Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27257 del 30/11/2020

Cassazione civile sez. I, 30/11/2020, (ud. 03/03/2020, dep. 30/11/2020), n.27257

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 9629/2019 proposto da:

C.E., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour

presso a cancelleria della Corte di cassazione e rappresentato e

difeso dall’avvocato Giuseppina Marciano, per procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., domiciliato ex

lege presso l’Avvocatura dello Stato in Roma, Via dei Portoghesi,

12;

– intimato –

avverso il decreto n. 1714/2019 del Tribunale di Milano, Sezione

specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale

e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea del

12/02/2019;

udita la relazione della causa svolta dal Cons. Dott. Laura Scalia,

nella camera di consiglio del 03/03/2020.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Milano, Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, con il decreto in epigrafe indicato ha rigettato il ricorso proposto ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis da C.E. avverso il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale ne aveva respinto la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria ed umanitaria.

Il tribunale ha ritenuto la non credibilità, perchè generico, lacunoso e contraddittorio, del racconto reso dal ricorrente dinanzi alla Commissione territoriale – secondo il quale egli, tassista, temeva, in caso di rientro in patria e dopo aver già vissuto una siffatta esperienza nel passato, di essere coinvolto in manifestazioni e scontri tra il partito del presidente J. ed il partito di opposizione (OMISSIS) – e comunque la non riconoscibilità della protezione internazionale per difetto di persecuzione, di pericolo di danno grave, di un conflitto armato generatore di una situazione di violenza diffusa indiscriminata e, ancora, di ragioni di vulnerabilità personale legittimanti la protezione umanitaria.

2. C.E. ricorre per la cassazione dell’indicato decreto con tre motivi.

Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente “al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1”.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente, nato a (OMISSIS), in (OMISSIS), di etnia “(OMISSIS)” e religione (OMISSIS), nel racconto reso alla competente Commissione territoriale aveva dichiarato di aver lasciato il proprio Paese perchè in ragione dell’attività di tassista che egli svolgeva a (OMISSIS), quartiere della capitale (OMISSIS) – dove si era trasferito con madre e fratelli dopo essere stato cacciato dal villaggio di origine, successivamente alla morte del padre, dai propri fratellastri, figli di altre mogli -, si era trovato coinvolto in manifestazioni e scontri tra il partito del Presidente J. e quello di opposizione (OMISSIS), occasioni in cui le auto subivano danneggiamenti, e di temere in caso di rientro in patria di trovarsi di nuovo coinvolto in scontri tra l’etnia del nuovo Presidente al governo, i (OMISSIS), e quella del precedente, i (OMISSIS), che potevano procurargli danni materiali.

2. Il ricorrente articola tre motivi.

3. Con il primo motivo il ricorrente fa valere la violazione e falsa applicazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 del D.L. n. 25 del 2008, art. 35-bis, commi 9, 10, e 11.

Il tribunale con interpretazione gravemente errata delle norme aveva rigettato la richiesta del difensore di disporre l’interrogatorio libero del ricorrente, attesa l’assenza della videoregistrazione del colloquio svolto innanzi alla Commissione, ritenendo l’insussistenza di automatismo tra mancanza di videoregistrazione e necessità di rinnovo dell’audizione del richiedente.

Il tenore della norma invece avrebbe stabilito che il collegio è tenuto comunque a fissare un’udienza di comparizione delle parti e a procedere all’audizione del ricorrente, ogni qualvolta la videoregistrazione dell’audizione non sia disponibile. Il tribunale aveva ritenuto inattendibile il ricorrente evidenziando lacune che sarebbero state “certamente colmabili in sede di nuova audizione”; non era stato altresì “approfondito dal tribunale il periodo trascorso in Libia” (p. 8 ricorso).

3.1. Il motivo è infondato, e per taluni contenuti suoi contenuti anche inammissibile, per le ragioni di seguito indicate e precisate.

E’ necessario muovere dalle affermazioni di diritto che, chiare sul punto, ha reso questa Corte di legittimità con la sentenza del 05/07/2018 n. 17717.

In attuazione del principio del contraddittorio, e quindi del diritto del ricorrente ad una piena ed effettiva difesa, questa Corte di legittimità con l’indicata sentenza ha, per vero, rimarcato la necessità, per ragioni di stretta letteralità della norma in esame e di armoniosa ricostruzione del sistema, che in mancanza della videoregistrazione del colloquio il tribunale, chiamato a pronunciare sulla domanda di protezione internazionale, debba fissare l’udienza di comparizione delle parti, configurandosi altrimenti la nullità del decreto pronunciato per il mancato pieno spiegamento del principio del contraddittorio (Cass. n. 17717 cit. pp. 10, 11).

Pertanto, una volta che il tribunale competente a decidere sulla domanda di protezione internazionale abbia fissato, in difetto della videoregistrazione, l’udienza camerale in forma partecipata, potrà allora, ed eventualmente, porsi il problema, distinto e successivo rispetto alla preliminare esigenza di osservanza del contraddittorio, di riascoltare il richiedente.

Non si tratta, però, ormai, di fare applicazione di una regola processuale destinata a sostenere la validità del celebrato processo nell’osservanza del modello del contraddittorio, ma di una valutazione di merito, in cui il giudice è chiamato a scrutinare la domanda e, ove essa non sia manfestamente infondata, a procedere a risentire il richiedente là dove ritenga i temi di indagine, sottoposti alla sua valutazione, di necessario approfondimento.

