Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27274 del 30/11/2020

Cassazione civile sez. I, 30/11/2020, (ud. 13/10/2020, dep. 30/11/2020), n.27274

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 8220-2019 r.g. proposto da:

S.B., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Marco

Ugo Melano, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in

Torino, Corso Lione n. 72;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Torino, depositato in data

4.2.2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/10/2020 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Torino ha respinto la domanda di protezione internazionale ed umanitaria avanzata da S.B., cittadino del (OMISSIS), dopo il diniego di tutela da parte della locale commissione territoriale, confermando, pertanto, il provvedimento reso in sede amministrativa.

Il tribunale ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del richiedente asilo, secondo quanto riferito da quest’ultimo; egli ha infatti narrato: i) di essere nato a (OMISSIS) (regione di (OMISSIS)); ii) di essere stato costretto a fuggire dal suo paese perchè perseguitato, per il suo culto religioso, dal padre, dopo la sua conversione all’islam, scelta quest’ultima non accettata dalla famiglia che professava invece la diversa fede cristiana. Il tribunale ha ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, sub D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a e b, in ragione della complessiva valutazione di non credibilità del racconto, che risultava, per molti aspetti, non plausibile, lacunoso e comunque contraddittorio e perchè comunque, in relazione al pericolo di violenze familiari così descritto, il richiedente ben avrebbe potuto attivare la protezione statale, denunciando alle autorità le violenze e vessazioni subite dal padre, le cui minacce non integravano neanche il paradigma del danno ingiusto di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. b; b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, in ragione dell’assenza di un rischio-paese riferito al nord del (OMISSIS), regione di provenienza del richiedente, collegato ad un conflitto armato generalizzato; c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, posto che la valutazione di non credibilità escludeva tale possibilità e perchè le condizioni di vita in (OMISSIS) non consentivano di rintracciare ragioni di soggettiva vulnerabilità in favore del richiedente.

2. Il decreto, pubblicato il 4.2.2019, è stato impugnato da S.B. con ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 nonchè dell’art. 5, comma 6 e art. 19 t.u. imm., e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, e del D.P.R. n. 394 del 2004, art. 28, comma 1, lett. d.

2. Con il secondo mezzo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatti decisivi, in relazione al diniego dell’invocata protezione umanitaria.

3. Il ricorso è infondato.

3.1 Il primo motivo presenta, in parte, profili di inammissibilità e, in altra parte, profili di infondatezza.

4.1.1 Partendo da quest’ultimi per voler seguire l’ordine espositivo delle doglianze prospettate dal ricorrente, giova in primo luogo ricordare che è stato recentemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui “Nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incogruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile” (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 21584 del 07/10/2020).

Ne consegue che nessun automatismo è dunque predicabile tra la mancanza di videoregistrazione e la necessaria audizione del richiedente, come invece sostenuto nel motivo di censura qui in esame.

A ciò va aggiunto che il ricorrente non ha precisato quali fossero le circostanze in base alle quali era necessaria la riconvocazione e l’audizione del richiedente innanzi al tribunale per chiarire gli eventuali punti di lacunosità e contraddittorietà del racconto, già riscontrati dalla commissione territoriale, rendendo così la censura generica ed irricevibile in questa sede decisoria.

4.1.2 Le ulteriori censure, articolate in relazione al diniego dell’invocata protezione umanitaria ed in ordine alla presunta violazione dell’obbligo di cooperazione istruttoria sono invece inammissibili, perchè le stesse non intercettano la ratio decidendi posta a sostegno del contestato provvedimento reiettivo, e cioè il giudizio di non credibilità del racconto svolto dal richiedente protezione in ordine alle ragioni poste a sostegno della decisione di emigrare da parte di quest’ultimo. Ed invero, il racconto era stato ritenuto dai giudici del merito contraddittorio e lacunoso, con argomentazioni scevre da criticità motivazionali e comunque non adeguatamente censurate da parte del ricorrente stesso.

4.1.3 Sul punto è necessario ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma. 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere a rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. sempre, Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019).

Orbene, osserva la Corte come, sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge, la parte ricorrente pretenda, ora, un’inammissibile rivalutazione del contenuto delle dichiarazioni rilasciate dal ricorrente e del giudizio di complessiva attendibilità di quest’ultimo, profilo che è irricevibile in questo giudizio di legittimità perchè non dedotto nel senso sopra chiarito e perchè comunque rivolto ad uno scrutinio di merito delle dichiarazioni che, invece, è inibito al giudice di legittimità.

Sulla questione di diritto intertemporale agitata dal ricorrente nel motivo in esame e dunque sulla questione dell’applicabilità “retroattiva” della normativa dettata dal D.L. n. 113 del 2018, occorre richiamare la recentissima sentenza resa a sezioni unite da questa Corte, secondo la quale, verbatim “In tema di successione delle leggi nel tempo in materia di protezione umanitaria, il diritto alla protezione, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per il rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta a ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile, ne consegue che la normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito con L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina contemplata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e dalle altre disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge; tali domande saranno, pertanto, scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione, ma, in tali ipotesi, l’accertamento della sussistenza dei p.-esupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base delle norme esistenti prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, comporterà il rilascio del permesso di soggiorno per “casi speciali” previsto dall’art. 1, comma 9 suddetto decreto legge” (Cass., ss.uu., sent. 29459/2019).

Il primo motivo va dunque rigettato.

3.2 Il secondo motivo risulta anch’esso, in parte, infondato e, in altra parte, inammissibile.

3.2.1 Sotto il primo profilo di osservazione, va precisato come il ricorrente deduca vizio di omesso esame di fatti decisivi.

Sul punto, è necessarie ricordare che, secondo la giurisprudenza di vertice di questa Corte (cfr. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014), l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Ciò posto, risulta evidente, anche sula scorta delle osservazioni già sopra riportate, che il “fatto” del cui omesso esame si duole oggi il ricorrente non rivesta, in alcun modo, il carattere della decisività, posto che la sopra ricordata documentazione medica non esprime un giudizio di tale gravità della denunciata malattia psicologica da far ritenere rilevante, ai fini del riconoscimento dell’invocata protezione umanitaria, il transito del richiedente in Libia.

3.2.2 Sotto altro profilo di riflessione, va evidenziato che la ulteriore circostanza il cui esame sarebbe stato omesso dal tribunale (e cioè la riduzione in schiavitù del richiedente), non è stata presentata dal ricorrente in modo autosufficiente, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, posto che non è stato indicato ove la doglianza e le relative deduzioni fossero state sollevate innanzi al giudice di merito, rendendo, dunque, evidente la novità delle questioni così prospettate solo innanzi al giudice di legittimità.

Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2020

 

 

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