Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2727 del 02/02/2017


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Cassazione civile, sez. III, 02/02/2017, (ud. 19/12/2016, dep.02/02/2017),  n. 2727

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 10909 del ruolo generale dell’anno

21015, proposto da:

S.P., (C.F.: (OMISSIS));

G.V. (C.F.: (OMISSIS));

rappresentati e difesi, giusta procura in calce al ricorso, dagli

avvocati Franco Altamura (C.F.: non dichiarato) e Carlo Borello

(C.F.: non dichiarato);

– ricorrenti –

nei confronti di:

BANCA NAZIONALE DEL LAVORO S.p.A., (C.F.: (OMISSIS)), in persona del

legale rappresentante pro tempore rappresentato e difeso, giusta

procura in calce al controricorso, dall’avvocato Francesco Pilato

(C.F.: PLT FNC 46H01 B429Q);

– controricorrente –

Nonchè:

– BANCA POPOLARE DI LODI S.c.r.l. (P.I.: (OMISSIS)), in persona del

legale rappresentante pro tempore;

– BANCA DI LEGNANO S.p.A. (P.I.: (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore;

– AMMINISTRATORE DEL CONDOMINIO DEL FABBRICATO SITO IN (OMISSIS)

(P.I.: (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore;

– GUBER S.p.A., quale procuratrice di MAJA FINANCE S.r.l. (C.F.:

(OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimati –

per la cassazione della sentenza del Tribunale di Milano n.

9050/2014, depositata in data 8 luglio 2014;

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data

19 dicembre 2016 dal consigliere Augusto Tatangelo;

uditi:

l’avvocato R.A., per delega dell’avvocato Francesco Pilato,

per la società controricorrente;

il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale

dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per il rigetto dei

primi tre motivi del ricorso, previa integrazione della motivazione

della prima sentenza, e per l’accoglimento del quarto motivo.

Fatto

FATTI E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

S.P., G.V. e l’Impresa Stefanelli S.r.l. proposero opposizione nel corso di un procedimento di esecuzione forzata immobiliare promosso nei confronti dei primi due dalla Banca Popolare di Lodi S.c.r.l., nel quale erano intervenuti la Banca Nazionale del Lavoro S.p.A., la Guber S.p.A., la Banca di Legnano S.p.A. ed il Condominio del fabbricato sito in (OMISSIS);

Gli opponenti chiesero accertarsi la responsabilità processuale aggravata, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 2, della B.N.L. S.p.A., creditore intervenuto in forza di un decreto ingiuntivo successivamente revocato (con condanna dei debitori al pagamento di una minor somma), nonchè la condanna della medesima banca al rimborso delle spese sostenute per ottenere la cancellazione delle ipoteche iscritte sugli immobili pignorati sulla base del medesimo decreto ingiuntivo.

Le domande vennero dichiarate inammissibili dal Tribunale di Milano.

La Corte di Appello di Milano ha dichiarato a sua volta inammissibile l’appello degli attori ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c..

Ricorrono avverso la sentenza di primo grado lo Stefanelli e la G., sulla base di quattro motivi.

Resiste con controricorso la B.N.L. S.p.A..

Non hanno svolto attività difensiva in questa sede gli altri intimati. I ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. E’ infondata l’eccezione preliminare della controricorrente, di non integrità del contraddittorio per l’omessa notifica del ricorso alla Impresa Stefanelli S.r.l., originaria opponente.

Con riguardo a tale società (che non figurava tra i debitori esecutati nel processo esecutivo) è stato dichiarato in primo grado il difetto di legittimazione attiva, ed il relativo capo della sentenza è passato in giudicato, in mancanza di gravame. Essa dunque non può ritenersi parte necessaria del presente giudizio.

2. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “violazione dell’art. 38 c.p.c., commi 1 e 3; violazione dell’art. 96 c.p.c., comma 2; violazione degli artt. 112 e 113 c.p.c.; omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. Art. 348 ter c.p.c., comma 3, e art. 360 nn. 3 e 5”.

