Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27278 del 29/12/2016


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Cassazione civile, sez. un., 29/12/2016, (ud. 25/10/2016, dep.29/12/2016),  n. 27278

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente di Sez. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sez. –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18338-2014 proposto da:

F.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LAURA MANTEGAZZA

24, presso il dott. MARCO GARDINI, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIUSEPPE GALLO, per delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

REGIONE PUGLIA, in persona del Presidente della Giunta regionale pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSSERIA 2, presso

il dott. ALFREDO PLACIDI, rappresentata e difesa dall’avvocato IDA

MARIA DENTAMARO, per delega a margine del controricorso;

A.T.M., + ALTRI OMESSI

B.P., + ALTRI OMESSI

P.G.S., + ALTRI OMESSI

D.C.G., L.N., D.G., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA COSSERIA 2, presso il dott. ALFREDO

PLACIDI, rappresentate e difese dall’avvocato ANTONIO LEONARDO

DERAMO, per delega a margine del controricorso;

A.A., + ALTRI OMESSI

M.F.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DESSIE’ 15, presso il sig. GIOVANNI GIACOMO MILLEFIORI,

rappresentato e difeso dall’avvocato TOMMASO MILLEFIORI, per delega

a margine del controricorso;

C.M.A., + ALTRI OMESSI

A.F., + ALTRI OMESSI

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1941/2014 del CONSIGLIO DI STATO, depositata

il 16/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/10/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO MANNA;

uditi gli avvocati Giuseppe GALLO, Nino Sebastiano MATASSA per delega

dell’avvocato Antonio Leonardo Deramo, Francesco MERCOGLIANO per

delega dell’avvocato Marcello Pennetta, Rachele Valeria PUTIGNANO

per delega dell’avvocato Nicola Putignano, Giovanni PESCE e Ida

Maria DENTAMARO;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. FUZIO Riccardo,

che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 354/10 la Corte cost. dichiarò l’illegittimità costituzionale della L.R. n. 14 del 2004, art. 59, comma 3.

Tale norma aveva fatto salvo ogni inquadramento effettuato in base ai concorsi per 863 posti nelle qualifiche di istruttore direttivo funzionario presso la Regione Puglia (qualifiche 78 e 8a), riservati esclusivamente al personale interno avente la qualifica immediatamente inferiore a quella dei posti messi a concorso.

Tali concorsi erano stati già annullati in sede giurisdizionale nel 2004 dal TAR con sentenze passate in giudicato, annullamenti che, a loro volta, erano stati disposti a seguito della sentenza n. 373/02 della Corte cost., che aveva giudicato costituzionalmente illegittima (per contrasto con la regola del pubblico concorso) la riserva dei posti a favore di detto personale e il carattere esclusivamente interno delle selezioni.

F.D., odierna ricorrente, dopo aver invano chiesto che la Regione provvedesse ad indire i concorsi (vista la dichiarata illegittimità costituzionale delle sanatorie), ex artt. 31 e 117 cod. proc. amm. agì contro il silenzio dell’amministrazione territoriale e ne chiese la condanna al risarcimento dei danni conseguenti.

Nelle more sopravvennero la L.R. n. 28 del 2011, art. 1 e L.R. n. 38 del 2011, art. 47: il primo statuì che i dipendenti coinvolti dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale degli inquadramenti a sanatoria di cui alla L. Statale n. 14 del 2004 fossero adibiti a mansioni proprie della categoria in cui erano inquadrati alla data di pubblicazione della legge stessa; il secondo demandò ai competenti uffici una ricognizione del personale interessato a tale nullità e dispose una moratoria di ogni atto di attuazione di quest’ultima.

