Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27268 del 24/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 24/10/2019, (ud. 25/06/2019, dep. 24/10/2019), n.27268

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16664-2C15 proposto da:

R.G., C.E., C.A., nella qualità di

eredi di CA.AU., elettivamente domiciliati in ROMA VIA

PASUBIO 2, presso lo studio dell’avvocato HINNA DANESI FABRIZIO, che

li rappresenta e difende, giusta procura a margine;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI ROMA (OMISSIS), in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3529/2014 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 27/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/06/2019 dal Consigliere Dott. VENEGONI ANDREA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale DE RENZIS

Luisa che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per i ricorrenti l’Avvocato HINNA DANESI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito per il controricorrente l’Avvocato DI RUBEO che si riporta agli

scritti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il contribuente Ca.Au., già dirigente dell’Enel, impugnava il rifiuto di rimborso della ritenuta, o della parte di ritenuta, effettuatagli al momento della corresponsione del trattamento pensionistico, quale iscritto alla previdenza complementare in data anteriore al 28 aprile 1993.

Il capitale corrisposto, infatti, era stato sottoposto ad una ritenuta con aliquota media del 37,35%, mentre il contribuente ne invocava la non imponibilità, o, in subordine, l’assoggettamento all’aliquota del 12,50%.

La CTP accoglieva la domanda subordinata, ma la sentenza era riformata dalla CTR del Lazio che accoglieva l’appello dell’ufficio. Questa Corte, con sentenza n. 4876 del 2012, annullava la sentenza della CTR, rifacendosi a quanto affermato, a sezioni unite, nella sentenza n. 13642 del 2011.

Gli eredi del contribuente, nel frattempo deceduto, riassumevano il giudizio davanti alla CTR del Lazio la quale, con la sentenza impugnata in questa sede, accoglieva l’appello dell’ufficio, affermando che non vi era prova della parte di capitale derivante dal rendimento sul mercato finanziario, da assoggettare a tassazione agevolata.

Per la cassazione di tale sentenza ricorrono a questa Corte gli eredi del contribuente sulla base di tre motivi.

Resiste l’ufficio con controricorso.

L’ufficio ha depositato memoria in vista dell’udienza odierna.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i contribuenti deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 394 c.p.c., art. 384 c.p.c., comma 2, art. 374 c.p.c., comma 3, in relazione al D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 6, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La CTR ha errato nel ritenere che la tassazione agevolata invocata dai contribuenti si applicasse solo a quella parte di capitale rappresentante il rendimento derivante dalla gestione sul mercato finanziario.

Il motivo è infondato

La CTR si è attenuta al principio secondo cui il trattamento agevolato spetta solo al capitale da rendimento sul mercato finanziario, ed afferma che non vi sono prove che la somma corrisposta al contribuente derivi da tale tipo di rendimento. Quest’ultima valutazione è di mero fatto e insindacabile in sede di legittimità.

In un caso analogo a quello della presente controversia, ed in particolare nella sentenza del proc. 4192 del 2015, sempre relativa a soggetto iscritto in data anteriore al 1993, il contribuente aveva formulato il seguente motivo:

Con il primo motivo il contribuente deduce violazione o falsa applicazione della L. 482 del 1995, art. 6, TUIR, art. 42 comma 4, (nel testo applicabile ratione temporis), D.L. n. 669 del 1986, art. art. 1 comma 5, conv. in L. n. 30 del 1997, TUIR, artt. 16 e 17, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Il rendimento cui fa riferimento l’ordinanza n. 3429 del 2012 che ha determinato il giudizio di rinvio è il mero rendimento di polizza, applicabile alle fattispecie PIA come quella in questione, e non il rendimento derivante dalla gestione sul mercato, applicabile al fondo Fondenel.