Il motivo è infondato.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte (che i motivi di ricorso non offrono elementi per rivedere), “in tema di responsabilità aggravata, la norma dell’art. 96 c.p.c., nell’affidare al giudice avanti al quale si è “agito o resistito” (comma 1) ed a quello che ha compiuto l’accertamento dell’inesistenza del diritto” (comma 2) il compito di essere investito della relativa istanza, non pone una regola di competenza, cioè non indica avanti a quale giudice si può esercitare un’azione di cui l’istanza è espressione, ma disciplina un fenomeno che si colloca all’interno di un processo già pendente e che si esprime nell’esercizio da parte del litigante di un potere all’interno di esso – quello di formulazione di un’istanza (e non della proposizione di un’azione) – il cui esercizio impone al giudice di provvedere sull’oggetto della richiesta, la quale, dunque, è strettamente collegata e connessa all’agire od al resistere in giudizio; ne discende che il potere di rivolgere l’istanza, essendo previsto come potere endoprocessuale collegato e connesso all’azione od alla resistenza in giudizio, non può essere considerato (salvo il caso eccezionale che il suo esercizio sia rimasto precluso in quel processo da ragioni attinenti alla sua struttura e non dipendenti dall’inerzia della parte) come potere esercitabile al di fuori del processo e, quindi, suscettibile di essere esercitato avanti ad altro giudice, cioè in via di azione autonoma; pertanto, quando tale esercizio avvenisse non ricorrerebbe una situazione di esercizio di un’azione davanti ad un giudice diverso da quello che sarebbe stato competente, bensì, l’esercizio di un’azione per un diritto non previsto dall’ordinamento, il quale appunto prevede il diritto di vedersi liquidare il danno da responsabilità aggravata (nelle due ipotesi previste dall’art. 96 c.p.c., comma 2) soltanto come diritto espressione del diritto di azione esercitato in un processo a tutela della situazione giuridica soggettiva principale che vi sia dedotta e, quindi, come diritto che di tale situazione è conseguenza e che, perciò lo è anche dell’azione con cui essa è fatta valere, in via attiva o passiva” (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 9297 del 18/04/2007, Rv. 597711; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 18344 del 06/08/2010, Rv. 614188).

La domanda risarcitoria proposta ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 2, è stata quindi correttamente dichiarata inammissibile dal tribunale, e le argomentazioni sviluppate dai ricorrenti in ordine al tardivo rilievo della pretesa incompetenza per materia risultano inconferenti.

3. Con il secondo motivo del ricorso si denunzia “violazione dell’art. 96 c.p.c., comma 2; violazione degli artt. 499 e 500, 615 e 616 c.p.c.; violazione degli artt. 526 e 564 c.p.c.; violazione degli artt. 112, 113 e 115 c.p.c.; omesso esame di fatti decisivi per il giudizio; art. 348 c.p.c., comma 3 ter e art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”.

Il motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

L’azione proposta dai ricorrenti ai sensi dell’art. 96 c.p.c. è stata dichiarata inammissibile sulla base di due distinte ed autonome rationes decidendi, di cui la seconda non risulta adeguatamente censurata (il che rende irrilevante l’esame della correttezza della prima).

Il Tribunale ha infatti dapprima affermato che la domanda di cui all’art. 96 c.p.c., comma 2, non sarebbe proponibile nei confronti del creditore intervenuto (che non dà inizio al processo esecutivo), ma ha poi subito precisato che, nella specie, “invero gli attori non si dolgono dell’inizio dell’esecuzione forzata in loro danno quanto piuttosto del fatto che la BNL avrebbe iscritto ipoteca senza la normale prudenza”, ed ha rilevato che la domanda per l’imprudente iscrizione di ipoteca giudiziale (ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 2) si deve necessariamente far valere nel giudizio in cui si accerta l’esistenza del diritto per cui l’ipoteca è stata iscritta (nella specie, quindi, in quello di opposizione al decreto ingiuntivo).

Il tribunale ha quindi interpretato la domanda nel senso che la richiesta risarcitoria ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 2, non era stata avanzata per l’imprudente esercizio dell’azione esecutiva, ma solo per l’imprudente iscrizione dell’ipoteca e, sulla base di tale interpretazione, ha (correttamente) statuito in diritto che una siffatta domanda non poteva essere proposta con l’opposizione ai sensi dell’art. 615 c.p.c. ma solo nel processo in cui era in contestazione il diritto per cui era stata iscritta la garanzia.

