Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27260 del 24/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 24/10/2019, (ud. 16/05/2019, dep. 24/10/2019), n.27260

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20950-2018 proposto da:

Z.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA 5,

presso lo studio dell’avvocato FRANZIN LUDOVICA, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato GHIRIGATTO GIANLUCA;

– ricorrente –

contro

Z.G., elettivamente domiciliato in Roma, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dagli avvocati CASTRILLI ELISA, MUNARI ADRIANO;

– controricorrente –

contro

Z.D., Z.E., Z.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 769/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 29/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. TEDESCO

GIUSEPPE.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Nella causa ereditaria intrapresa da Z.G. nei confronti dei fratelli Z.A., Z.D., Z.E. e Z.M. (riguardante la successione del comune genitore Z.F.), il Tribunale di Vicenza, con sentenza non definitiva, accertava che la successione era regolata dal testamento olografo del de cuius del 1993, in questo modo rigettando la domanda proposta dall’attore, che aveva fatto valere la nullità di tale testamento, pretendendo che la successione fosse regolata da un testamento anteriore, con il quale il testatore l’aveva istituito erede della disponibile (diversamente il testamento posteriore, oggetto della domanda di nullità, aveva istituito erede i cinque figli in parti uguali).

Con la stessa sentenza (confermata in grado d’appello) il tribunale accertava che l’asse comprendeva, oltre agli immobili, le sole somme di denaro di cui alla denuncia di successione.

Nel seguito della lite le parti le parti raggiungevano un accordo grazie al quale la materia controversa si restringeva alla sola divisione degli immobili.

Il tribunale ordinava la divisione prevedendo la formazione di quattro porzioni, con liquidazione in denaro della quota di Z.M..

Quanto a Z.G. il tribunale assegnava a tale condividente la casa “ex nonno” e due terreni agricoli, contraddistinti con i mappali (OMISSIS) e (OMISSIS).

La Corte d’appello, investita di specifico motivo di impugnazione su questo punto, confermava che la massa non consentiva di ricavare cinque porzioni da attribuire a ciascuno dei coeredi, in particolare non essendo divisibile il lotto individuato dal consulente come lotto “B”.

Essa tuttavia dissentiva dal primo giudice là dove questo aveva risolto il problema assegnando per intero il lotto “B” a Z.E., ritenendo preferibile l’assegnazione congiunta al medesimo Z.E. e a Z.M., in conformità alla richiesta da costoro formulata con l’atto di appello.

La corte confermava poi l’assegnazione della casa “ex nonno” e dei due mappali (OMISSIS) e (OMISSIS) a Z.G..

Essa rilevava, quanto alla casa, che si trattava di un immobile disabitato adiacente l’appartamento in cui risiede Z.G., che già nel 2012 aveva formulato una proposta di acquisto, e quanto ai terreni, che si trattava di terreni agricoli, da anni utilizzati dal condividente e adiacenti alla sua abitazione.

La corte di merito, infine, accoglieva l’appello incidentale di Z.G. che aveva impugnato la sentenza nella parte relativa alla regolazione delle spese di lite, poste dal primo giudice per intero a suo carico in quanto soccombente sulla domanda di impugnazione del testamento posteriore e, per tale ragione, ritenuto responsabile della lunghezza della causa.

La corte osservava che, seppure fosse indubitabile che l’impugnazione del testamento avesse comportato l’allungamento dei tempi di definizione della lite, questa si era poi prolungata per lo svolgimento delle operazioni di divisione e a ragione dei tentativi di una definizione transattiva, che non era stata raggiunta per responsabilità di tutte le parti.

In rapporto a tali considerazioni la corte disponeva la compensazione per un mezzo delle spese del giudizio di primo grado, poste per la restante parte a carico di Z.G..

Compensava interamene le spese del grado.

Per la cassazione della sentenza Z.A. ha proposto ricorso, affidato a tre motivi.

Z.G. ha resistito con controricorso.

Z.D., Z.E. e Z.M. sono rimasti intimati.

Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 727 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Gli appellanti, nel censurare l’assegnazione a Z.G. dei terreni identificati con i mappali (OMISSIS) e (OMISSIS), avevano dedotto la violazione del principio di omogeneità delle porzioni sancito dall’art. 727 c.c..

La corte ha confermato l’attribuzione, argomentando circa la mancata violazione dell’art. 720 c.c., senza nulla dire circa la dedotta violazione dell’art. 727 c.c..

Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 720 e 727 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Il motivo ripropone la censura precedente sub specie di omessa motivazione circa la violazione dell’art. 727 c.c. e per omesso esame della natura degli immobili in questione, che avrebbe consentito una loro diversa distribuzione fra i condividenti Z.G. e Z.A..

In particolare i mappali (OMISSIS) e (OMISSIS) potevano essere attribuiti separatamente a Z.G. e Z.A., ferme le altre attribuzioni.

