Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27267 del 30/11/2020

Cassazione civile sez. I, 30/11/2020, (ud. 15/07/2020, dep. 30/11/2020), n.27267

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 2281/2019 proposto da:

H.C., elettivamente domiciliato in Rovigo, alla via

Badaloni 19, presso lo studio dell’Avv. Elena Petracca, che lo

rappresenta e difende per mandato in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

rappresentato ex lege dell’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la cui sede in Roma, alla via dei Portoghesi, 12, elettivamente

domicilia;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di VENEZIA n. cronol. 6898/2018 del

6 dicembre 2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/07/2020 dal consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Il Tribunale di Venezia, con decreto del 6.12.2018, ha respinto le domande di H.C., cittadino (OMISSIS) richiedente asilo, proveniente dal (OMISSIS), di riconoscimento dello status di rifugiato o, in via gradata, della protezione sussidiaria o umanitaria.

2. C. aveva dichiarato di aver lavorato come saldatore apprendista e di aver lasciato il proprio Paese in quanto vittima della persecuzione dei familiari di un collega che era precipitato dal terzo piano di uno stabile in costruzione ed era morto, i quali lo ritenevano responsabile del sinistro, avvenuto in sua presenza, benchè fosse stato scagionato dalla polizia.

3. Il Tribunale ha ritenuto il racconto generico e poco credibile, rilevando che, comunque, esso non integrava i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato nè della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) non essendo emersi elementi dai quali desumere l’impossibilità del richiedente di ottenere protezione dalle autorità competenti; ha poi escluso che il (OMISSIS) versi in una situazione di conflitto armato generalizzato; ha infine osservato che il migrante non aveva allegato specifici profili di vulnerabilità nè aveva prodotto documenti di rilievo al fine di provare la sua integrazione sociale in Italia, non potendosi a tale fine tener conto di un brevissimo rapporto di lavoro come bracciante agricolo.

4. H.C. ricorre per la cassazione del decreto con atto affidato a quattro motivi.

5. Il Ministero dell’interno resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo H.C. lamenta la violazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3,D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e L. n. 241 del 1990, art. 3 per aver il tribunale omesso di attivare i propri poteri istruttori officiosi al fine di accertare le attuali condizioni socio-politiche della regione di sua provenienza (in particolare, di verificare l’efficienza delle autorità governative locali nel difendere i propri cittadini da violenze e soprusi provenienti da privati) e per aver effettuato una valutazione sommaria delle sue dichiarazioni, senza richiedergli chiarimenti sulle questioni ritenute controverse e poco credibili.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a), b) e c) e L. n. 241 del 1990, art. 3; si duole che il tribunale abbia respinto la domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria appiattendosi sul giudizio di non credibilità delle sue dichiarazioni reso dalla Commissione territoriale, senza rimettere la causa in istruttoria per sentirlo a chiarimenti, dopo aver delegato la sua audizione ad un GOT, e senza assumere d’ufficio informazioni precise ed aggiornate sulla situazione del suo Paese d’origine, ancorchè il presupposto di cui all’art. 14 cit., lett. c prescinda dalla prova che il richiedente sia soggetto ad una minaccia individuale.

2.1 I motivi che, in quanto connessi, possono essere trattati unitariamente, sono inammissibili, in quanto si risolvono in una critica oltremodo generica delle ragioni poste dal tribunale a fondamento della decisione di rigetto e, nella sostanza, nella richiesta di una nuova valutazione delle dichiarazioni del ricorrente, di cui il tribunale ha evidenziato contraddizioni e lacune, concludendo per la loro inattendibilità (con conseguente superfluità di un’indagine volta ad accertare se le autorità del (OMISSIS) siano in grado di assicurare protezione ai cittadini minacciati da privati) in base ad un giudizio di fatto non più censurabile in questa sede se non attraverso la denuncia di un vizio di motivazione, ovvero, ai sensi dell’attuale testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, mediante l’allegazione del fatto decisivo omesso che, ove considerato dal giudice, avrebbe condotto ad un diverso esito del giudizio.

Ciò vale anche con riferimento alla censura che lamenta il rigetto della domanda di protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. c essendo totalmente assenti, nelle difese del ricorrente, riferimenti a rapporti redatti da organizzazioni la cui affidabilità è riconosciuta a livello internazionale, diversi e ulteriori rispetto a quelli, puntualmente citati e riportati nel loro contenuto rilevante nel decreto, dai quali risulti che, contrariamente a quanto accertato dal tribunale, il (OMISSIS) versa in una situazione di violenza indiscriminata.

3. Con il terzo motivo C. lamenta l’omesso esame del fatto decisivo costituito dal periodo da lui trascorso in Libia, prima di approdare in Italia.

3.1. Anche questo motivo è inammissibile, per difetto di specificità, stante l’omessa indicazione delle ragioni per le quali la valutazione del tribunale dovesse estendersi anche alla verifica della situazione in cui versa la Libia.

Al riguardo, va osservato che l’allegazione da parte del richiedente della circostanza che in un Paese di transito si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza che venga evidenziata la connessione tra il suo transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine, potendo quello di transito rilevare (dir. UE n. 115 del 2008, art. 3) solo nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che ivi prevedano il ritorno del richiedente (Cass. 6 dicembre 2018 n. 31676).

4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 289 del 1998, art. 5, comma 6 e della L. n. 241 del 1990, art. 3 nonchè il vizio di motivazione del decreto impugnato nel capo in cui ha respinto la domanda di protezione umanitaria; sostiene che il tribunale si sarebbe arroccato su un’interpretazione restrittiva del concetto di vulnerabilità, la cui sussistenza andava accertata indipendentemente dall’attendibilità della vicenda narrata, e che non avrebbe operato una comparazione tra la situazione che lo aveva spinto a lasciare il proprio Paese e la sua attuale situazione soggettiva e oggettiva, nè tenuto conto degli ulteriori lavori da lui svolti in Italia nel 2017 e nel 2018, del danno uditivo subito in Libia nonchè del fatto che egli si sarebbe sicuramente lì stabilito, se le condizioni di quel Paese gli avessero permesso di vivere e lavorare in sicurezza.

4.1 Il motivo è inammissibile, al pari di quelli che lo precedono, in quanto il tribunale, prescindendo dalla valutazione di scarsa credibilità del racconto, ha affermato che il ricorrente non aveva allegato fatti in base ai quali ritenere che si fosse allontanato da una condizione di vulnerabilità effettiva, tanto più che in (OMISSIS) vive un suo fratello: al fine di contrastare questo accertamento, il ricorrente avrebbe pertanto dovuto specificare – secondo quanto richiesto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, se, e in quale esatta sede processuale, egli aveva allegato e/o documentato a fondamento della domanda le circostanze (ulteriori lavori svolti in Italia; danno uditivo; volontà di trasferirsi in Libia) di cui lamenta l’omesso esame, nonchè illustrarne la decisività.

4.2 Quanto all’ulteriore doglianza concernente la mancata rimessione del procedimento in istruttoria per una nuova audizione, è sufficiente rilevare che il ricorrente non ha indicato gli elementi di fatto, decisivi per l’accoglimento della domanda, sui quali non era stato sentito o che necessitavano di un approfondimento.

5. Il ricorso va, conclusivamente, dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna H.C. alla rifusione, in favore del Ministero dell’Interno, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 2.100, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater del 2002, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 15 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2020

 

 

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