Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27270 del 24/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 24/10/2019, (ud. 28/05/2019, dep. 24/10/2019), n.27270

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

L.A., rappresentata e difesa da sè medesima in quanto

Avvocato, con indicazione del recapito PEC, ed elettivamente

domiciliata alla via Ovidio n. 26 in Roma;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege,

dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata

presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 2407, pronunciata dalla Commissione Tributaria

Regionale del Lazio il 4.04.2016 e pubblicata il 27.04.2016;

letta la memoria depositata dalla ricorrente;

ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal Consiglier

Di Marzio Paolo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

la Corte osserva:

in data 4.10.2012 veniva notificato all’odierna ricorrente, L.A., il decreto di diniego opposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sua istanza di definizione agevolata di lite tributaria pendente, trasmessa dalla contribuente in via telematica il 27.3.2012 e proposta in relazione alla cartella di pagamento n. 097 2008 028015837, attinente ad Irpef ed altro, per un ammontare di Euro 10.790,18, in ordine all’anno 2004.

Il diniego veniva opposto dall’Ufficio (cfr. controric., p. 2) perchè “la controversia oggetto della istanza di definizione… non risulta pendente in quanto il ricorso non è stato depositato in Commissione Tributaria Provinciale”, se non decorsi oltre tre anni a seguito della notificazione dell’atto impositivo che si pretendeva di poter ancora contestare (sent. CTR, p. 2). Il ricorso proposto dalla contribuente innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale era rigettato, osservando il giudice di primo grado che doveva riscontrarsi la carenza di documentazione allegata dalla ricorrente a sostegno della propria pretesa di deduzione degli oneri, e comunque occorreva distinguere l’ipotesi in cui l’Amministrazione abbia esercitato un mero “potere di controllo formale relativo alla riscossione nella misura risultante dalla dichiarazione” (sent. CTR, p. 2) presentata dalla contribuente, che si risolve in una mera liquidazione e non è suscettibile di definizione agevolata, e l’ipotesi del “controllo cartolare”, che importa invece la rettifica delle risultanze della dichiarazione presentata, ed è perciò suscettibile di definizione agevolata.

L.A. impugnava la decisione assunta dalla CTP, affermando che la lite avesse ad oggetto un’ipotesi di “rettifica cartolare”, pertanto suscettibile di definizione agevolata, risolvendosi nell’esercizio di una “pretesa sostanzialmente impositiva” (sent. CTR, p. 2), e comunque tra le liti pendenti doveva ritenersi compresa ogni controversia avente ad oggetto “avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione di sanzioni e ogni altro atto di imposizione” (sent. CTR, p. 2).

La CTR rigettava il ricorso introdotto dalla contribuente, osservando che, nell’ipotesi di impugnazione proposta avverso una cartella di pagamento, occorre comunque escludere la “condonabilità” quando essa non “rappresenti il primo atto di imposizione notificato al contribuente”. In ogni caso, la circolare 12/R dell’Agenzia delle Entrate del 21.2.2003, aveva chiarito che non sussiste lite pendente se non è intervenuta la rituale costituzione in giudizio del ricorrente, “escludendo quindi l’ipotesi del ricorso notificato all’Ufficio e non depositato in Commissione Tributaria” (sent. CTR, p. 3).

Avverso la decisione assunta dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio ha proposto ricorso per cassazione L.A., affidandosi ad un unico, articolato, motivo di ricorso. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate. La ricorrente ha pure depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Mediante il suo motivo di impugnazione, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente censura la decisione assunta dalla Commissione Tributaria Regionale di Roma per essere incorsa nella violazione del D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12, conv. con mod. dalla L. n. 111 del 2011, in quanto l’adita CTR “si è limitata ad affermare con motivazione stereotipa che possono essere definite, ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 3, cui rinvia il richiamato D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12, solo le controversie aventi ad oggetto avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione delle sanzioni e ogni altro atto di imposizione, salvo poi dichiarare che non era definibile in via agevolata la cartella di pagamento della contribuente, perchè avente valore di semplice atto di riscossione, laddove avrebbe dovuto sincerarsi della natura impositiva di detta cartella, derivante dal fatto che essa non risultava preceduta da alcun avviso di accertamento, ed il ruolo era comunque irro-gativo di sanzioni” (ric. p. 21).

2.1. – Con il suo motivo di ricorso L.A. censura, in primo luogo, la violazione di legge in cui reputa essere incorsa l’impugnata Commissione Tributaria Regionale del Lazio per aver ritenuto che la cartella esattoriale, in relazione alla quale la contribuente aveva domandato l’accesso alla definizione agevolata, non costituisse un atto impositivo, bensì una mera liquidazione, in riferimento alla quale non risultava applicabile la normativa beneficiale di cui al D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12, come conv. Nella sua pur succinta decisione, la CTR impugnata ha effettivamente sostenuto, in forma per larga parte implicita, di ritenere che la cartella di pagamento la quale ha dato causa al diniego di definizione agevolata per cui è processo, non fosse suscettibile di accesso alla normativa beneficiale non rappresentando “il primo atto impositivo”.