Si sottolinea che, tramite tale diversa ripartizione dei terreni, assegnando a Z.A. il mappale (OMISSIS) e a Z.G. il mappale (OMISSIS) o viceversa, si aveva inoltre una significativa riduzione dei conguagli.

Nello stesso tempo l’attribuzione, così come operata dalla corte d’appello, si poneva in contrasto con il principio di omogeneità delle porzioni.

Il ricorrente fa notare inoltre: a) che anch’egli aveva manifestato l’interesse a vedersi assegnati i terreni in questione, mentre analoga manifestazione di interesse non aveva espresso Z.G.; b) che i terreni sono adiacenti non solo l’abitazione di Z.G., ma anche l’abitazione del ricorrente, che aveva coltivato parte dei terreni stessi.

La corte è incorsa nello stesso tempo nella violazione dell’art. 720 c.c., posto che i due terreni sono autonomi e singolarmente contraddistinti in catasto.

Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli art. 91 e 92 c.p.c..

La corte d’appello ha modificato la regolamentazione delle spese del giudizio di primo grado, senza che tuttavia la decisione principale fosse stata riformata in senso favorevole per Z.G., soccombente sulla impugnativa del testamento posteriore.

Non era poi condivisibile la decisione della corte di disporre la compensazione parziale delle spese di lite del primo grado del giudizio.

La considerazione proposta dalla corte d’appello per giustificare la compensazione (l’allungamento dei tempi del processo anche per la necessità della divisione) era stata già valorizzata dal primo giudice ai fini della compensazione delle spese della consulenza tecnica.

Si sottolinea infine che l’esito globale della lite vedeva Z.G. interamente soccombente.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere rigettato per manifesta inammissibilità, con la conseguente possibilità di definizione nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Le parti hanno depositato memoria.

Il primo motivo è infondato.

Uno dei motivi di appello investiva la decisione del primo giudice nella parte in cui aveva ricompreso i mappali 1 e 978 nella porzione attribuita a Z.G..

La corte ha rigettato tale ragione di censura confermando l’attribuzione.

Quindi ha deciso espressamente su questo punto, essendo del tutto irrilevante che non abbia menzionato l’art. 727 c.c..

“Il giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132 c.p.c., n. 4, che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, e dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito. Ne consegue che il vizio di omessa pronuncia – configurabile allorchè risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto – non ricorre nel caso in cui, seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto (Cass. n. 407/2006)”.

Il primo profilo di censura del secondo motivo, riguardante anch’esso un error in procedendo, è altrettanto infondato.

La corte ha motivato sulle ragioni che la inducevano a confermare l’attribuzione dei terreni in questione così come disposta dal primo giudice, nell’ambito di una valutazione complessiva che teneva conto non solo delle preferenze espresse e della vicinanza con l’abitazione di Z.G., ma anche del “valore delle singole quote”.

Residua pertanto da esaminare la censura, formulata dal ricorrente in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con la quale si denuncia la violazione degli artt. 727 e 720 c.c..

La questione, sollevata con il motivo, può essere compendiata in questo modo: se l’attribuzione unitaria di due lotti autonomi e fra loro omogenei sia, di per sè, in contrasto con le norme che disciplinano la formazione delle porzioni nella divisione ereditaria e applicabili a qualsiasi tipo di divisione in forza dei richiama operato dall’art. 1116 c.c. (Cass. n. 12758/2001).

La censura è infondata.

Nella comunione ereditaria, in quanto ha per oggetto una massa di beni individuati per universitatem, il diritto di ciascun coerede alla quota in natura, sancito dall’art. 718 c.c., non significa diritto a una porzione di ciascun bene bensì, come chiarisce l’art. 727 c.c., comma 1, diritto a una porzione formata per, quanto possibile in modo da riprodurre la composizione qualitativa della massa. Il principio è espresso nei seguenti termini: “Il contenuto del diritto dei condividenti ad una porzione di beni immobili comuni, qualitativamente omogenea all’intero, consiste nella proporzionale divisione degli immobili considerati nel genere, contrapposti agli altri generi patrimoniali (mobili e crediti) e non in un frazionamento quotistico delle singole entità immobiliari (fabbricati, terreni, ecc.) comprese nella massa dividenda. Pertanto, non è censurabile la sentenza che abbia incluso in entrambe le porzioni dei condividenti parti equivalenti di beni immobili, ancorchè diversi nella consistenza delle singole entità (fondi urbani e rustici)” (Cass.n. 3652/1975).

In verità, nel caso di specie, il ricorrente, come si ricorda nella memoria, non si duole del mancato frazionamento di un singolo immobile, non chiede cioè un “frazionamento quotistico” di una singola unità immobiliare, ma lamenta il fatto che due terreni omogenei siano stati assegnati a un singolo condividente piuttosto che distribuiti in due porzioni.