Con sentenza depositata il 16.4.14 il Consiglio di Stato dichiarò improcedibile l’appello di F.D. contro la sentenza del TAR Puglia che ne aveva respinto il ricorso per l’attuazione, da parte della Regione, dell’obbligo di indire i concorsi vista la dichiarata illegittimità costituzionale delle sanatorie. L’improcedibilità dell’appello era derivata dall’essere, nelle more, venuta meno l’inerzia dell’amministrazione, che aveva provveduto a bandire un pubblico concorso per l’assunzione di 200 dipendenti in area D.

Sempre nella citata sentenza il Consiglio di Stato ritenne, poi, irrilevante la questione di costituzionalità della sanatoria intervenuta grazie al D.L. n. 216 del 2011, art. 11, comma 6-sexies (convertito in L. n. 14 del 2012), non avendo la ricorrente impugnato in sede propria i provvedimenti della Regione che avevano consolidato la posizione dei dipendenti a suo tempo promossi.

F.D. ha proposto ricorso per la cassazione di tale declaratoria di improcedibilità dell’appello affidandosi a tre motivi.

Hanno resistito con dieci distinti controricorsi la Regione Puglia e gli intimati che avevano partecipato al giudizio quali controinteressati.

La Regione Puglia ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Il primo motivo denuncia eccesso di potere giurisdizionale per omessa applicazione del giudicato costituzionale, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ravvisato un generalizzato onere di impugnazione dei provvedimenti regionali elusivi di tale giudicato (provvedimenti che avevano consolidato la posizione dei dipendenti a suo tempo illegittimamente promossi), onere non previsto, in realtà, da alcuna norma di legge allorquando si debba ottemperare ad una sentenza della Corte cost.; pertanto – conclude il motivo la decisione del Cons. Stato si risolve in una denegata giustizia lesiva degli artt. 24, 111, 113 e 136 Cost. e del diritto ad un ricorso effettivo previsto dagli artt. 6 e 13 CEDU.

1.2. Il secondo motivo deduce eccesso di potere giurisdizionale per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63 e denegata giustizia perchè, essendo i dipendenti regionali soggetti alla giurisdizione del giudice ordinario, eventuali vizi di illegittimità dei provvedimenti potevano essere disapplicati dal giudice ordinario, senza dover essere impugnati innanzi a quello amministrativo.

1.3. Con il terzo motivo si lamenta eccesso di potere giurisdizionale per violazione e falsa applicazione della L. n. 87 del 1953, art. 23 e per omesso promovimento dell’incidente di legittimità costituzionale del D.L. n. 216 del 2011, art. 11 comma 6-sexies (convertito in L. n. 14 del 2012), oltre che diniego di giustizia, avendo il Consiglio di Stato ritenuto irrilevante la questione di illegittimità costituzionale dell’ulteriore sanatoria delle procedure selettive attuata dalla normativa statale.

2.1. Tutti e tre i motivi prospettano vizi di eccesso di potere giurisdizionale e di denegata giustizia, sicchè è opportuno esaminarli congiuntamente sotto il primo profilo e, poi, sotto il secondo.

Riguardo al primo profilo, quello di eccesso di potere giurisdizionale, deve osservarsi che la relativa denuncia è formulata sotto forma di asserita invasione, da parte del giudice amministrativo, della sfera di attribuzioni riservata al legislatore e non sotto l’altra forma individuata dalla giurisprudenza di queste Sezioni Unite, che si ha quando la sentenza sconfini nella sfera del merito istituzionalmente riservato alla pubblica amministrazione o sostanzialmente esprima la volontà dell’organo giudicante di sostituirvisi, così esercitando una giurisdizione di merito in situazioni che avrebbero potuto dare ingresso soltanto a una giurisdizione di legittimità e dunque, all’esercizio di poteri cognitivi e non anche esecutivi (v. Cass., S.U., 9 novembre 2011, n. 23302 e, più di recente, Cass., S.U., 31 maggio 2016, n. 11380).