La contribuente si duole della violazione di legge in cui ritiene sia incorsa la Commissione Tributaria Regionale impugnata, per aver reputato che “non tutte le liti pendenti possono essere definite ai sensi del citato D.L. n. 98 del 2011, art. 39 e non possono essere condonabili le liti instaurate per l’annullamento di un ruolo erariale inserito in una cartella di pagamento, a sua volta emessa a seguito di attività posta in essere in applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis. Per la condonabilità delle liti promosse avverso cartelle di pagamento occorre distinguere tra le ipotesi nelle quali esse rappresentino il primo atto di imposizione notificato al contribuente (nella quale può dirsi consentita) e le ipotesi nelle quali la liquidazione derivi da omessi versamenti di imposte regolarmente dichiarate (nelle quali va esclusa)” (sent. CTR p. 2 s.). In conseguenza la CTR rigettava il ricorso della contribuente, ritenendo che non avesse diritto di accedere alla legislazione beneficiale.

La ricorrente contesta che il del D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12, avrebbe dovuto essere interpretato nel senso di estendere la definibilità a tutte le liti fiscali riguardanti atti impositivi emessi dall’Agenzia delle Entrate, come tali dovendo intendersi: “le cartelle di pagamento non precedute da avvisi di accertamento, avvisi di accertamento ed atti d’irrogazione di sanzioni” (ric. p. 20). “La Commissione Tributaria Regionale di Roma non poteva difatti ignorare che nel caso di specie il ruolo era stato emesso a seguito di rettifica” – ai sensi degli artt. 36-bis (cfr, sent. CTR, p. 2, secondo capoverso e punto 5-1) del D.P.R. n. 600 del 1973 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis – “di alcuni dati indicati nella dichiarazione, con iscrizione a ruolo delle imposte dovute in misura superiore rispetto a quella dichiarata e liquidata dal contribuente” (ric. p. 20).

Il giudice del merito, ribadiva la ricorrente, avrebbe errato nel negare natura di atto impositivo alla cartella di pagamento per cui è causa, non essendo stata preceduta da alcun avviso di accertamento e “costituendo essa stessa per tale ragione atto impositivo di tributi ulteriori rispetto a quelli dichiarati dal contribuente (ric. p. 20).

La doglianza è fondata.

Il D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12, così recita: “12. Al fine di ridurre il numero delle pendenze giudiziarie e quindi concentrare gli impegni amministrativi e le risorse sulla proficua e spedita gestione del procedimento di cui al comma 9 le liti fiscali di valore non superiore a 20.000 Euro in cui è parte l’Agenzia delle entrate, pendenti alla data del 31 dicembre 2011 dinanzi alle commissioni tributarie o al giudice ordinario in ogni grado del giudizio e anche a seguito di rinvio, possono essere definite, a domanda del soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio, con il pagamento delle somme determinate ai sensi della L. 21 dicembre 2002, n. 289, art. 16. A tale fine, si applicano le disposizioni di cui al citato art. 16, con le seguenti specificazioni: a) le somme dovute ai sensi del presente comma sono versate entro il 31 marzo 2012 in unica soluzione; b) la domanda di definizione è presentata entro il 31 marzo 2012; c) le liti fiscali che possono essere definite ai sensi del presente comma sono sospese fino al 30 giugno 2012”.

Occorrendo, dunque, fare riferimento all’ambito della procedura di definizione della lite fiscale pendente di cui alla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16, deve osservarsi che, in base al comma 3, lett. a), di tale disposizione “per lite pendente” si intende “quella in cui è parte l’Amministrazione Finanziaria dello Stato avente ad oggetto avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione delle sanzioni e ogni altro atto di imposizione”.

Sul punto l’Agenzia delle Entrate, con circolare n. 48 del 2011, ha ritenuto che non possano essere ricondotti alla categoria degli atti impositivi, e non siano pertanto suscettibili di definizione agevolata ai sensi della disciplina in esame, “l’avviso di liquidazione” ed “il ruolo” in considerazione della loro natura, non essendo riconducibili nella categoria degli “atti impositivi” in quanto finalizzati alla (mera) riscossione dei tributi e degli accessori (paragrafo 4.2). “In linea generale, non sono definibili le liti fiscali aventi ad oggetto i ruoli emessi per imposte e ritenute indicate dai contribuenti e dai sostituti di imposta nelle dichiarazioni presentate, ma non versate. I controlli su tali versamenti sono disciplinati espressamente dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36-bis, comma 2, lett. f). Al recupero delle imposte non versate non si provvede, infatti, mediante atto impositivo che presupponga la rettifica della dichiarazione, ma con atto di mera riscossione, ricognitivo di quanto indicato dal contribuente o dal sostituto nella dichiarazione”). Secondo l’Agenzia delle Entrate, pertanto, rientrano nella categoria degli atti suscettibili di definizione agevolata quelli che assolvono alla funzione di accertamento, oltre che di riscossione.

