Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27282 del 05/12/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 27282 Anno 2013
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: NOBILE VITTORIO

SENTENZA

sul ricorso 20475-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, PIAZZA G. MAZZINI 27, presso lo
STUDIO TRIFIRO’ & PARTNERS, rappresentata e difesa
dall’avvocato SALVATORE TRIFIRO’, giusta delega in
2013

atti;
– ricorrente –

2920

contro

MAZZEI FRANCESCO;
– intimato –

Data pubblicazione: 05/12/2013

Nonché da:
MAZZEI FRANCESCO C.F. MZZFNC79L27H703R, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI GENTILE 8, presso
lo studio dell’avvocato MARTORIELLO MASSIMO,
rappresentato e difeso dall’avvocato COGO GIOVANNA,

– controricorrente e ricorrente incidentale contro

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, PIAZZA G. MAZZINI 27, presso lo
STUDIO TRIFIRO’ & PARTNERS, rappresentata e difesa
dall’avvocato SALVATORE TRIFIR0′, giusta delega

o

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 736/2007 della CORTE D’APPELLO
di MILANO, depositata il 30/07/2007 R.G.N. 1955/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 17/10/2013 dal Consigliere Dott. VITTORIO
NOBILE;
udito l’Avvocato ZUCCHINALI PAOLO per delega TRIFIRO’
SALVATORE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per il
rigetto di entrambi i ricorsi.

giusta delega in atti;

R.G. 20475/2008
FATTO E DIRITTO

t.

Con sentenza n. 228/2004 il Giudice del lavoro del Tribunale di Varese, in
accoglimento della domanda proposta da Francesco Mazzei nei confronti della

lavoro concluso tra le parti per “esigenze eccezionali” ex art. 8 ceni 1994 come
integrato dall’acc. 25-9-97, per il periodo 29-10-1998/30-4-1999, con
conseguente sussistenza di un rapporto a tempo indeterminato dal 29-10-1998,
e condannava la società al ripristino del rapporto e alla corresponsione delle
retribuzioni maturata dalla messa in mora, ravvisata nella notifica della
richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione.
Sull’appello della società, la Corte d’Appello di Milano, con sentenza
depositata il 30-7-2007, confermava la pronuncia di primo grado e condannava
la società a pagare al Mazzei euro 650,00 per le spese del grado.
Per la cassazione di tale sentenza la s.p.a. Poste Italiane ha proposto
ricorso con nove motivi. Il Mazzei ha resistito con controricorso ed ha proposto
ricorso incidentale con un unico motivo. La società, a sua volta, ha resistito con
controricorso al ricorso incidentale di controparte e, da ultimo ha depositato
memoria ex art. 378 c.p.c..
Infine il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata.
Ciò posto, riuniti preliminarmente i ricorsi avverso la stessa sentenza ex
art. 335 c.p.c.., va rilevato che con il primo motivo la ricorrente principale
censura l’impugnata sentenza nella parte in cui ha respinto l’eccezione di
risoluzione del rapporto per mutuo consenso tacito, nonostante la mancanza di
una qualsiasi manifestazione di interesse alla funzionalità di fatto del rapporto,
1

s.p.a. Poste Italiane, dichiarava la nullità del termine apposto al contratto di

per un apprezzabile lasso di tempo anteriore alla proposizione della domanda e
la conseguente presunzione di estinzione del rapporto stesso.
Il motivo non merita accoglimento.

ou

Come questa Corte ha più volte affermato “nel giudizio instaurato ai fini

indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un
termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione del
rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata — sulla base del
lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine,
nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze
significative — una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre
definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo” (v. Cass. 10-11-2008 n.
26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, nonché da
ultimo Cass. 18-11-2010 n. 23319, Cass. 11-3-2011 n. 5887, Cass. 4-8-2011 n.
16932). La mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a
termine, quindi, “è di per sé insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione
del rapporto per mutuo consenso” (v. da ultimo Cass. 15-11-2010 n. 23057,
Cass. 11-3-2011 n. 5887), mentre “grava sul datore di lavoro”, che eccepisca
tale risoluzione, “l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la
volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni
rapporto di lavoro” (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070 e fra le altre da ultimo Cass.
1-2-2010 n. 2279).
Tale principio, del tutto conforme al dettato di cui agli art. 1372 e 1321
c.c., va ribadito anche in questa sede, così confermandosi l’indirizzo prevalente
ormai consolidato, basato in sostanza sulla necessaria valutazione dei
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del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo

comportamenti e delle circostanze di fatto, idonei ad integrare una chiara
manifestazione consensuale tacita di volontà in ordine alla risoluzione del
rapporto, non essendo all’uopo sufficiente il semplice trascorrere del tempo e
neppure la mera mancanza, seppure prolungata, di operatività del rapporto.

