Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27270 del 30/11/2020

Cassazione civile sez. I, 30/11/2020, (ud. 13/10/2020, dep. 30/11/2020), n.27270

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 31641-2018 r.g. proposto da:

F.Y., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Marco

Ugo Melano, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in

Torino, Corso Lione n. 72;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Torino, depositato in data

27.9.2018;

udita la relazione della causa svuta nella camera di consiglio del

13/10/2020 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Torino ha respinto la domanda di protezione internazionale ed umanitaria avanzata da F.Y., cittadino del (OMISSIS), dopo il diniego di tutela da parte della locale commissione territoriale, confermando, pertanto, il provvedimento reso in sede amministrativa.

Il tribunale ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del richiedente asilo, secondo quanto riferito da quest’ultimo; egli ha infatti narrato: i) di essere nato in (OMISSIS) e di essere di etnia (OMISSIS) e di religione (OMISSIS); di essere stato costretto a fuggire dal suo paese perchè arrestato per aver partecipato ad una manifestazione politica contro il fenomeno dell’escissione femminile e di essere giunto in Italia dopo il passaggio attraverso la Libia.

Il tribunale ha ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, sub D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a e b, in ragione della complessiva valutazione di non credibilità del racconto, che risultava, per molti aspetti, non plausibile e contraddittorio; b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, in ragione dell’assenza di un rischio-paese riferito al (OMISSIS), stato di provenienza del richiedente, collegato ad un conflitto armato generalizzato; c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, posto che il ricorrente non aveva allegato e dimostrato una sua condizione di soggettiva vulnerabilità.

2. Il decreto, pubblicato il 27.9.2013, è stato impugnato da F.Y. con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 nonchè del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c. Si denuncia la violazione dell’obbligo di cooperazione istruttoria da parte del tribunale, con particolare riferimento alla mancata audizione del richiedente dopo la valutazione di non credibilità del racconto, situazione nella quale, in assenza della videoregistrazione del colloquio, occorrerebbe non solo la fissazione dell’udienza di comparizione delle parti, ma anche l’audizione de ricorrente. Si contesta, inoltre, il giudizio espresso dal tribunale in ordine alla valutazione di non credibilità del racconto, giudizio negativo in presenza del quale i giudici del merito erano comunque obbligati ad attivare i loro poteri officiosi di indagine al fine di verificare la fondatezza delle allegazioni poste dal richiedente a sostegno della sua domanda di protezione internazionale ed umanitaria. Si denuncia, infine, il mancato esercizio della cooperazione istruttoria da parte del tribunale anche su profilo del “danno grave” D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b, in riferimento al denunciato pericolo di una carcerazione ingiusta e degradante collegato alle manifestazioni politiche per le quali aveva già subito una carcerazione preventiva. Si contesta, da ultimo, la valutazione espressa dal Tribunale in ordine all’insussistenza dei presupposti applicativi della richiesta protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, posto che in (OMISSIS) vi era una situazione di instabilità e di insicurezza che giustificava il riconoscimento dell’invocata tutela.

2. Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 5, comma 6 e art. 19 t.u. imm., nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, e del D.P.R. n. 394 del 2004, art. 28, comma 1, lett. d. Si contesta la mancata considerazione da parte dei giudici del merito di ulteriori due profili di vulnerabilità del richiedente ai fini del riconoscimento della richiesta protezione umanitaria, e cioè, da un lato, la situazione di insicurezza interna del paese e, dall’altro, le condizioni di vulnerabilità discendenti dalla traumatica esperienza in Libia.

3. Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame di fatti decisivi, sempre in riferimento al diniego dell’invocata protezione umanitaria, relativi alle circostanze già dedotte nel secondo motivo di censura.

4. Il ricorso è infondato.

4.1 Il primo motivo presenta profili di inammissibili e profili di infondatezza.

4.1.1 Partendo da quest’ultimi per voler seguire l’ordine espositivo delle doglianze prospettate dal ricorrente, giova in primo luogo ricordare che è stato recentemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui “Nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile” (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 21584 del 07/10/2020).

Ne consegue che nessun automatismo è dunque predicabile tra la mancanza di videoregistrazione era necessaria audizione del richiedente, come invece sostenuto nel motivo di censura qui in esame.

Va, peratro, aggiunto che la doglianza si presenta, nel caso in esame, oltre che giuridicamente infondata, anche radicalmente non accoglibile in fatto, posto che è la stessa difesa del ricorrente ad ammettere che quest’ultimo era stato comunque audito dal Presidente del collegio giudicante, il quale formulava in francese (lingua conosciuta dal richiedente) – domande per raccogliere ulteriori informazioni sulla vicenda personale dell’asilante (cfr. pag. 7 del ricorso introduttivo).

4.1.2 Le ulteriori censure, articolate in relazione al diniego dell’invocata protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, comma 1, lett. a e b, sono invece inammissibili, perchè le stesse non intercettano la ratio decidendi posta a sostegno del contestato provvedimento reiettivo, e cioè il giudizio di non credibilità del racconto svolto dal richiedente protezione in ordine alle ragioni poste a sostegno della decisione di emigrare da parte di quest’ultimo. Ed invero, il racconto era stato ritenuto dai giudici del merito contraddittorio e lacunoso, con argomentazioni scevre da criticità motivazionali e comunque non adeguatamente censurate da parte del ricorrente stesso.

