Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27279 del 24/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 24/10/2019, (ud. 29/05/2019, dep. 24/10/2019), n.27279

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Mar – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. SAIJA S. – rel. Consigliere –

Dott. DI NAPOLI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13133-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ “DOTT. F. P. SRL”, in persona del legale rappresentante

pro tempore, con domicilio eletto in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso la

cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’Avvocato NICOLA VERDERICO (ex art. 135);

– controricorrente –

e contro

SERIT SICILIA SPA; P.F., QUALE AMMINISTRATORE UNICO

DELLA SOCIETA'”DOTT. F. P. SRL”;

– intimati –

avverso la sentenza n. 65/2011 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

MESSINA, depositata il 18/04/2011;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

29/05/2019 dal Consigliere Dott. SALVATORE SAIJA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

All’esito di controllo automatizzato della dichiarazione dei redditi presentata da “Dott. F. P. s.r.l.” per l’anno di imposta 2004, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 – bis e ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 – bis, vennero recuperati a tassazione con cartella di pagamento per omessi versamenti IVA, IRPEF e IRAP, complessivi Euro 69.571,35.

La contribuente propose un primo ricorso dinanzi alla C.T.P. di Messina (iscritto al n. 5079/09 R.G.R.), chiedendo l’annullamento della cartella, nonchè un secondo ricorso (iscritto al n. 4983/09 R.G.R.), di identico contenuto. La C.T.P., decidendo su quest’ultimo con sentenza n. 907/09/09, depositata il 17.12.2009, dichiarò l’inammissibilità del ricorso, compensando le spese del giudizio. La stessa C.T.P., decidendo sul primo ricorso, con sentenza n. 474/09/10, depositata il 22.4.2010, lo dichiarò del pari inammissibile, compensando le spese del giudizio. Avverso tale ultima sentenza, la società propose appello, dichiarato però inammissibile dalla C.T.R. della Sicilia, sez. dist. di Messina, con sentenza n. 64/02/11, depositata il 18.4.2011. La stessa società, però, propose appello anche avverso la sentenza n. 907/09/09, depositata il 17.12.2009, ossia la prima; e la C.T.R. della Sicilia, sez. st. di Messina, l’accolse con sentenza n. 65/02/11, anch’essa depositata il 18.4.2011. Osservò il giudice del gravame che, in relazione alla pendenza dei due giudizi avverso la medesima cartella di pagamento, la circostanza che in un caso l’agente della riscossione evocato in giudizio fosse stato identificato in MontePaschi Serit s.p.a., e nell’altro fosse stato invece identificato in Serit Sicilia s.p.a., non consentisse di ritenere l’identità delle due cause, invece affermata dalla C.T.P. e posta a fondamento della declaratoria di inammissibilità.

Avverso tale ultima decisione, l’Agenzia delle Entrate ricorre ora per cassazione, sulla base di tre motivi, cui resiste la società intimata con controricorso, illustrato da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo motivo, si lamenta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La ricorrente contesta l’affermazione della C.T.R. secondo cui non si sarebbe al cospetto, nella specie, di due cause identiche, perchè nell’un caso è stata evocata Montepaschi Se.Ri.T. s.p.a. e nell’altro Se.Ri.T. Sicilia s.p.a. Si tratta, in realtà, dello stesso soggetto giuridico, così da ultimo denominato a seguito di mero cambio della denominazione. Da qui, pertanto, l’errore del giudice d’appello, per non aver rilevato il divieto del ne bis in idem.

1.2 – Con il secondo motivo, si denuncia violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2 e del D.P.R. n. 636 del 1972, art. 39, in combinato disposto con l’art. 273 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Secondo la ricorrente, avrebbe errato la C.T.R., una volta accertata l’identità delle cause, a non riunirle, come oggi consentito in forza dell’applicazione dei principi del processo civile.

1.3 – Con il terzo motivo, infine, si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. La C.T.R. avrebbe pronunciato d’ufficio sulla decadenza, eccezione non riproposta in appello da parte della contribuente, neanche mediante richiamo alle difese di primo grado.