fattispecie, l’ultimo dei quattro contratti a termine è scaduto 1’11-6-2001 ed il
Mazzei si è per la prima volta attivato nel luglio 2003, con la richiesta di
convocazione per il tentativo obbligatorio di conciliazione ex art. 410 c.p.c…
Non si tratta quindi di un lasso di tempo talle da poter essere valutato senza la
concorrenza di altri elementi, come idoneo comunque a far ritenere risolto il
rapporto”.
Tale accertamento di fatto, conforme ai principi sopra richiamati, risulta
altresì congruamente motivato e resiste alla censura della ricorrente.
Con i motivi dal secondo al quinto la società censura, sotto vari profili di
violazioni di legge e vizi di motivazione, la sentenza impugnata nella parte in
cui ha affermato la nullità del termine apposto al contratto de quo in quanto
concluso per esigenze eccezionali” successivamente al termine ultimo (30-41998) fissato dalle parti collettive. In particolare la società sostiene la
insussistenza di tale limite e la natura meramente ricognitiva degli accordi
attuativi dell’accordo 25-9-97.
I motivi sono infondati in base all’indirizzo ormai consolidato in materia
dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al
ceni del 2001 ed al d.lgs. n. 368 del 2001).
Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato
che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ex art. 23 della legge n. 56 del
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Orbene nella fattispecie la Corte di merito ha rilevato che “nella

1987, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli
previsti dalla legge n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di
considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato

012

del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro

lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo
indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi
specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a
condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare
contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di
procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063, v.
anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n.
14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei
contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi
vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste
dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale
in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato.” (v., fra le altre,
Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).
In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia
stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto
collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione
del termine (v. fra le altre Cass. 23-8-2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745,
Cass. 14-2-2004 n. 2866).
In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente affermato e
come va anche qui ribadito, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti
4

diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di

postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8
del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo,
sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la
sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica

assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998;
ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine
cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo
derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi
contratti a tempo indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962
n. 230” (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007 n. 20608; Cass. 28-11-2008 n. 28450;
Cass. 4-8-2008 n- 21062; Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).
In applicazione di tale principio vanno quindi respinti i motivi dal secondo
al quinto.
Con il sesto e il settimo motivo la società lamenta la violazione dei
principi sulla messa in mora e sulla corrispettività delle prestazioni, per aver la
Corte di merito, erroneamente e con motivazione contraddittoria, ritenuto atto
idoneo alla costituzione in mora la comunicazione della richiesta del tentativo
obbligatorio di conciliazione.
Osserva il collegio che, a parte la assoluta genericità del quesito con cui si
conclude il sesto motivo (inidoneo ex art. 366 bis c.p.c. applicabile ratione
temporis, cfr. fra le altre Cass. 4-1-2011 n. 80), le censure risultano del tutto
astratte e generiche e prive di autosufficienza.
Invero la società si limita in sostanza ad invocare la necessità di una
effettiva messa in mora e a negare che la stessa sussistesse nella fattispecie,
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dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli

senza minimamente riportare il contenuto della comunicazione della richiesta
del tentativo obbligatorio di conciliazione che, contrariamente a quanto
espressamente affermato dalla Corte di merito, non avrebbe integrato un atto di
messa in mora.