Ciò premesso, ritengono queste S.U. insussistente il vizio denunciato, che può ricorrere solo quando il giudice svolga un’attività di produzione normativa distinguibile da una meramente ermeneutica – ipotesi di rilievo eminentemente teorico – e non anche quando provveda ad individuare una regula iuris attraverso la consueta attività interpretativa (cfr., ex aliis, Cass., S.U., n. 20698 del 2013).

Come ricordato da queste Sezioni Unite (v. Cass., S.U., n. 15144 del 2011 e Cass. n. 27341/14), la linea di confine oltre la quale l’attività interpretativa trasmoda in attività creativa, con invasione della sfera di attribuzioni del legislatore, è data dal limite di tolleranza ed elasticità del significante testuale, nell’ambito del quale “la norma di volta in volta adegua il suo contenuto, in guisa da conformare il predisposto meccanismo di protezione alle nuove connotazioni, valenze e dimensioni che l’interesse tutelato nel tempo assume nella coscienza sociale, anche nel bilanciamento con contigui valori di rango superiore, a livello costituzionale o sovranazionale”.

Tale limite non risulta varcato dalla sentenza impugnata che, constatata l’avvenuta pubblicazione del bando di concorso la cui mancanza era stata lamentata dalla ricorrente, si è limitata a ritenere venuta meno l’inerzia dell’amministrazione denunciata in via di azione contro il silenzio.

Nè il limite in questione risulta varcato sol perchè la sentenza ha ritenuto irrilevante la questione di legittimità costituzionale dell’ultima sanatoria (quella realizzata dalla normativa statale, ossia dall’art. 11-sexies cit.) per omessa impugnazione dei provvedimenti che, in virtù di tale normativa, hanno consolidato la posizione dei dipendenti promossi grazie alle precedenti procedure concorsuali che sono all’origine del presente contenzioso.

Obietta la ricorrente che, vertendosi in tema di pubblico impiego c.d. contrattualizzato, tali provvedimenti non dovevano essere impugnati innanzi al giudice amministrativo, ma disapplicati da quello ordinario.

Nondimeno deve osservarsi che la censura non deduce un’autonoma e non consentita attività di produzione normativa da parte del giudice, ma – in astratta ed eventuale ipotesi – solo un’erronea sua applicazione, vizio che (ove mai sussistente) non sarebbe mai denunciabile innanzi a queste S.U. rispetto a sentenze del Consiglio di Stato.

In altre parole, la censura non concerne una violazione dei limiti esterni della giurisdizione (d’altronde la sentenza non nega la giurisdizione del giudice amministrativo in ordine all’impugnazione del silenzio e alla domanda risarcitoria avanzate dalla ricorrente), ma un asserito suo cattivo uso, che (ove pure in astratta ipotesi fosse esistente) ad ogni modo non potrebbe mai fondare un ricorso per cassazione contro sentenze del giudice amministrativo (cfr., ex aliis, Cass., S.U., 29 marzo 2013, n. 7929).

2.2. Quanto al secondo profilo, quello della denunciata denegata giustizia, esso è deducibile – sempre secondo la giurisprudenza di queste S.U. (cfr. sentenze 15 marzo 2016, n. 5070 e 8 febbraio 2013, n. 3037), cui va data continuità – soltanto ove il rifiuto sia stato determinato dall’affermata estraneità della domanda alle attribuzioni giurisdizionali dello stesso giudice, nel senso che non possa essere da lui conosciuta.

Per ravvisare un’ipotesi di denegata giustizia non basta che l’effetto finale della decisione sia quello di negare la tutela giurisdizionale ad una situazione giuridica soggettiva, che, secondo le regole astratte del riparto di giurisdizione, potrebbe ottenere tutela soltanto dinanzi al giudice adito. Occorre, invece, che il risultato non sia l’effetto del modo in cui il giudice amministrativo ha applicato regole di rito o di diritto sostanziale inerenti alla vicenda esaminata, ma sia l’effetto dell’erroneo convincimento, da parte di quel giudice, che la situazione giuridica dedotta non appartenga all’ambito della giurisdizione devolutagli.