Lo stesso era stato dichiarato infondato perchè è vero che la sentenza n. 3429 del 2012 di questa Corte, da cui deriva il giudizio di rinvio, menziona esclusivamente il “rendimento” per assoggettare l’importo al 12,50%, ma questa stessa Corte in più occasioni (si vedano tra le altre sez. V, n. 30383 del 2011 e 15853 del 2018) ha chiarito che per” rendimento” si intende quello derivante dalla gestione del capitale sul mercato; quindi, non necessariamente sul mercato finanziario, ma certamente sul mercato.

Il principio affermato dalla CTR nella sentenza impugnata, che testualmente afferma che “con l’espressione rendimento deve intendersi il rendimento netto, imputabile alla gestione sul mercato da parte del fondo del capitale accantonato”) appare quindi, sotto questo profilo, corretto.

I contribuenti sostengono che ai sensi del D.Lgs. n. 124, art. 18, l’Enel era esentato dall’obbligo di investire il capitale destinato alla gestione del fondo di cui all’art. 6, comma 2, lett d), quindi l’Enel era libero di gestire il capitale come riteneva, e non era vincolato a gestirlo nei mercati finanziari.

La sentenza della Corte che ha determinato il giudizio di rinvio nel presente procedimento (n. 4876 del 2012) ha affermato

Orbene venendo all’esame del caso di specie, rileva il Collegio che la pronuncia della CTR laziale non appare conforme all’indicato principio di diritto, in quanto, pur avendo tenuto presente la predetta distinzione tra “quota-capitale previdenziale”, avente causa nel rapporto di lavoro, e “quota-rendimenti finanziari”, avente causa nella gestione di investimento delle somme accantonate, ed avendo ritenuto applicabile esclusivamente a quest’ultima l’aliquota del 12,50% prevista per i redditi di capitale dalla L. n. 482 del 1985, art. 6, ha poi fatto erronea applicazione del T.U.I.R., art. 42, comma 4, cit. e D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 18, comma 1, ritenendo ravvisabili “rendimenti” esclusivamente in presenza di contratti di assicurazione o di capitalizzazione, da un lato, omettendo di tenere conto che, a sensi del D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 6, comma 1, i fondi pensione amministrano il proprio patrimonio anche mediante stipula di contratti di gestione con società di investimento mobiliare o con società di gestione di fondi comuni di investimento mobiliare (delle quali possono anche sottoscrivere od acquisire quote i partecipazione: in caso di società gestori di fondi comuni c.d. chiusi), non potendo escludersi a priori -come invece sostenuto dai Giudici di appello- forme di investimento degli accantonamenti diverse da quelle riconducibili a uno schema negoziale di tipo assicurativo; dall’altro omettendo di considerare la deroga temporanea dall’obbligo di stipula di specifiche convenzioni con i soggetti autorizzati -imprese assicurative, SIM società gestione di fondi comuni-disposta dal D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 18, commi 1 e 2, a favore delle forme di previdenza integrativa istituite anteriormente alla entrata in vigore della L. 27 dicembre 1997, n. 449 (“alle forme pensionistiche complementari che risultano istituite”), anche in questo caso non essendo possibile escludere a priori, come sostenuto invece dalla CTR laziale, che i fondi pensione in questione abbiano impiegato i contributi accantonati operando sul mercato degli investimenti finanziari al di fuori di contratti assicurativi o di capitalizzazione.

Il vizio di legittimità (error in indicando) che inficia la sentenza di appello trova immediato riscontro nella mancata specificazione delle risultanze istruttorie in concreto esaminate e ritenute determinanti dai Giudici di merito per ricondurre l’intera somma- capitale corrisposta al dipendente alla “quota-capitale previdenziale assoggettata a tassazione separata ex art. 16, lett. a) cit. T.U.I.R., non emergendo dalla sentenza, in particolare, se e da quali atti istitutivi o statutari, da quali delibere disciplinanti l’attività dei fondi PIA e FONDENEL ovvero da quali concreti atti gestionali del patrimonio, la CTR laziale abbia tratto la conclusione secondo cui le somme erogate al dipendente non possano qualificarsi, in tutto od in parte, “rendimenti” derivanti da gestione finanziaria. In conseguenza il ricorso proposto dagli eredi del contribuente deve essere accolto e la sentenza impugnata cassata con rinvio al Giudice di appello in diversa composizione affinchè, attenendosi al principio di diritto enunciato dalla pronuncia delle SS.UU. n. 13642/2011 che ha dato uniforme interpretazione alla complessa e farraginosa disciplina normativa succedutasi nel tempo, provveda ad emendare il vizio di legittimità riscontrato.