I ricorrenti non contestano il principio di diritto, ma censurano in realtà proprio l’interpretazione della loro domanda, sostenendo di avere chiesto il risarcimento ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 2, in funzione dell’illegittimo esercizio dell’azione esecutiva (o, almeno, anche in funzione di tale illegittimo esercizio).

A sostegno della censura trascrivono le conclusioni dell’atto di opposizione all’esecuzione.

In tali conclusioni è contenuta la richiesta di condanna della banca al risarcimento dei danni subiti, ma senza alcuna specificazione utile a individuare con certezza l’effettiva causa petendi.

L’atto introduttivo dell’opposizione non è allegato al ricorso, nè è indicata la sua esatta allocazione nel fascicolo processuale; inoltre nel ricorso non è trascritta, nè specificamente richiamata, altra parte del suo contenuto, nè risultano trascritte o specificamente richiamate le conclusioni rassegnate all’udienza di precisazione delle conclusioni.

Orbene, sulla base del solo passo dell’atto di opposizione trascritto nel ricorso, non è possibile verificare se il tribunale abbia interpretato correttamente l’atto introduttivo e la domanda concretamente proposta dagli opponenti (il che richiederebbe peraltro anche l’esame dei successivi atti processuali, specie considerando che secondo la controricorrente le domande inizialmente proposte sarebbero state modificate in corso di causa dagli opponenti).

La mancanza di uno specifico richiamo del contenuto dell’opposizione, nella parte in cui conterrebbe le allegazioni utili a confutare l’interpretazione datane nella sentenza impugnata (nonchè del contenuto dei successivi atti processuali, ed in specie delle conclusioni rassegnate in udienza), rende impossibile alla Corte valutare il merito della censura.

4. Con il terzo motivo del ricorso si denunzia “violazione dell’art. 112 c.p.c.; violazione degli artt. 113, 115 e 116 c.p.c.; violazione degli artt. 615 c.p.c. e segg.; violazione degli artt. 306 e 629 c.p.c.; reiterata violazione dell’art. 96 c.p.c., comma 2; omesso esame di fatti decisivi per il giudizio; Artt. 348 ter c.p.c., comma 3 e art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”.

Il motivo è infondato.

I ricorrenti sostengono di avere proposto opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c. per contestare il diritto della banca di proseguire, in via privilegiata, l’azione esecutiva promossa con l’intervento spiegato sulla base del decreto ingiuntivo dichiarato provvisoriamente esecutivo, ma successivamente revocato (peraltro con contestuale condanna al pagamento di una minor somma), e della relativa iscrizione ipotecaria.

Lamentano che su tale domanda il tribunale non si sarebbe pronunziato.

Ma la suddetta opposizione all’esecuzione – se pure in concreto proposta – è da ritenere inammissibile.

L’accoglimento dell’opposizione al decreto ingiuntivo con sentenza passata in giudicato, e la definitiva revoca del decreto stesso, determinano ovviamente la caducazione del relativo titolo esecutivo. Orbene, il venir meno del titolo esecutivo determina automaticamente anche la caducazione dell’intervento fondato su quel titolo, e in generale degli atti di esecuzione (peraltro solo nei limiti previsti dall’art. 653 c.p.c., comma 2, se si tratta di decreto ingiuntivo), senza alcuna necessità per il debitore di proporre una opposizione esecutiva onde far valere tale sopravvenuta inefficacia.

Ne consegue che l’opposizione proposta dal debitore ai sensi dell’art. 615 c.p.c. per contestare il diritto di procedere ad esecuzione forzata del creditore intervenuto in base a titolo esecutivo caducato dopo l’intervento – intervento che ha quindi automaticamente già perduto i suoi effetti – si deve ritenere di regola inammissibile per difetto di interesse ad agire ai sensi dell’art. 100 c.p.c., a meno che l’opponente non deduca e dimostri che in concreto il creditore pretende ugualmente di proseguire l’esecuzione sulla base del titolo caducato (o per l’intero importo di esso, se il titolo risulta caducato solo in parte).