Solo in tale evenienza è configurabile una lesione delle regole sulla giurisdizione che, essendo la situazione giuridica deducibile solo dinanzi al giudice amministrativo, assume il carattere di diniego di una qualsiasi tutela giurisdizionale per esservi – appunto – soltanto una giurisdizione, quella negata dal giudice amministrativo.

Se – invece – il diniego di accordare protezione alla situazione giuridica invocata deriva non già dall’affermazione della sua estraneità alla giurisdizione, ma da un’applicazione (esatta o meno) delle regole di diritto processuale o sostanziale, l’esclusione della tutela è conseguenza dell’esercizio della giurisdizione medesima, non già d’un suo rifiuto.

E’ questo il caso: con la sentenza impugnata il giudice amministrativo non ha affermato l’estraneità alla propria giurisdizione della domanda proposta, ma si è limitato a rilevare che, nelle more, l’inattività della Regione era venuta meno e che la ventilata questione di illegittimità costituzionale era irrilevante nella specie. Solo riguardo a tale aspetto la sentenza ha affermato la necessità dell’impugnazione dei provvedimenti che hanno consolidato la posizione dei dipendenti a suo tempo illegittimamente promossi, ma senza neppure individuarne la sede deputata.

E, a prescindere da quale debba essere tale sede, resta il rilievo oggettivo che in tanto può astrattamente ipotizzarsi la rilevanza d’un incidente di costituzionalità in ordine alla normativa statale che ha sanato le suddette posizioni in quanto i relativi provvedimenti attuativi siano stati impugnati (e di certo non sono stati impugnati nel giudizio concluso con la sentenza de qua).

Nè rileva il sostenerne la disapplicabilità da parte del giudice ordinario, il che non segnala violazione delle regole sulla giurisdizione, nè per difetto (denegata giustizia) nè per eccesso.

Nè – infine – la denegata giustizia può rinvenirsi sotto forma di violazione del diritto al ricorso effettivo previsto dagli artt. 6 e 13 CEDU, ricorso effettivo che l’ordinamento appresta tanto nei confronti del silenzio dell’amministrazione quanto contro i suoi atti e che la ricorrente ha potuto esercitare.

2.3. Si legge, ancora, in ricorso che con il rivolgersi al giudice amministrativo F.D. aveva sollecitato una doverosa ottemperanza, da parte della Regione Puglia, al giudicato costituzionale di cui alla sentenza 15 dicembre 2010, n. 354, della Consulta.

Ma, a parte il rilievo che il giudicato costituzionale non è suscettibile di giudizio di ottemperanza, resta il fatto che il giudizio de quo aveva ad oggetto l’inattività della Regione Puglia, nelle more cessata – il che neppure l’odierna ricorrente nega – con l’avere l’amministrazione bandito un pubblico concorso per l’assunzione di 200 dipendenti in area D.

3.1. In conclusione, il ricorso è da dichiararsi inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza e si liquidano in importi prossimi ai minimi di tariffa professionale.

PQM

la Corte, a sezioni unite, dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.825,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2.625,00 per compensi professionali per la Regione Puglia e in pari importo per i controricorrenti assistiti dall’avv. Deramo, per la controricorrente C. e il controricorrente M., in Euro 3.425,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.225,00 per compensi professionali per i controricorrenti assistiti dall’avv. Matassa e in pari importo per i controricorrenti assistiti dall’avv. Pennetta, in Euro 3.225,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.025,00 per compensi professionali per i controricorrenti assistiti dall’avv. Candalice, per quelli assistiti dall’avv. Putignano, per quelli assistiti dall’avv. Pesce e per quelli assistiti dall’avv. Stefani, spese tutte maggiorate del 15% di spese generali e degli accessori di legge, con distrazione delle spese in favore degli avv.ti Putignano, Candalice e Pennetta, antistatari.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 25 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2016

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