Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27266 del 24/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 24/10/2019, (ud. 23/05/2019, dep. 24/10/2019), n.27266

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MARCHEIS BESSO Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17561-2018 proposto da:

O.M., in proprio e quale rappresentante legale di ITALMARK

S.P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE BELLE ARTI n.

7, presso lo studio dell’avvocato GATTAMELATA ALESSIO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CAMADINI PIERPAOLO;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA TUTELA SALUTE – A.T.S. BRESCIA, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA INNOCENZO XI n. 8, presso lo studio dell’avvocato UBERTINI

GIAN LUCA, rappresentato e difeso dall’avvocato ASARO ALESSANDRO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1756/2017 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 18/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/05/2019 dal Consigliere Dott. OLIVA STEFANO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

O.M., agendo in proprio e quale rappresentante legale della società ITALMARK S.P.A., proponeva opposizione innanzi il Giudice di Pace di Brescia avverso l’ordinanza ingiunzione n. 188/2014 notificatagli dalla Azienda Tutela della Salute – A.T.S. di Brescia in relazione alla violazione del D.Lgs. n. 109 del 1992, art. 3, comma 1, lett. d), per aver immesso in commercio una confezione di “puntarelle” priva di indicazione del termine minimo di conservazione (fatto constatato il 27.1.2011). A seguito della dichiarazione di incompetenza del Giudice di Pace, i ricorrenti riassumevano il giudizio innanzi il Tribunale di Brescia con ricorso del 17.12.2014.

Si costituiva A.T.S. di Brescia resistendo all’opposizione ed invocandone il rigetto.

Nella narrativa dell’atto introduttivo i ricorrenti sostenevano, in particolare, che le puntarelle non potrebbero essere qualificate come “prodotto preconfezionato” ma dovrebbero piuttosto essere considerate un prodotto alimentare ortofrutticolo fresco, con conseguente esclusione dell’obbligo di indicazione del termine minimo di conservazione (T.M.C.) sulla confezione.

Con sentenza n. 1223/2016 l’opposizione veniva respinta dal Tribunale di Brescia.

Interponevano appello avverso detta decisione O.M. e Italmark S.p.a. e si costituiva in seconde cure A.T.S. di Brescia, resistendo al gravame.

Con la sentenza oggi impugnata, n. 1756/2017, la Corte di Appello di Brescia rigettava il gravame condannando gli appellanti alle spese del grado.

Propongono ricorso per la cassazione di detta decisione O.M. e Italmark S.p.a. affidandosi ad un unico motivo. Resiste con controricorso la A.T.S. di Brescia

I ricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 109 del 1992, art. 3, comma 1, lett. d) e D.Lgs. n. 109 del 1992, art. 10, comma 5, lett. a), nonchè della L. n. 689 del 1981, art. 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente considerato le puntarelle come un prodotto preconfezionato, mentre avrebbe dovuto ritenerle piuttosto un prodotto ortofrutticolo fresco non sbucciato, tagliato o soggetto ad analogo trattamento. In relazione a quest’ultima categoria di prodotti alimentari, il D.Lgs. n. 109 del 1992, art. 10, esclude espressamente l’obbligo di indicazione del T.M.C. sulla confezione.

La doglianza è infondata.

Ed invero l’esclusione dell’obbligo di indicazione del T.M.C. sulla confezione, prevista dall’arti del D.Lgs. n. 109 del 1992, si riferisce soltanto ai prodotti “… ortofrutticoli freschi, comprese le patate, che non siano stati sbucciati o tagliati o che non abbiano subito trattamenti analoghi. La Corte di Appello ha ritenuto che le puntarelle, in quanto costituite dal “germoglio tagliato dalla cima del cespo della catalogna” e sottoposte a trattamento di lavaggio, fossero da ricomprendere nell’ambito dei prodotti freschi trattati, e dunque dovessero essere assoggettate all’obbligo di indicazione del termine minimo di conservazione (cfr. pag.7 della sentenza).

La motivazione resa dalla Corte territoriale non viene completamente attinta da motivo del ricorso: i ricorrenti si diffondono infatti sull’asserita impossibilità di includere il lavaggio del prodotto ortofrutticolo nel novero dei trattamenti “analoghi” alla sbucciatura e al taglio, senza contestare in modo specifico la prima parte del ragionamento seguito dal giudice di merito. Appare invece decisivo l’assunto secondo cui le puntarelle, costituendo soltanto una parte (in particolare, quella apicale) del cespo della cicoria catalogna, per essere messe in vendita in quanto tali devono necessariamente essere separate dal resto del predetto cespo, e quindi subire un trattamento di taglio. Tale affermazione, che peraltro si risolve in un apprezzamento di fatto insindacabile in quanto tale in questa sede, esprime la vera ratio del rigetto dell’appello ed appare pienamente condivisibile, posto che la normativa di cui al D.Lgs. n. 109 del 1992 è finalizzata ad assicurare la tutela del consumatore mediante la previsione dell’obbligo di indicazione del T.M.C. sulle confezioni di tutti i prodotti alimentari che abbiano subito trattamenti prima della vendita, inclusi quelli ortofrutticoli freschi che siano stati assoggettati a taglio, sbucciatura o trattamenti analoghi.

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, va dichiarata la sussistenza, ai sensi del T.U. di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dei presupposti per l’obbligo di versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento in favore della controricorrente delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 1.200 di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali in misura del 15%, iva e cassa avvocati come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile, il 23 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2019

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