Tanto premesso, è orientamento consolidato e condivisibile di questa Corte che, in caso di cartella di pagamento emessa ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, l’atto non rappresenta la mera richiesta di pagamento di una somma definita con precedenti atti di accertamento, autonomamente impugnabili e non impugnati, ma riveste anche natura di atto impositivo, trattandosi del primo ed unico atto mediante il quale la pretesa fiscale è esercitata nei confronti del dichiarante, conseguendone la sua impugnabilità, D.P.R. n. 546 del 1992, ex art. 19, anche per contestare il merito della pretesa impositiva (cfr. Cass. 4.12.2015, n. 24772, 22.1.2014, n. 1263). L’impugnazione della cartella di pagamento, con cui l’Amministrazione liquida le imposte calcolate sulla base dei dati forniti dallo stesso contribuente, origina comunque una controversia definibile in forma agevolata, ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 16, in quanto detta cartella, essendo l’unico atto portato a conoscenza del contribuen con cui si rende nota la pretesa fiscale e non essendo preceduta da avviso di accertamento, è impugnabile non solo per vizi propri della stessa, ma anche per questioni che attengono direttamente al merito della pretesa fiscale ed ha, quindi, natura di atto impositivo (cfr. ex multis, Cass. n. 31055 del 2017; Cass. n. 28611 del 2017; Cass. n. 1296 del 2916; Cass. n. 1295 del 2016; Cass. n. 26997 del 2014; Cass. n. 22672 del 2014).

Questa Corte, del resto, non ha mancato di chiarire che risulta, di per sè, irrilevante la circostanza che la cartella esattoriale contenga la liquidazione di imposte dichiarate e non versate, una volta che, da un lato, la cartella di pagamento rappresenta il primo atto con cui l’Amministrazione ha esercitato la propria pretesa tributaria, e dall’altro occorre comunque riconoscere al contribuente di poter impugnare la cartella, anche al fine di esercitare il proprio diritto alla emendabilità, pure in sede contenziosa, della propria dichiarazione (cfr. Cass. n. 22672 del 2014; Cass. n. 23269 del 2018).

La motivazione del provvedimento di diniego opposto dall’Amministrazione finanziaria al condono richiesto il 27.3.2012 dalla contribuente, ai sensi del D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12, deve pertanto giudicarsi non conforme a diritto. L’Agenzia delle Entrate infatti, per le ragioni innanzi esposte, ha errato nell’escludere la pendenza tra le parti di una lite effettiva, come tale suscettibile di definizione agevolata ai sensi del disposto di cui al D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12.

La CTR ha respinto l’appello introdotto dalla contribuente anche perchè “la circolare 12/E del 21.3.2003 definisce lite pendente la controversia instaurata con la proposizione del ricorso ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 20 e con la rituale costituzione in giudizio nel termine di 30 giorni, escludendo quindi l’ipotesi del ricorso notificato all’Ufficio e non depositato in Commissione Tributaria al momento della notifica” (sent. CTR, p. III). In proposito questa Corte ha statuito che “in tema di condono fiscale, il presupposto della lite pendente sussiste in presenza di un’iniziativa giudiziaria del contribuente non dichiarata già inammissibile con sentenza definitiva, che sia potenzialmente idonea a consentire il sindacato sul provvedimento impositivo, salve le ipotesi di abuso del processo, caratterizzate dall’intento di sfruttare in modo fittizio e strumentale il mezzo processuale, al solo scopo di conseguire i vantaggi della sopravvenuta o preannunciata normativa di condono. (Nella specie, la S.C. ha escluso l’abuso essendo stato il ricorso introduttivo notificato nei termini, antecedentemente alla L. n. 289 del 2002, ancorchè dichiarato inammissibile, perchè non depositato, con provvedimento reclamato), Cass. sez. V, 21.9.2016, n. 18445 (cfr., anche, Cass. sez. VI-V, 17.3.2015, n. 5316).

Il motivo di ricorso proposto dalla contribuente risulta in definitiva fondato e deve, pertanto, essere accolto.

La Corte deve perciò cassare la pronuncia della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, senza rinvio, posto che la causa può essere decisa nel merito, non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, ex art. 384 c.p.c., comma 2; ne consegue che il provvedimento di diniego di accesso alla definizione agevolata della lite deve essere annullato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso proposto da L.A., cassa la decisione impugnata e, decidendo nel merito, dispone l’annullamento del provvedimento di diniego di definizione agevolata della lite emesso dall’Agenzia delle Entrate, che condanna al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 2.300,00.

Così deciso in Roma, il 28 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2019

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