2.1 – Il primo motivo è inammissibile.

A parte la considerazione che l’Agenzia ricorrente afferma solo labialmente l’identità tra MPSerit s.p.a. e Serit Sicilia s.p.a., senza minimamente sforzarsi di documentarla, nel corpo del mezzo in esame si discetta di una presunta violazione del giudicato esterno, che tuttavia non viene neanche individuato (nè, a seguire fino in fondo l’iter logico della doglianza, esso è tampoco individuabile). Infatti, la causa parallela è stata decisa dalla C.T.R. nella stessa data rispetto a quella della decisione qui impugnata, sicchè non si vede come con quest’ultima possa essere stata violato un giudicato ovviamente inesistente.

E’ ampiamente verosimile, in realtà, che la ricorrente volesse sostenere che non si può proporre la stessa causa con due ricorsi: a prescindere dai rimedi spendibili in tale evenienza, la tesi sarebbe in tal caso corretta, ma si tratta pur sempre di questione affatto diversa rispetto a quella denunciata col mezzo in esame. Il motivo è quindi inammissibile, (almeno) per difetto di specificità.

3.1 – Anche il secondo motivo è inammissibile.

Pur volendo darsi per dimostrato che effettivamente le due cause fossero identiche, è evidente come difetti l’interesse a ricorrere, ex art. 100 c.p.c., non risultando essere stata impugnata da alcuno la sentenza “gemella” della C.T.R. n. 64/02/11, depositata il 18.4.2011.

Pertanto, ove anche la denuncia in discorso fosse ammissibile in questa sede (il che non è, noto essendo che i provvedimenti in tema di riunione e separazione di cause hanno natura meramente ordinatoria, discendono dall’esercizio di potere discrezionale da parte del giudice, sono impugnabili e comunque insindacabili in sede di legittimità – v. da ultimo Cass. n. 8034/2018), l’eventuale cassazione con rinvio non muterebbe i termini del problema, stante la sussistenza – stavolta sì – di una sentenza oramai passata in giudicato (C.T.R. n. 64/02/11, depositata il 18.4.2011).

Ad abundantiam, può pure evidenziarsi che, anche assumendo per ipotesi che la sentenza qui impugnata sia stata resa in violazione dell’art. 273 c.c. (in combinato disposto con il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2), la sentenza stessa non può dirsi nulla ex se, tale sanzione non essendo prevista dal alcuna norma (Cass. n. 5504/1985; n. 3586/1978).

4.1 – Infine, il terzo motivo è infondato.

Infatti, l’Agenzia afferma che la questione della decadenza dal potere di notificare la cartella non è stata riproposta dalla società con l’appello, neanche mediante richiamo generico alle difese di primo grado. In proposito, la società sostiene invece di avervi provveduto, richiamando “… quanto già esposto e… quanto già dedotto in primo grado da intendersi qui integralmente trascritto”. Ora, è pur vero che dalla lettura della sentenza impugnata parrebbe doversi evincere che la società si fosse limitata a chiedere la rimessione alla C.T.P. (in sostanza, come se quello denunciato fosse un vizio restitutorio). Tuttavia, dalla lettura dell’appello della società (all. 3 al controricorso), risulta inequivocabilmente che, seppur in subordine, la società stessa ha chiesto la decisione nel merito (“… 2) in subordine dichiarare nulla e priva di effetto giuridico la cartella dei pagamenti impugnata descritta in narrativa…”).

Da quanto precede, discende dunque che l’effetto devolutivo in appello ha investito anche il merito (sia in forza della relatio alle difese di primo grado, come emerge dalla frase riportata in controricorso e prima trascritta, sia per effetto della descritta domanda subordinata), sicchè non può configurarsi alcuna ultrapetizione.

5.1 – In definitiva, il ricorso è rigettato. Quanto alle spese di questa fase, la mancanza di plausibile motivo circa la proposizione di due cause di identico contenuto da parte della società controricorrente, con le conseguenti complicazioni che hanno generato anche questo giudizio di legittimità, ne giustifica ampiamente l’integrale compensazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di cassazione, il 29 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2019

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