Nella specie, non risulta in alcun modo dedotto, nè tanto meno documentato, che la B.N.L. S.p.A. avesse preteso di proseguire l’esecuzione per un importo superiore a quello per cui il suo intervento doveva ritenersi ancora efficace ai sensi dell’art. 653 c.p.c., e che tale illegittima pretesa fosse stata posta a base dell’opposizione. Anzi, risulta che la banca – dopo il passaggio in giudicato della sentenza sull’opposizione al decreto ingiuntivo – aveva espressamente e chiaramente ridotto le sue pretese nei limiti della somma di cui era stata dichiarata effettivamente creditrice, in chirografo.

Dunque, l’opposizione proposta per contestare l’intervento originario sarebbe stata comunque inammissibile per difetto di interesse ad agire.

Ciò comporta che, anche laddove dovesse ammettersi la denunziata omissione di pronunzia su di essa da parte del tribunale, ciò non potrebbe condurre all’accoglimento del ricorso ed alla cassazione della sentenza impugnata.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, in una siffatta ipotesi, va confermata la sentenza impugnata, con correzione della sua (omessa) motivazione. Ed infatti, “alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111 Cost., comma 2, nonchè di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con il suddetto motivo risulti infondata, di modo che la pronuncia da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello, determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito, sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto” (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 2313 del 01/02/2010, Rv. 611365; conf.: Sez. 3, Sentenza n. 15112 del 17/06/2013, Rv. 626945 Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 21257 del 08/10/2014, Rv. 632915; Sez. 5, Sentenza n. 21968 del 28/10/2015, Rv. 637019; nel medesimo senso, per le ipotesi di mancanza assoluta di motivazione: Cass. Sez. 1, Sentenza n. 28663 del 27/12/2013, Rv. 629571; Sez. L, Sentenza n. 23989 del 11/11/2014, Rv. 633591; Sez. 5, Sentenza n. 16157 del 03/08/2016, Rv. 640768).

Sulla base di tali precisazioni, il motivo di ricorso in esame va quindi rigettato.

5. Con il quarto motivo del ricorso si denunzia “violazione dell’art. 1241 c.c., comma 1 e falsa applicazione dell’art. 1243 c.c.; falsa applicazione degli artt. 512 e 615 c.p.c.; violazione degli artt. 112 e 113 c.p.c.; Art. 348 ter c.p.c., comma 3 e art. 360 c.p.c., nn. 3”.

Il motivo è fondato.

Viene censurata la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto inammissibile la domanda degli attori di condanna della B.N.L. S.p.A. al rimborso delle somme da essi pagate per la cancellazione dell’ipoteca iscritta in base al decreto ingiuntivo revocato.

Il tribunale ha ritenuto trattarsi di una controversia distributiva ex art. 512 c.p.c. proposta prima dell’inizio della fase della distribuzione del ricavato, che avrebbe invece dovuto essere risolta mediante compensazione in sede di distribuzione.

Ma, in base alla formulazione della domanda (come emerge chiaramente dalle seguenti conclusioni dell’atto introduttivo, trascritte nel ricorso: “dichiarare tenuta la BNL a rimborsare agli attori le spese da loro sostenute per la cancellazione dell’ipoteca giudiziale de qua nella misura di Euro 4.208,00 o nella diversa misura di giustizia”;…… “condannare la convenuta BNL…… al rimborso agli stessi attori…… della somma di Euro 4.208,00 oltre rivalutazione e interessi di mora dal 6/5/2010 al saldo”), appare evidente che non si trattava affatto nè di una opposizione esecutiva nè di una controversia distributiva, e che non era stata richiesta alcuna compensazione, essendo invece stata proposta una ordinaria domanda di condanna al pagamento di una somma di danaro.

Dunque, tale domanda avrebbe dovuto essere esaminata nel merito, e non poteva essere dichiarata inammissibile sulla base delle argomentazioni contenute nella sentenza impugnata, che va sul punto cassata, con rinvio al giudice che avrebbe dovuto pronunciare sull’appello, ai sensi dell’art. 383 c.p.c., comma 4, onde consentire tale esame.

6. Sono rigettati i primi tre motivi del ricorso, mentre è accolto il quarto.

La sentenza impugnata è cassata in relazione, con rinvio alla Corte di Appello di Milano, ai sensi dell’art. 383 c.p.c., comma 4, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte:

rigetta i primi tre motivi di ricorso; accoglie il quarto motivo e cassa in relazione, con rinvio alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 19 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2017

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