relativa all’aliunde perceptum, contenuta nell’ottavo motivo.
A fronte, infatti della decisione della Corte di merito che ha rilevato che
l’eccezione è stata svolta dalla società “solo attraverso richiami in via
presuntiva ad una probabile altra attività”, anche sul punto la ricorrente si
limita a ribadire il proprio assunto astratto e generico, senza specificare come e
in quali termini abbia allegato davanti ai giudici di merito un aliunde
perceptum (in relazione al quale è pur sempre necessaria una rituale
acquisizione della allegazione e della prova, pur non necessariamente
proveniente dal datore di lavoro in quanto oggetto di eccezione in senso lato cfr.. Cass. 16-5-2005 n. 10155, Cass. 20-6-2006 n. 14131, Cass. 10-8-2007 n.
17606, Cass. S.U. 3-2-1998 n. 1099 -).
Infine, con il nono motivo si lamenta la mancata valutazione
dell’eventuale concorso colposo del lavoratore, nella ricerca di un nuovo posto
di lavoro.
Anche tale motivo risulta del tutto generico e privo di autosufficienza
(peraltro con un quesito altrettanto generico ed astratto), trattandosi di
questione nuova, che postula nuovi accertamenti di fatto, sulla quale manca in
ricorso qualsiasi indicazione specifica in ordine all’avvenuta deduzione davanti
ai giudici di merito (cfr. Cass. 15-2-2003 n. 2331, Cass. 10-7-2001 n. 9336).

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Parimenti, poi, del tutto generica e priva di autosufficienza è la censura

Così risultati inammissibili i motivi dal sesto al nono, riguardanti le
– conseguenze economiche della nullità del termine, neppure potrebbe incidere
in qualche modo nel presente giudizio lo ius superveniens, rappresentato
dall’art. 32, commi 5 0 , 6° e 7° della legge 4 novembre 2010 n. 183.

principio, costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di
legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva,
una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in
qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso,
in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato
dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 272-2004 n. 4070).
In tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe,
anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad
essere sussistente, sia altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria (v.
fra le altre Cass. 4-1-2011 n. 80 cit.).
Orbene tale condizione non sussiste nella fattispecie.
Il ricorso principale va pertanto respinto.

Va, invece, accolto il ricorso incidentale con il quale il Mazzei censura la
liquidazione delle spese di appello, operata, in violazione dei minimi di tariffa
all’epoca vigenti e, unitariamente, in complessivi euro 650,00.
Al riguardo questa Corte ha più volte affermato che “in tema di spese
processuali, il giudice, nel pronunciare la condanna della parte soccombente al
rimborso delle spese e degli onorari, in favore della controparte, deve
liquidarne l’ammontare separatamente; ne consegue l’illegittimità della mera
7

Al riguardo, infatti, come questa Corte ha più volte affermato, in via di

indicazione dell’importo complessivo e della mancata specificazione degli
onorari e delle spese, in quanto non consente il controllo sulla correttezza della
liquidazione, anche in ordine al rispetto delle relative tabelle.” (v. Cass. 10-3-

vfia

2008 n. 6338, cfr. Cass. 25-11-2011 n. 24890).
Il ricorso va pertanto accolto e la causa, sul punto, può essere decisa nel

merito, con l’accoglimento delle richieste del Mazzei.
Al riguardo, infatti, va rilevato che la nota spese riportata nel ricorso
incidentale, redatta in base alla tariffa vigente ratione temporis (D.M. n.
127/2004), nei diritti (euro 505,00) rispecchia in pieno la attività professionale
svolta, come risultante dagli atti, e negli onorari (euro 935,00) appare altresì
congrua, anche in considerazione della natura della controversia.
Infine, in ragione della soccombenza, la società va condannata al
pagamento in favore del Mazzei delle spese del presente giudizio di cassazione,
liquidate come in dispositivo ai sensi del D.M. n. 140/2012.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale, accoglie il ricorso
incidentale, cassa l’impugnata sentenza in relazione al ricorso accolto e,
decidendo nel merito, liquida le spese del giudizio di appello in complessivi
euro 1.620,00, di cui 505,00 per diritti, 935,00 per onorari e 180,00 per spese
generali, oltre accessori di legge; condanna la società a pagare al Mazzei le
spese del presente giudizio di cassazione , liquidate in euro 100,00 per esborsi
e euro 3.500,00 per compensi, oltre accessori di legge.
Roma 17 ottobre 2013
IL CONSIGLIERE ESTENSORE

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