La sentenza impugnata si fa carico di questi problemi perchè parte dal principio di diritto enunciato dalla sentenza di annullamento e poi analizza le risultanze istruttorie concludendo nel senso che, nella specie, le stesse non evidenziano gestione sul mercato finanziario, ritenendolo presupposto per il trattamento agevolato (“se ne deve dunque desumere l’assenza di prova dell’esistenza di una quota parte dell’erogazione costituente rendimento netto imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato”).

Con il secondo motivo deducono violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 2, e successive modifiche, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

La CTR ha errato nel non volere disporre d’ufficio uno specifico accertamento tecnico contabile per ricostruire i rendimenti della previdenza integrativa cui era iscritto il contribuente, atteso che il decorso del tempo ha reso molto difficile per la parte la ricostruzione dei fatti rilevanti.

Il motivo è infondato.

In primo luogo lo è ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, non ricorrendo alcuna omessa pronuncia da parte della CTR che si è occupata della questione affermando che i poteri di ufficio non vanno esercitati per supplire alle carenze probatorie delle parti.

Ma lo stesso è infondato anche qualora lo si volesse interpretare come dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, senza fermarsi all’aspetto formale della rubrica.

Il principio affermato dalla CTR, sopra ricordato, è, infatti, corretto anche alla luce di quanto già affermato da questa Corte, secondo cui nel processo tributario, il potere del giudice di disporre d’ufficio l’acquisizione di mezzi di prova non può essere utilizzato per supplire a carenze delle parti nell’assolvimento dell’onere probatorio a proprio carico, ma solo, in situazioni di oggettiva incertezza, in funzione integrativa degli elementi istruttori in atti. (Sez. VI-5, ord. N. 16171 del 2018).

Con il terzo motivo, in subordine, deducono la illegittimità costituzionale della L. n. 482 del 1985, art. 6, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost..

L’interpretazione della norma suddetta avallata dalla CTR, secondo cui il trattamento agevolato è applicabile solo ai rendimenti derivanti dalla gestione sul mercato finanziario, crea una discriminazione tra contribuenti e vanifica di fatto la possibilità di fare valere compiutamente le proprie ragioni nel processo.

La questione è già stata affrontata da questa Corte, in particolare nella decisione sez. V n. 24528 del 2017 secondo cui essa

è manifestamente infondata, dovendosi ritenere che il rendimento imputabile alla “gestione sul mercato” del capitale accantonato non possa essere ragionevolmente circoscritto ai soli investimenti sul mercato finanziario. Tale requisito identifica, invero, la ragione stessa della più favorevole tassazione del reddito rappresentata dall’essere questo il risultato dagli investimenti effettuati dall’ente di gestione della somma versata, investimenti che, se certamente saranno per lo più indirizzati verso i vari prodotti del mercato finanziario (strumenti finanziari, valori mobiliari, etc.), nulla esclude possano esserlo anche verso altri tipi di mercato (es. mercato immobiliare).

In effetti la giurisprudenza più recente ritiene che per “rendimento” non si intenda solo quello dalla gestione sul mercato finanziario, ma sul “mercato” anche non finanziario.

In conclusione, quindi, il ricorso deve essere respinto.

Considerata la natura della questione ed il fatto che la stessa ha richiesto l’intervento delle Sezioni Unite per orientarsi tra le varie norme che vengono in rilievo, sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Compensa tra le parti le spese del presente giudizio.

Sussistono i requisiti per l’applicazione del doppio contributo.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 25 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2019

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