Ma ugualmente la denunciata violazione di legge non sussiste, perchè il principio di uguaglianza qualitativa, sancito dall’art. 727 c.c., così come inteso dalla giurisprudenza di questa Corte, non implica una vera e propria identità qualitativa delle cose da includere in ciascuna porzione, ma solo identità di genere. Esso si realizza cioè con la proporzionale divisione dei beni compresi nelle tre categorie degli immobili, mobili e crediti, “ben potendo nell’ambito di ciascuna categoria di beni immobili, mobili e crediti da dividere, taluni di essi essere assegnati per l’intero ad una quota ed altri, sempre per l’intero, ad altra quota, salvi i necessari conguagli” (Cass. n. 9282/2918; n. 14540/2004; n. 9203/2004).

Nella sentenza non si leggono affermazioni in contrasto con tali principi.

Insomma la violazione sarebbe stata teoricamente configurabile se il giudice di merito, nel comprendere le due particelle omogenee in unico lotto, avesse formato le altre porzioni solo con beni mobili e con crediti, mentre non è questa la censura mossa dal ricorrente, il quale, senza mettere in discussione il contenuto delle altre attribuzione, sostiene che la corte di merito avrebbe dovuto attribuirgli una delle due particelle, attribuite unitariamente ad altro compartecipe.

Una simile censura, però, coinvolge apprezzamenti di fatto rimessi all’esclusiva competenza del giudice di merito e non censurabili in cassazione.

Analogamente, una volta esclusa la violazione dei criteri divisori legali, non configura una censura proponibile in questa sede il rilievo che le considerazioni soggettive che hanno indotto la corte ad attribuire i terreni a Z.G. (la vicinanza delle abitazioni e la coltivazione dei terreni) ricorrevano anche per Z.A..

In quanto all’ulteriore rilievo proposto dal ricorrente, e cioè che la diversa ripartizione avrebbe comportato conguagli minori, si deve ricordare che non esiste un principio che, in sede di divisione, imponga di seguire il criterio del minor conguaglio, che non è in effetti imposto da nessuna disposizione di legge.

Unico requisito è che i conguagli previsti dall’art. 728 c.c. (quelli intesi a pareggiare l’inuguaglianza delle porzioni in natura rispetto al valore delle quote per intenderci) non possono essere sproporzionati rispetto al valore che si riceve in natura (cfr. Cass. n. 7961/2003).

Fermo tale requisito, sulla cui sussistenza il ricorrente non ha formulato censure, la misura del conguaglio rappresento un semplice elemento da considerare nel complesso di quelli rilevanti ai fini della scelta fra opzioni divisorie diverse (Cass. n. 726/2018).

Il terzo motivo è inammissibile.

La corte ha modificato la liquidazione delle spese di primo grado, compensandole per metà, non d’ufficio o in conseguenza dell’accoglimento di un motivo di impugnazione proposto da altra parte, ma in accoglimento dell’appello incidentale di Giorgio Zuccolo, che aveva appunto impugnato la sentenza sotto questo specifico aspetto, ottenendone la riforma.

E’ appena il caso di ricordare che l’impugnazione della sentenza da parte del soccombente potrebbe riguardare anche il solo capo relativo alle spese del processo (cfr. Cass. n. 1246/1993; n. 13151/2017).

In quanto all’ulteriore rilievo proposto con il motivo in esame, e cioè che la compensazione parziale non era giustificata, essendo Z.G. interamente soccombente, è sufficiente sottolineare che nella specie è applicabile ratione temporis l’art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo originario, precedenti alle modifiche L. n. 263 del 2005, ex art. 28, in vigore dall’1 marzo 2006 (“Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ragioni e eccezionali ragioni esplicitamente indicate nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti”), poichè la causa è stata instaurata nel 1994.

Il testo in vigore prima della sostituzione disposta dalla citata L. n. 263 del 2005 era il seguente: “Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti”.

Il riferimento normativo corretto rende la compensazione disposta con la sentenza impugnata incensurabile in questa sede di legittimità: “in tema di compensazione delle spese processuali ex art. 92 c.p.c. (nel testo applicabile ratione temporis, anteriore a quello introdotto dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263), poichè il sindacato della S.C. è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare, in tutto o in parte, le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altre giuste ragioni, che il giudice di merito non ha obbligo di specificare, senza che la relativa statuizione sia censurabile in cassazione, poichè il riferimento a “giusti motivi” di compensazione denota che il giudice ha tenuto conto della fattispecie concreta nel suo complesso, quale evincibile dalle statuizioni relative ai punti della controversia” (Cass. n. 20457/2011; n. 2398/2008; n. 17456/2006).

Il ricorso, pertanto, va rigettato, con addebito di spese.

Ci sono le condizioni per dare atto della sussistenza dei presupposti dell’obbligo del versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 9.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15`)/o, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; dichiara ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 -quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6-2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 16 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2019

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