4.1.3 Sul punto è necessario ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tate apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibliità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente a merito (cfr. sempre, Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/01/2019).

Orbene, osserva la Corte come, sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge, la parte ricorrente pretenda, ora, un’inammissibile rivalutazione del contenuto delle dichiarazioni rilasciate dal ricorrente e del giudizio di complessiva attendibilità di quest’ultimo, profilo che è irricevibile in questo giudizio di legittimità perchè non dedotto nel senso sopra chiarito e perchè comunque rivolto ad uno scrutinio di merito delle dichiarazioni che invece è inibito al giudice di legittimità.

4.1.4 L’ulteriore censura, declinata in relazione all’accertata insussistenza del danno grave D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, comma 1, lett. c, è anch’essa formulata in modo inammissibile.

Sul punto, giova ricordare che, in relazione alla dedotta violazione del D.Lgs. 15 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c) denunciata con riguardo al mancato approfondimento istruttorio officioso relativo alla situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che, alla stregua delle indicazioni ermeneutiche impartite da questa Corte, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (Grande Sezione, 18 dicembre 2014; C-542/13, par. 36; C-285/12; C-465/07), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 13858 del 31/05/2018).

Ciò posto, il motivo – così articolato in relazione al diniego della reclamata protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c – è inammissibile perchè volto a sollecitare questa Corte ad una rivalutazione delle fonti informative per accreditare, in questo giudizio di legittimità, un diverso apprezzamento della situazione di pericolosità interna del (OMISSIS), giudizio quest’ultimo inibito alla Corte di legittimità ed invece rimesso alla cognizione esclusiva dei giudici del merito, la cui motivazione è stata articolata – sul punto qui in discussione – in modo adeguato e scevro da criticità argomentative, avendo specifiicato che in (OMISSIS) non si assiste ad un conflitto armato generalizzato, tale da integrare il pericolo di danno protetto dalla norma sopra richiamata, e ciò proprio nel senso sopra chiarito dalla giurisprudenza interna ed europea da ultimo menzionata.

Non è inutile ricordare che – in tema di ricorso per cassazione – la deduzione avente ad oggetto la persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attiene alla sufficienza della motivazione ed è, pertanto, inammissibile ove trovi applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione novellata dal D.L. n. 83 del 2012, conv., con modificazioni, nella L. n. 134 del 2012.

Il primo motivo va dunque rigettato.

4.2 Il secondo motivo di censura è invece inammissibile.

4.2.3 Pur dovendosi riconoscere che la motivazione adottata dal tribunale piemontese, in relazione al diniego della invocata protezione umanitaria, risulta essere espressa in termini estremamente sintetici, non può tuttavia sottacersi come le doglianze articolate dal ricorrente, nel motivo di ricorso in esame, attingano profili di valutazione di merito dei presupposti applicativi dell’invocata protezione umanitaria (situazione di instabilità politica e militare del (OMISSIS); presunte violenze subite nel passaggio in Libia), profili di valutazione che – come già sopra spiegato – sono inibiti a questa Corte di legittimità per essere rimessi alle valutazioni esclusive dei giudici del merito.

Sul punto, il ricorrente ha invero declinato vizio di violazione e falsa applicazione di legge, in relazione ai precetti normativi sopra ricordati in premessa.

Orbene, giova, anche qui, ricordare che – in tema di ricorso per cassazione il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (così, Cass., Sez. Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019; cfr. anche Cass., Sez, 1, Ordinanza n. 24135 del 13/10/2017). Più precisamente è stato affermato sempre dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità che le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: a) quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto; b) quello afferente l’applicazione della norma stessa; una volta correttamente individuata ed interpretata. Il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perchè la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione. Non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità; cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 640 del 14/01/2019).

4.3 Anche il terzo motivo è inammissibile.

La censura non coglie la ratio decidendi della motivazione impugnata che, in ordine al diniego dell’invocata protezione umanitaria, riposa sull’accertata mancata allegazione di condizioni di vulnerabilità soggettiva riferibili al richiedente, motivazione che non viene scalfita neanche dalle generiche considerazioni – peraltro, implicanti, al solito, un’irricevibile rivalutazione del merito della decisione – in ordine alle condizioni di instabilità politica e militare del (OMISSIS) che, inoltre, erano state argomentativamente escluse dal tribunale, già in riferimento alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c.

Sulla questione di diritto intertemporale agitata dal ricorrente nel motivo in esame e dunque sulla questione dell’applicabilità “retroattiva” della normativa dettata dal D.L. n. 113 del 2008, occorre richiamare la recentissima sentenza resa a sezioni unite da questa Corte, secondo la quale, verbatim “In tema di successione delle leggi nel tempo in materia di protezione umanitaria, diritto alla protezione, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per il rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta a ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile, ne consegue che la normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito con L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina contemplata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e dalle altre disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge; tali domande saranno, pertanto, scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione, ma, in tali ipotesi, l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base delle norme esistenti prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 122 del 2018, comporterà il rilascio del permesso di soggiorno per “casi speciali” previsto dall’art. 1, comma 9 suddetto D.L.” (Cass., ss.uu., sent. 29459/2019).

Ne consegue il complessivo rigetto del ricorso.

Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2020

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