che la CTR era tenuta a pronunziarsi su tutte le domande formulate dalle parti e, in particolare, sulla domanda della contribuente – proposta in primo grado, rimasta assorbita nella statuizione di prime cure e riproposta nell’atto di controdeduzioni depositato in secondo grado – intesa ad ottenere l’annullamento delle sanzioni irrogate contestualmente all’avviso di accertamento impugnato, per averle l’ufficio irrogate in difetto del requisito di colpevolezza previsto dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 1, secondo periodo”.

Il motivo è infondato, in quanto, premesso che, secondo la disposizione da ultimo richiamata, “le rilevazioni eseguite nel rispetto della continuità dei valori di bilancio e secondo corretti criteri contabili non danno luogo a violazioni punibili”, il giudice d’appello si è pronunciato sulle rilevazioni della società contribuente, osservando che le fatture dell’anno 2003, che secondo la contribuente erano state legittimamente iscritte nel conto “clienti conto anticipi”, “andavano invece imputate al conto economico secondo quanto accertato e sostenuto da ultimo nel proprio appello dall’ufficio, in quanto corrispettivi riferibili a stati di avanzamento lavori definitivi e non di acconto: il Collegio esaminate le stesse rileva che le fatture emesse nel corso dell’esercizio 2003 a nome di clienti diversi per un totale di… sono tutte riferibili al corrispettivo di stati di avanzamento lavori contrattuali ovvero a prestazioni extracontrattuali già eseguite e che per loro natura non risultano suscettibili di essere successivamente completate”.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in Euro 11.000 per compensi di avvocato oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 27 novembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2016

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