3.2. Il Tribunale di Milano, in corretta applicazione degli indicati principi, e richiamando la sentenza di questa Corte n. 17177/2018, ha dato conto dell’intervenuta fissazione dell’udienza di comparizione delle parti alla data del 28.01.2018, accompagnando detta evidenza con l’espressa indicazione “della assenza di necessità di ripetere l’audizione” e la precisazione che erano “stati raccolti tutti gli elementi necessari ai fini della decisione”, non avendo la difesa “introdotto nuovi temi di indagine nè allegato fatti nuovi”.

3.3. Nel raffronto tra quanto statuito dai giudici di merito e quanto contestato con il motivo di ricorso può ben dirsi che quest’ultimo manca di censurare specificamente le ragioni per le quali il tribunale ha ritenuto superflua l’audizione del richiedente, onde il motivo stesso non può trovare accoglimento.

4. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia l’omessa valutazione di un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) in merito all’effettiva situazione sociale, politica ed economica e sulla pericolosità del (OMISSIS).

Il tribunale aveva escluso gli estremi per il riconoscimento dello status di rifugiato e l’esistenza in capo al ricorrente di un grave danno dipendente dal rischio di essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti o a pena di morte e l’esistenza di un grado di violenza indiscriminata integrativa della fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) in violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3.

I giudici di merito non avevano esaminato la domanda di protezione in base a fonti aggiornate su tutti i fatti pertinenti al paese di origine al momento della proposizione e non avevano attivato i poteri istruttori ufficiosi D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 27, comma 1-bis.

La situazione in (OMISSIS), nel carattere recente dell’insediamento del nuovo Presidente B., sarebbe stata ancora caotica.

4. Il motivo è inammissibile.

Il Tribunale di Milano ha ritenuto la non credibilità del racconto e tanto vale a sottrarre ogni rilievo alle situazioni denunciate dal richiedente in punto di grave violazione individuale dei diritti umani nel Paese di origine (Cass. 24/04/2019 n. 11267).

In ogni caso i giudici di merito motivano sulla situazione politico-economica e di pericolo, ritenuto inesistente in (OMISSIS), muovendo da fonti aggiornate quali il report EASO 2017 relativo ai rapporti tra i due Presidenti;, J. e B.A., quest’ultimo eletto nel 2016 ed al quale si deve il superamento della politica di violenza ed abuso del precedente, ed il rapporto sulle Libertà nel Mondo del 2018 in cui si dà atto di un miglioramento in (OMISSIS) nel godimento delle libertà fondamentali.

Le critiche mosse dal ricorrente a tali accertamenti in fatto, in quanto sostanziali censure di merito, non possono trovare ingresso in sede di legittimità.

5. Con il terzo motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame di un fatto decisivo ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Il tribunale aveva ritenuto che non fossero stati allegati dalla difesa fatti diversi da quelli posti a fondamento della domanda di protezione nel rilievo che la dedotta, in ricorso, valutazione di sussistenza di ragioni di povertà ed insicurezza sociale nel (OMISSIS) sarebbe dovuta avvenire con riguardo al rischio personale corso dal richiedente, ove rimpatriato, di essere reimmesso in un contesto sociale, politico o ambientale; tale da integrare una effettiva e significativa compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili.

I giudici di merito si erano limitati affermare che nella non credibilità del racconto si dovesse escludere una situazione di grave violazione individuale dei diritti umani o, così mancando anche al dovere di cooperazione ufficiosa D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 8 una situazione politico-economica molto grave con effetti di impoverimento per il richiedente.

In tal modo i giudici avevano omesso di comparare la situazione individuale del ricorrente con quella vissuta prima della partenza e che si sarebbe riproposta con il rimpatrio.

Il motivo è infondato.

5.1. Premessa l’applicabilità “ratione temporis” dei presupposti della protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 – trattandosi, nella specie di domanda di protezione proposta prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, conv. con modif. dalla L. n. 132 del 2018 (Cass. SU 13/11/2019 n. 29459) il Tribunale di Milano ha correttamente richiamato il principio per il quale, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, per una grave violazione dei diritti umani nel Paese di origine, debba aversi riguardo ad una valutazione individuale della situazione personale dal richiedente vissuta nel proprio Paese e definita dal racconto reso, la cui credibilità a tal fine rileva (Cass. 24/04/2019 n. 11267).

Resta ferma, infatti, in caso contrario, come rilevato da questa Corte di legittimità, la circostanza che altrimenti si prenderebbe in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma, piuttosto, quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (Cass. 03/04/2019 n. 9304). A tanto si aggiunga che l’intrinseca inattendibilità del racconto, riscontrata dal tribunale, osta poi a che il giudice del merito sia tenuto in via ufficiosa ad integrazioni di prova sulle condizioni obiettive del Paese di origine, nel rilievo da queste ultime assolto a definizione di una situazione di vulnerabilità del richiedente.

5.2. Il tribunale, nella valutazione dei presupposti della protezione umanitaria, ha inoltre e comunque svolto, in concreto e sulle circostanze dedotte dal ricorrente, un giudizio di comparazione tra la situazione vissuta dal richiedente nel Paese di origine e quella propria, invece, del periodo trascorso in Italia, per poi escludere, quanto a quest’ultimo, l’esistenza di forme di radicamento capaci di integrare l’invocata protezione e, quanto al contesto di origine, l’esistenza di condizioni di estrema povertà in capo al richiedente, nel mantenimento di legami con il nucleo familiare.

6. La corretta applicazione dei principi esclude ogni fondatezza alla portata critica ed il ricorso deve essere conclusivamente rigettato. Nella irritualità della costituzione del Ministero, nulla sulle spese. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto (secondo la formula da ultimo indicata in Cass. SU n. 23535 del 2019) della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 3 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2020

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